Introduzione alla lectio divina di Luca 4, 21-30

1 Febbraio 2004 – IV domenica del tempo ordinario

 

 

[21] Ora cominciò a dir loro: "Oggi si è adempiuta questa scrittura nei vostri orecchi". [22] E tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è il figlio di Giuseppe?".

[23] Ma egli rispose: "Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!". [24] Poi aggiunse: "Amen, vi dico: nessun profeta è bene accetto in patria. [25] In verità vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; [26] ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. [27] C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro".

[28] All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; [29] si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. [30] Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

 

 

 Quelle sottolineate sono parole ed espressioni chiave per la meditatio.

 

L’Evangelo di questa settimana costituisce la seconda parte del discorso tenuto da Gesù nella sinagoga di Nazaret che abbiamo iniziato ad ascoltare domenica scorsa; la continuità è sottolineata peraltro dalla ripresa iniziale del fondamentale v. 21, con cui si concludeva il brano precedente, che vede l’identificazione di Gesù come la Salvezza annunciata dai profeti. Il brano ha in Luca una fortissima valenza programmatica e prefigurativa della vicenda umana e spirituale del Cristo, estranea agli altri sinottici: Marco, ad esempio, nel punto corrispondente inserisce la chiamata dei primi discepoli (Mc 1, 16-20).

Tale pregnante lettura teologica spiega anche la forzatura cronologica evidente nell’accenno ai fatti di Cafarnao di cui Luca non ha ancora parlato. Più ‘coerentemente’, Marco colloca la predicazione a Nazaret dopo l’attività a Cafarnao e in tutta la Galilea: tuttavia, se un autore come Luca, che si autoqualifica come ricercatore ‘accurato’, compie una scelta del genere, ci si troverà di fronte con ogni probabilità ad un’operazione di rilettura consapevole dei fatti piuttosto che a una banale ‘svista’. Ciò che conta qui è, in effetti, la definizione dell’identità del Cristo profilata dal narratore: Gesù è Il Profeta rifiutato (come tutti i profeti autentici) dalla sua stessa gente, ed è rifiutato non alla fine di un intenso e favorevole periodo di Annuncio, come in Marco, ma già nel corso della sua prima manifestazione. In tal modo Luca inserisce Gesù nel solco della tradizione profetica ebraica, costellata da momenti esaltanti e da insuccessi infamanti, e coronata, il più delle volte, da una morte tragica. Si pensi, solo per addurre qualche esempio, a Geremia, il profeta vissuto oltre 600 anni prima del Cristo, le cui parole risuoneranno nella prima lettura (Ger 1, 4-5; 17-19), la cui franchezza ha determinato la morte per lapidazione: Tu, dunque, cingiti i fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro. … Ti muoveranno guerre, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti.

Ma il pensiero corre anche ai ‘profeti’ successivi a Cristo, alle parole di Stefano o di Paolo destinate a restare inascoltate, dunque incomprese, su cui Luca stesso indulgerà negli Atti (capp. 7 e 17). Lo schema lucano è del resto lo stesso sia nel vangelo sia negli Atti: all’offerta agli Ebrei segue il rifiuto, che tuttavia si rivela foriero di irradiazione salvifica per i pagani’ e per il mondo intero.

Per rimarcare la portata universale del messaggio di Cristo, che sconosce campanilismi, nazionalismi e ‘muri’ di qualsiasi sorta, Luca si concede ulteriori ‘forzature’, ma sarebbe meglio dire riletture, riguardanti episodi che hanno per protagonisti due profeti del calibro di Elia ed Eliseo. In effetti, nel testo biblico cui si fa riferimento, entrambi operavano soprattutto in Israele più che in terre o con genti straniere e lo stesso Naaman venne a immergersi nel Giordano per ottenere la guarigione. Nondimeno, nell’interpretazione che ne dà Gesù in Luca, la cura dei due profeti per la vedova di Sidone e per il lebbroso siro, assurge a manifesto e indicazione netta della cura e dell’attenzione indistinta verso qualsiasi uomo che Cristo, e poi soprattutto la Chiesa, mostreranno (At 13-15).

Non sarà un caso che proprio l’annuncio della portata universale della missione di Gesù inneschi lo sdegno della gente, che, repentino, subentra all’effimero favore iniziale. Anche qui, non è il caso di indulgere su improbabili spiegazioni di psicologia delle masse – masse certamente frustrate anche dall’attesa vana dei miracoli di un Messia che non si piega a fare il prestigiatore – , quanto di comprendere ciò che Luca vuole dirci. Una delle indicazioni rilevabili è che un ascolto, per quanto ‘devoto’ e costante, come quello degli adunati nella sinagoga, non garantisce di per sé della comprensione e del nutrimento che la Parola – Profezia può dare: occorre la fiducia gioiosa di chi sa lasciarsi provocare da quell’Ascolto, di chi non cede alla tentazione di conformare quella Parola alla piccola misura dei propri orizzonti di attesa, anche a costo di rimettere in discussione, ogni volta, qualche presunta, irrigidita certezza.

 

Riferimenti:

 

Ø      Sulla sorte riservata ai profeti: Eb 11, 32-39.

Ø       Elia ed Eliseo: 1 Re 17, 7-16; 2 Re 5, 1-27.