Lectio Divina di Gv. 8,1-11
V domenica di Quaresima 1/4/2001
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Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno dopo l’altro, cominciando dai
più anziani (in greco, presbuteroi
) [fino all’ultimo] e fu lasciato solo e la donna era là in mezzo.
[10] Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno
ti ha condannata?”.[11] Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”.
E Gesù le disse: “Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare
più”. |
All’interno
dell’itinerario liturgico finora propostoci, il brano dei vv.8, 1-11 di
Giovanni può leggersi come ulteriore tappa di una più grande meditazione sulla
relazione tra peccato e perdono, colpa e misericordia.
Una riflessione, questa,
che la prospettiva giovannea arricchisce in senso cristologico. L’esperienza
del peccato, nella figura dell’adultera, è narrativamente collocata come
preludio alla rivelazione che Gesù sta per compiere della sua natura
trascendente nel cap. 8: “Io sono la luce del mondo..” (8-12). E’
infatti nel peccato che si fa esperienza di Dio; è in questa dimensione di
misericordia che ci viene rivelata la sua identità.
Il racconto si articola
in tre momenti: un’introduzione che dà il contesto (Gesù, dopo essersi recato
al monte degli Ulivi, si trova nel tempio e qui ammaestra); il dialogo con gli
scribi e i farisei che gli conducono innanzi una donna colta in flagrante
adulterio; il dialogo tra Gesù e l’adultera.
La formulazione
dell’accusa contro l’adultera occupa la prima parte dell’incontro tra Gesù e i
farisei: la donna, in flagranza di reato, dovrebbe essere lapidata secondo la
Legge di Mosè. La richiesta del parere giuridico a Gesù è presentata come una
‘prova’ cui i farisei intendono sottoporlo, così da poter trarne pretesti per
una sua condanna.
Sta per essere simulato
un processo in cui la donna ed il suo peccato, viene “posto in mezzo”:
intorno si fanno gli accusatori e Gesù viene costituito giudice dai farisei.
Ma ad essere udita non sarà una sentenza di
condanna quanto, piuttosto, la riformulazione della legge sui testimoni di Dt
17,7: “chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei ”.
La condizione che Gesù
premette alla condanna, cioè di venir eseguita da chi è senza peccato, non può
che annullare la possibilità stessa di qualunque sentenza di morte,
ripristinando, nel contempo, un’uguaglianza tra l’adultera e tutti gli uomini,
che suona come scandalosa alla legge dei farisei. Gesù si riferisce alla ‘prima
pietra’ perché è la più difficile ad essere lanciata, “perché nessuno ha
ancora gettato pietre, perché occorre dar prove di iniziativa, occorre assumere
la violenza in quanto individui” (R. Girard). L’invito è infatti rivolto ad
ogni singolo (“chi di voi”), e non al gruppo nel suo complesso, perché si
tratta di un richiamo alla responsabilità individuale, ad entrare, ciascuno con
la propria vita, con le proprie colpe, in relazione con Dio, ma insieme al
fratello, non contro di lui.
La relazione frontale,
sembra dire Gesù, è possibile solo tra l’uomo e Dio, non tra uomo e uomo. Gli
scribi dunque rinunciano e si allontanano “uno per uno”: sono adesso dei
singoli di fronte a Gesù; ognuno ha maturato dentro di sé la conoscenza del
proprio peccato, condizione ineliminabile di ogni conversione.
Le parole di Gesù,
annuncio di una legge nuova, sono scandite dal gesto, non chiaro, di ‘scrivere
col dito sulla terra’, forse un richiamo a Ger.17,13 (“quanti si allontanano
da te saranno scritti nella polvere”),forse il segno di una scrittura nuova
che alla misericordia intende affidare la sua giustizia (“Io non giudico
nessuno..”Gv.8,15). Sta insomma per essere instaurato un nuovo ordine.
Nell’ultima
scena Gesù rimane solo con l’adultera; non ci sono più gli accusatori perché il
peccato non è più ‘sotto accusa’, è stato liberato dal giogo della morte
(Rm.5,12-20). Al gesto di una comunità che demonizza il peccato e condanna il
peccatore all’esclusione, ai margini, come i farisei verso l’adultera, come già
il figlio maggiore verso il minore ‘figliol prodigo’, si contrappone il gesto
di Gesù che nel peccato accoglie l’umanità, facendosi incontro alla donna e
perdonandola senza richiedere le ragioni e l’entità della sua colpa.
Perché ”laddove ha
abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia ”(Rm5,20); perché -
potrebbe aggiungersi - il perdono di Dio è infinito e, come tale, non è commisurato alla quantità o qualità
del peccato, non conosce i limiti e le restrizioni cui è, invece, soggetto ogni
giudizio umano (un giudizio ‘secondo la carne’, secondo le apparenze; v. Gv.
8,15).
Gesù
che sottrae con forza la donna alla morte certa è già splendida prefigurazione
del Cristo salvatore che, sulla croce, salirà a prendere il posto dell’adultera
e di tutti i peccatori, accogliendo nel suo corpo ogni condanna, ogni
lapidazione, ogni morte.
Alle parole “Neppure
io ti condanno: va’ e d’ora in poi non peccare più” l’uomo è fatto
creatura nuova perché sperimenta nel perdono il primo atto della resurrezione.
Brani
di riferimento:
·
Sulla
legge e sulla lapidazione: Nm 5, 12-31; Lv, 20-10; Dt 22, 22-24
·
Sul
peccato: Is. 43,16-21; Ger.7,13; Lc.7,37; Rom. 5,12-20
·
Guarigione
e perdono: Gv 5, 14