Introduzione alla lectio divina su Mc 16, 14-20

domenica 1 giugno 2003 - Ascensione

[14] Alla fine apparve agli undici, [mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato.

[15] Gesù] disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. [16] Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. [17] E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, [18] prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.

[19] Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo (2Re 2,11) e sedette alla destra di Dio (Sal 110,1).

[20] Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore cooperava (cf. Mt 28,20) e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.

 

[tra parentesi quadre, al v.14, la parte di testo che non verrà letta nella liturgia domenicale]

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

 

L'Evangelo secondo Marco si concludeva al v.8 di questo capitolo 16. I vv. da 9 a 20 sono stati inseriti successivamente, ma sono stati ritenuti ugualmente ispirati e perciò canonici. Noi pertanto li leggiamo come espressione dell'esperienza di fede e di comunità compiuta da uomini che hanno ritenuto "incompleto" l'Evangelo di Marco - che era già rispecchiamento di un'esperienza comunitaria - senza quest'aggiunta conclusiva.

Che tipo di esperienza andava facendo quella comunità cristiana da indurla ad integrare addirittura il testo evangelico? Cosa veniva percepito come assolutamente costitutivo dell'essere comunità?

Il dato dominante sembra essere l'esperienza missionaria a vasto raggio, la compagnia di ogni uomo. Una compagnia che viene sentita come ubbidienza: andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Ma c'è di più. C'è la consapevolezza di una efficacia congiunta ad un'inadeguatezza (o magari generata proprio da quella). Questa proclamazione è sentita come efficace perché genera fede e questa fede, a sua volta proclamata, genera azioni. Sono le azioni di liberazione espresse dal linguaggio del tempo nei vv.17-18 e più diffusamente tratteggiate nel libro degli Atti. La predicazione è efficace nei confronti delle alienazioni di vario genere che abitano ogni uomo (scacciare demoni); è efficace nella misura in cui riesce ad entrare nei processi comunicativi profondi (parlare lingue nuove); è efficace nella misura in cui attraversa la mondanità senza esserne risucchiata (prendere in mano serpenti; non essere danneggiati dal veleno); è efficace nella misura in cui è portatrice di guarigione esistenziale e fisica (imporre le mani e guarire). Ma l'efficacia di questa predicazione ha da essere interpretata proprio perché i suoi presupposti di inadeguatezza non la giustificherebbero e la comunità che vive quest'efficacia sente la necessità di fissare tale interpretazione (a questo si allude quando si parla di "comunità ermeneutica") in un testo che è appunto quello che andiamo ruminando. Quale interpretazione dà la comunità alla propria missionarietà efficace?

Ci sono due segnali linguistici che rispondono:  "nel mio nome" (v.17) e "cooperava" (v.20). Il Signore è presente nella comunità. L'Ascensione non accorcia, anzi allunga la mano di Dio. La comunità interpreta il proprio essere-comunità ed il proprio essere- con-il-mondo nel senso di un agire a partire da Gesù e con Gesù. La presenza del Gesù cooperante fa giustizia di ogni inadeguatezza del singolo discepolo. Ecco perché è indispensabile inserire il v.14 tutto intero. Perché il v.14 segnala la coscienza, esperita dalla comunità, di esistere per la proclamazione e per la compagnia di ogni uomo nonostante l'incredulità e nonostante la durezza del cuore. Gli Undici sono inviati mentre sono rimproverati. Gli Undici non sono stati resi "perfetti". Gli Undici sanno che è difficile la fede. Ma gli Undici si muovono ugualmente, recano servizio alla Parola, sono testimoni delle conversioni o non conversioni altrui, sono testimoni di ciò che la Parola stessa, attraverso di loro e dei loro seguaci, è capace di fare e interpretano tutto questo, in maniera molto semplice, come presenza parlante e operante di Gesù nella comunità indegna. Questo è "prodigioso" (v.20). Il vero prodigio avviene laddove una comunità - ripeto: una comunità, non singoli "santi" -, a partire dalla propria precarietà esistenziale, crede fermamente che la Parola è efficace a prescindere da chi la proclama e a condizione che la sua proclamazione sia realmente comunitaria così come l'ha pensata il Signore.

Dobbiamo essere grati a quest'anonimo scrittore, membro di una comunità "indegna", se ha voluto impedire che la Buona Notizia di Marco si concludesse con quel "e non dissero niente a nessuno, perché avevano paura" (Mc 16,8) che ancora oggi, purtroppo, continua a ripetere chi, per mettersi in gioco, nel suo solitario e triste cammino di fede costellato da innumerevoli "è difficile…", aspetta di diventare perfetto e degno pensando che tutto dipenda da lui.

 

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

Ø      I brani indicati dalle varie Bibbie riferiti agli Atti degli Apostoli

Ø      Su Parola e guarigione: Mc 1,21-2,12

Ø      Sul parlare in lingue: 1Cor 14,2-40

Ø      Su salvezza e condanna: Gv 3,16-21