[15] Gesù] disse loro: “Andate in tutto il mondo e
predicate il vangelo ad ogni creatura. [16] Chi crederà e sarà battezzato
sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. [17] E questi saranno
i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno
i demoni, parleranno lingue nuove, [18] prenderanno in mano i serpenti
e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le
mani ai malati e questi guariranno”. [19] Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro,
fu assunto in cielo (2Re 2,11) e sedette alla destra di Dio (Sal 110,1).
[20] Allora essi partirono e predicarono dappertutto,
mentre il Signore cooperava (cf. Mt 28,20) e confermava la parola
con i prodigi che l'accompagnavano. |
[tra parentesi quadre, al v.14, la parte di testo
che non verrà letta nella liturgia domenicale]
*Le
parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio
L'Evangelo secondo Marco si
concludeva al v.8 di questo capitolo 16. I vv. da 9 a 20 sono stati inseriti
successivamente, ma sono stati ritenuti ugualmente ispirati e perciò canonici.
Noi pertanto li leggiamo come espressione dell'esperienza di fede e di comunità
compiuta da uomini che hanno ritenuto "incompleto" l'Evangelo di
Marco - che era già rispecchiamento di un'esperienza comunitaria - senza
quest'aggiunta conclusiva.
Che tipo di esperienza
andava facendo quella comunità cristiana da indurla ad integrare addirittura il
testo evangelico? Cosa veniva percepito come assolutamente costitutivo
dell'essere comunità?
Il dato dominante sembra
essere l'esperienza missionaria a vasto raggio, la compagnia di ogni uomo. Una
compagnia che viene sentita come ubbidienza: andate in tutto il mondo e
proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Ma c'è di più. C'è la consapevolezza di
una efficacia congiunta ad un'inadeguatezza (o magari generata
proprio da quella). Questa proclamazione è sentita come efficace perché genera
fede e questa fede, a sua volta proclamata, genera azioni. Sono le azioni di
liberazione espresse dal linguaggio del tempo nei vv.17-18 e più diffusamente
tratteggiate nel libro degli Atti. La predicazione è efficace nei confronti
delle alienazioni di vario genere che abitano ogni uomo (scacciare demoni); è
efficace nella misura in cui riesce ad entrare nei processi comunicativi
profondi (parlare lingue nuove); è efficace nella misura in cui attraversa la
mondanità senza esserne risucchiata (prendere in mano serpenti; non essere
danneggiati dal veleno); è efficace nella misura in cui è portatrice di
guarigione esistenziale e fisica (imporre le mani e guarire). Ma l'efficacia di
questa predicazione ha da essere interpretata proprio perché i suoi
presupposti di inadeguatezza non la giustificherebbero e la comunità che vive
quest'efficacia sente la necessità di fissare tale interpretazione (a questo si
allude quando si parla di "comunità ermeneutica") in un testo che è
appunto quello che andiamo ruminando. Quale interpretazione dà la comunità alla
propria missionarietà efficace?
Ci sono due segnali
linguistici che rispondono: "nel
mio nome" (v.17) e "cooperava" (v.20). Il Signore è presente
nella comunità. L'Ascensione non accorcia, anzi allunga la mano di Dio. La
comunità interpreta il proprio essere-comunità ed il proprio essere-
con-il-mondo nel senso di un agire a partire da Gesù e con Gesù. La presenza
del Gesù cooperante fa giustizia di ogni inadeguatezza del singolo discepolo.
Ecco perché è indispensabile inserire il v.14 tutto intero. Perché il v.14
segnala la coscienza, esperita dalla comunità, di esistere per la proclamazione
e per la compagnia di ogni uomo nonostante l'incredulità e nonostante
la durezza del cuore. Gli Undici sono inviati mentre sono rimproverati.
Gli Undici non sono stati resi "perfetti". Gli Undici sanno che è
difficile la fede. Ma gli Undici si muovono ugualmente, recano servizio
alla Parola, sono testimoni delle conversioni o non conversioni altrui, sono
testimoni di ciò che la Parola stessa, attraverso di loro e dei loro seguaci, è
capace di fare e interpretano tutto questo, in maniera molto semplice, come
presenza parlante e operante di Gesù nella comunità indegna. Questo è "prodigioso"
(v.20). Il vero prodigio avviene laddove una comunità - ripeto: una comunità,
non singoli "santi" -, a partire dalla propria precarietà
esistenziale, crede fermamente che la Parola è efficace a prescindere da
chi la proclama e a condizione che la sua proclamazione sia realmente
comunitaria così come l'ha pensata il Signore.
Dobbiamo essere grati a
quest'anonimo scrittore, membro di una comunità "indegna", se ha
voluto impedire che la Buona Notizia di Marco si concludesse con quel "e
non dissero niente a nessuno, perché avevano paura" (Mc 16,8) che ancora
oggi, purtroppo, continua a ripetere chi, per mettersi in gioco, nel suo
solitario e triste cammino di fede costellato da innumerevoli "è
difficile…", aspetta di diventare perfetto e degno pensando che tutto
dipenda da lui.
Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :
Ø
I
brani indicati dalle varie Bibbie riferiti agli Atti degli Apostoli
Ø
Su
Parola e guarigione: Mc 1,21-2,12
Ø
Sul
parlare in lingue: 1Cor 14,2-40
Ø
Su
salvezza e condanna: Gv 3,16-21