Lectio divina Gv 9, 1-41

10 marzo 2002 - IV domenica di quaresima

 

1 E passando vide un uomo cieco dalla nascita. 2 E i suoi discepoli lo interrogarono dicendo: “Rabbì, chi ha peccato lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?”. 3 Gesù rispose: “ Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Finché è giorno bisogna che noi operiamo le opere di Colui che mi ha inviato; viene la notte in cui nessuno può operare. 5 Fintanto che sono nel mondo, sono la luce del mondo”.

6 Detto questo, sputò per terra e con la sua saliva fece del fango, spalmò con questo fango gli occhi 7 e gli disse: “Va’ a lavarti alla piscina di Siloe (che significa: “Inviato”). Allora egli se ne andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8 Ora, i vicini e quelli che l’avevano veduto prima, da mendicante, dicevano: “Costui non è quello che stava seduto a mendicare?”. 9 Alcuni dicevano: “E’ proprio lui”. Altri dicevano: “Ma no! E’ un altro che gli assomiglia”. Lui però diceva: “Sono proprio io”. 10 Gli dicevano dunque: “Come dunque ti si sono aperti gli occhi?”. 11 Egli rispose: “L’uomo che si chiama Gesù, ha fatto del fango e me [ne] ha spalmato gli occhi e mi ha detto: "Va’ a Siloe e lavati". Andatovi dunque e lavatomi, ho cominciato a vederci”. 12 Gli dissero: “Dov’è quell’uomo?”. Dice: “Non lo so”.

13 Conducono allora dai farisei l’ex-cieco. 14 Ora, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi era sabato. 15 Allora i farisei gli domandavano come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”. 16 Dicevano allora alcuni farisei: “Non viene da Dio quest’uomo, perché non osserva il sabato”. Altri dicevano: “Come può un peccatore fare tali segni?”. E c’era divisione tra loro. 17 Dicono perciò di nuovo al cieco: “ E tu che dici di lui, per il fatto che ti ha aperto gli occhi?”. Ed egli rispose: “E’ un profeta”.

18 I giudei però non credettero, a suo riguardo, che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, prima di aver mandato a chiamare i suoi genitori. 19 E li interrogarono dicendo: “E’ costui il vostro figlio, di cui voi dite che è nato cieco? Come mai ora ci vede?”. 20 I suoi genitori allora risposero e dissero: “Sappiamo che costui è nostro figlio e che è nato cieco. 21 Ma come mai ora ci veda, non lo sappiamo, e neppure sappiamo chi gli ha aperto gli occhi. Interrogate lui, ha la sua età: lui stesso parlerà di sé”. 22 Questo i suoi genitori lo dissero perché avevano paura dei giudei; i giudei infatti si erano già accordati che se qualcuno confessava che [Gesù] era il Cristo, venisse escluso dalla Sinagoga. 23 E’ questa la regione per cui i suoi genitori avevano detto: “Ha la sua età; interrogate lui”.

24 Chiamarono allora una seconda volta colui che era stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. 25 E quello allora rispose: “Se sia un peccatore, non lo so; io non so che una cosa: ero cieco e ora ci vedo”. 26 Gli dissero allora: “Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?”. 27 Rispose loro: “Ve l’ho già detto, ma voi non mi avete dato ascolto; cosa volete sentire ancora? Volete forse anche voi diventare suoi discepoli?”. 28 Allora lo insultarono e gli dissero: “Tu sei un discepolo di quello là, noi siamo discepoli di Mosè. 29 Noi sappiamo che a Mosè Dio ha parlato; ma quello, non sappiamo di dove sia”. 30 L’uomo rispose e disse loro: “E’ proprio questo che sorprende che voi non sappiate di dove sia; eppure mi ha  aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori; ma se uno è pio e fa la sua volontà, questo lo ascolta. 32 Da che è mondo e mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. 33 Se quell’uomo non fosse da Dio, non avrebbe potuto fare nulla”. 34 Gli risposero e gli dissero: “Tu sei nato immerso nei peccati e tu vuoi farci da maestro?”. E lo cacciarono fuori.

35 Gesù venne a sapere che l’avevano cacciato fuori e, trovatolo, gli disse: “Credi tu nel Figlio dell’uomo?”. 36 Quegli rispose e disse: “ E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. 37 Gesù gli disse: “ Già lo hai veduto; colui che parla con te è lui”. 38Ed egli disse: “Credo, Signore” e si prostrò dinanzi a lui. 39 E Gesù disse: “Per una discriminazione io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono ci vedano e coloro che ci vedano diventino ciechi”. 40 Alcuni farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Saremmo forse ciechi anche noi?”. 41 Gesù disse loro: “Se voi foste ciechi, non avreste peccato. Ora invece, perché dite: "Ci vediamo", il vostro peccato rimane”.

 

Quelle sottolineate sono le parole chiave per la meditatio.

 

La struttura di questo brano può essere suddivisa in tre parti: i vss. 1-7 in cui viene brevemente narrato il segno della guarigione del cieco, la parte centrale (vss. 8-34) in cui sono presentate le discussioni e gli interrogatori che dividono coloro che hanno assistito all’evento e che contrappongono i giudei al cieco nato e ai suoi genitori, i vss. 35-41 che rappresentano l’epilogo della vicenda con il dialogo tra Gesù e il cieco e il monito rivolto ai farisei.

Nella prima e nella terza parte sono riportate le autorivelazioni di Gesù che manifestano le ragioni della sua missione. Nella prima Gesù dice di sé: “sono la luce del mondo” (vs. 5) introducendo la dicotomia giorno/notte che rimanda a quella tra luce è tenebra. Il momento dell’agire è il qui ed ora dell’incontro tra Gesù e l’uomo, gli effetti di questa luce, l’illuminare, l’abbagliare, il non essere percepita dipendono dalla soggettività dell’uomo. Nella parte finale del brano la conclusione rappresenta la conseguenza dell’accogliere o del rifiutare la luce: “Per una discriminazione io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono ci vedano e coloro che ci vedano diventino ciechi” (vs. 39). Non un giudizio o una condanna ma un avvertimento a riconsiderare le proprie categorie ermeneutiche, le proprie certezze che sclerotizzano i cuori.

Giovanni non descrive subito il segno ma l’intervento di Gesù segue una domanda dei discepoli legata ad un’opinione diffusa nel giudaismo secondo cui vi era un profondo legame tra il peccato e la sofferenza. La riposta di Gesù, contraddicendo questa posizione, permette di escludere che la condizione del cieco, le sue tenebre, siano quelle del peccato, sono piuttosto il luogo in cui si può rivelare la grazia. Il cieco nato, benché sia un mendicante, quindi abituato a chiedere, non chiede nulla a Gesù, non può chiedere perché non sa quale sia una condizione diversa dalla sua, non deve riavere ciò che ha perduto ma rinascere ad una nuova esistenza, con un cambiamento talmente radicale che porterà gli altri ad essere disorientati sulla sua identità. Gesù agisce per primo, gli spalma il fango sugli occhi, come in una nuova creazione, e gli ordina di andare a immergersi nella piscina di Siloe, il cui nome riveste per Giovanni una notevole importanza tanto da dare al lettore la spiegazione del nome, Inviato, che rimanda al fatto che il cieco è stato guarito dall’Inviato di Dio. Il cieco obbedisce prontamente: la sua cecità è una condizione "privilegiata" perché lo rende pronto all’affidamento e all’ascolto. Una volta avvenuta la guarigione i presenti non hanno un atteggiamento di lode o stupore se non relativamente alla identità del cieco. Nulla è detto dall’evangelista sulle modalità della guarigione, tuttavia il "come" è un motivo ricorrente nelle domande di chi aveva assistito al fatto, negli interrogatori dei farisei. La ripetizione da parte del cieco delle fasi della sua guarigione è un cammino di progressiva consapevolezza che si sviluppa dinamicamente in contrapposizione alla staticità delle posizioni dei giudei. Il cieco, così come la samaritana, giunge alla fede e al riconoscimento di Cristo progressivamente: vs. 12 “non so”, vs. 17 “è un profeta”, vs. 33 “questi è da Dio”, vs. 38 “credo”. Il punto più alto di questo processo è raggiunto nel dialogo finale tra l’ex-cieco e Gesù in cui il primo è chiamato a credere nel Figlio dell’uomo e non più a riconoscere il lui soltanto un profeta. Soltanto in questa occorrenza il verbo greco usato per il "vedere" è diverso da tutti gli altri presenti nel brano per indicare che l’ex-cieco vedeva, perché qui si presuppone un vedere più profondo, il vedere della fede che è strettamente legato con la Parola che permette di passare dalle tenebre alla luce.

Diametralmente opposta alla situazione del cieco è quella dei farisei che vengono interpellati per una interpretazione del segno. Le domande dei Farisei rivolte sia ai suoi genitori che al cieco stesso hanno le caratteristiche di un interrogatorio, in cui la loro capacità argomentativa di fronte alla testimonianza del cieco frana sino all’uso della violenza.

Il loro essere depositari del sapere produce un indurimento dei loro cuori e un irrigidimento delle loro posizioni che non lascia nessuno spiraglio all’iniziativa di Dio e non permette loro un cammino di consapevolezza della loro cecità come quello compiuto dal cieco guarito, la loro incredulità rimane un atteggiamento stabile che oltre che ciechi li rende sordi. Il “non mi avete ascoltato, cosa volete sentire ancora?” (vs. 27) rivolto loro dal cieco sottolinea ancora una volta la relazione tra l’ascolto e la vera sapienza del cuore.


Riferimenti: Sul peccato e la sofferenza: Es. 20, 5; Nm 14, 8; Dt 5., 9; Tobia 3, 1 e segg.; Ger. 31, 29; Ez. 18.

 

Meditazione su Gv 9,1-41

 

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