Breve meditazione su Mc 1,29-39 (Febbraio 2000)

 

 

In molte occasioni, durante la sua attività pubblica, Gesù intima ed ammonisce di fare silenzio su ciò che accade. Sia ai miracolati nel corpo come a quelli guariti nello spirito, così come agli apostoli, quali primi depositari della verità del Vangelo, Gesù rivolge sempre lo stesso appello con solenne premura: non divulgare e non parlare pubblicamente del miracolo o del fatto straordinario avvenuto per causa sua.

E’ possibile comprendere questo strano modo di fare di Gesù soltanto alla luce di un’attenta ed orante meditazione su quella che è stata la vita di Gesù Nazareno, dalla nascita alla morte-risurrezione. Gli apostoli stessi potranno giungere alla piena comprensione dell'identità di Gesù soltanto dopo la sua scomparsa, attraverso la sua risurrezione ed ancor più dopo la discesa del Paraclito nel giorno della Pentecoste.

Tutto ciò che Gesù compie, sembra non limitarsi al tempo ed allo spazio in cui si svolge l'azione, ma piuttosto rimandare ad un altro tempo e ad un altro spazio in cui sarà resa possibile la comprensione della predicazione e dell'opera del Figlio dell’uomo. D’altronde, anche umanamente, viene spontaneo porsi una domanda: a che serve una guarigione come quella della suocera di Simone o una risurrezione come quella di Lazzaro, se poi, inevitabilmente, le stesse persone miracolate tornano a vivere in questo mondo, soggette nuovamente alle tentazioni del male, alle malattie e infine alla morte? In effetti, tutto ciò che avviene per opera di Gesù è solo il segno di un progetto più grande, di portata universale; è solo l'anticipo di ciò che sarà. Tutto rinvia ad un tempo diverso.

Che sia così, ne è prova la vita stessa di Gesù: una vita di ascolto e di obbedienza al Padre, nel pieno rispetto delle misteriose relazioni trinitarie, vissuta tra la solitudine e le folle, tra il deserto e la città, tra preghiera e azione, con il preciso intento di realizzare la salvezza dell’uomo, soddisfacendo così il più intimo e profondo desiderio del Padre. Per far questo, per glorificare cioè il Padre nella sua frenesia d’amore, non c'era altro modo se non quello della condivisione della sofferenza e delle fatiche dell'umanità da parte del Figlio, in un movimento di totale solidarietà con l'uomo; quel movimento che, conducendo Gesù dal deserto delle tentazioni all'inferno della croce, gli permette di proclamare, al contempo, il suo universale messaggio di speranza: quello che, espressamente anticipato tramite le guarigioni e le risurrezioni parziali dell’uomo in questa vita, si esprimerà in pienezza nel Giorno dei giorni: la Pasqua di Resurrezione.

Dunque, siamo invitati a guardare, con gli occhi della fede, oltre la nostra quotidianità, oltre il tempo della nostra vita, per scoprire in Cristo morto e risorto le ragioni della nostra speranza. Ogni male ed ogni sofferenza può essere accettata e vissuta con dignità cristiana solo se viene portata ai piedi della croce di Cristo; così come, solo alla luce della Sua risurrezione si può leggere e comprendere il significato di ogni guarigione e di ogni risurrezione umana.

L'evento della Resurrezione rappresenta il modo con cui Dio, scuotendo tutto il nostro essere, ci prende per mano e ci guarisce definitivamente, liberandoci dalla schiavitù della morte.

A noi non rimane altro da fare che, una volta risollevati dal Signore, metterci a servirlo.

 

Giovanni, Comunità Kairòs