LECTIO DIVINA

"Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli"

Gv 13,31-35

di Alessandra e Giovanni Farro

 

Quand’egli fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".

E' Pasqua, il Padre è riunito a tavola con i suoi figliolini per il pasto della festa, per l'incontro supremo durante il quale darà le sue raccomandazioni, i suoi consigli, il suo conforto. 1 giochi ormai sono fatti: il tradimento è avvenuto, Giuda è uscito, la passione è cominciata. E' l'ora di Cristo, quella del trionfo; Gesù, superata ormai la fase emotiva del turbamento ( cfr. Gv 12,27 e Gv 13,21) per l'imminenza della morte, è ormai al di là della prova, dopo aver riportato la vittoria, nel cuore di Dio.

Anticipando la gloria della fine dei tempi, quando la zizzania verrà separata dal grano e saranno tutti mondi, ora che il figlio del male ha finalmente abbandonato la casa dei santi, il presente di Gesù è l'etema presenza della gloria divina.

Viene superata ogni distinzione di tempo: non c'è presente, non c'è passato, non c'è futuro; i tre tempi sono presenti e assenti tutti insieme nello stesso momento in un processo valutato e vissuto secondo una prospettiva di eternità. Nell'ora di Cristo avviene ciò che subito è dovuto accadere: dalla passione-morte alla resurrezione-ascensione una sola breve azione, già appartenente al passato, inscritta in un processo logico che porta inevitabilmente alla gloria futura alla presenza del Padre.

Quindi la reciproca glorificazione dei Figlio dell'uomo e di Dio quale conclusione logica dell'intera missione di Gesù. Ma la glorificazione non consiste solo nel riottenere in cielo la gloria che gli spetta: essa si completa e diventa piena nel compimento della promessa del dono della salvezza, della vita a tutti i credenti.

"Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no ve lo avrei detto. Io vado a prepararvi un posto." (Gv 14,2): queste le parole che Gesù dice a Pietro e ai discepoli a scopo rassicurante, queste le stesse parole che i discepoli ancora non capiscono, ancora troppo presi emotivamente dalla angosciante tristezza per l'imminente separazione dal Maestro. Non capiscono ancora che Gesù si sta impegnando, nel momento più difficile della sua vita, in una promessa solenne ai suoi amati: la felicità ed il suo ritorno definitivo attraverso il Paraclito che illuminerà la fede di tutti i cristiani insegnando loro a capire ogni cosa.

Infatti, se è vero che Gesù, andandosene, dice agli apostoli che dove va Lui loro non possono ancora andare, è pure vero che lo sta dicendo ai suoi figliolini: e come potrebbe un Padre negare la propria vicinanza ai suoi figli a meno che la negazione di un momento non sia propedeutica ad una accoglienza futura nel Suo Regno fatta come si deve? "Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io" E cosa significa " .... vi preparo un posto" se non altro che una raccomandazione speciale presso Dio per la felicità di tutti gli uomini di buona volontà?

Soltanto dopo, quando tutto sarà accaduto, i discepoli, animati dallo Spirito e a cuore ardente, riconosceranno finalmente Cristo come l'Uomo-Dio, colui la cui vita non è stata altro che un grido di speranza rivolto ad essi, ad ognuno di loro, a Pietro, nonostante i suoi tradimenti già previsti, a Tommaso, l'incredulo, e a tutti loro che erano destinati a tradire, fallire, peccare. E' lo stesso grido che rimbomba, con rinnovato ed eterno vigore, ancora oggi nel cuore di ogni cristiano di buona volontà il quale sa che, nonostante la sua fede imperfetta, il suo peccato, ma solo in virtù del suo sì a Dio può sperare in un posto nel Cielo tutto per lui.

Dio, donando la caratteristica della perfezione alla fede del suo Figlio, sottintende che una tale fede non può essere eguagliata da alcun uomo; e ciò è motivo ulteriore per sperare oltre ogni misura: è nella ricerca continua di Dio, nella tensione costante alla perfezione della propria fede, pur se nella coscienza che non ci potrà mai arrivare, anzi proprio per il fatto che sa di non poterci mai arrivare, che l'uomo è salvato. E' in questa lotta perenne contro il proprio male, in questo lavorìo continuo di superamento di sé per riconoscere e testimoniare il Cristo vivente, che Dio vede il cristiano e lo salva.

Ed ecco ad un tratto una sorpresa per gli Apostoli: Gesù, nell' attimo culminante, alla fine ormai della sua "carriera" dà, in forma testamentaria, un "comandamento nuovo", una consegna universale che può sorprendere e deludere al contempo. Come è possibile infatti che dopo millenni di storia biblica, di profeti, di guerre, di messaggeri di Dio si possa parlare ancora di un nuovo comandamento? Dopo le Tavole della Legge, dopo tutte le regole e gli ammonimenti dei Padri ci si poteva aspettare che qualcuno proclamasse ancora un comandamento divino attibuendogli per di più la caratteristica della novità? La risposta é sì: sì se il comando viene dal Figlio di Dio. Ma perchè sarebbe nuovo? In fondo l'amore è lo scopo e l'essenza dei comandamenti antichi.

La partita qui si gioca tutta sul contrasto tra ciò che è antico e ciò che è nuovo, tra ciò che era e ciò che è e che dovrà essere: "le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove (2 Cor 5,17). C'era la legge dei Padri, ora c'é la Legge di Cristo. Riflettiamo: la legge mosaica, scritta sulla pietra, aveva lo scopo principale di portare a livello cosciente la presenza del peccato dell'uomo;con la legge mosaica il peccato aveva la malizia di essere contrario a leggi positive e, come se non bastasse, è proprio di quella legge che il peccato si serviva come punto di appoggio per i suoi attacchi. Con il battesimo i Giudei morivano alla legge mosaica, non vi erano più soggetti.

Il cristiano, animato dallo Spirito, è liberato in Cristo da ogni legge che lo opprima dall'esterno. Con la venuta di Cristo non bisogna più obbedire ad opprimenti leggi esteriori scritte su pietra. La Legge di Cristo é scritta nel cuore, è legge interiore ed è la stessa legge che ha ispirato la vita di Cristo: il comandamento nuovo è Cristo stesso che si dona ai cristiani per liberarli dal peso di leggi esterne, ed è nuovo perché l'essenza di tutta la legge, l'amore di Dio, si è incarnato, è ormai apparso in mezzo a noi come realtà tangibile e vincolante. Per amare non basta più riferirsi a se stessi (cfr. Lv 19,18), bisogna guardare a Gesù, sottomettersi alla sua legge d'amore che, lungi dall'essere un’istanza morale, rappresenta una rinnovata possibilità di vita per la quale il cristiano si lascia conformare a Cristo dal suo Spirito, permettendo che Cristo stesso viva in lui.

Ma ricordiamoci che noi amiamo perché Lui ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4,19): senza di Lui non esiste amore cristiano; è stato Cristo che per primo ha dato la sua vita per i suoi eletti a gloria di Dio.

In Giovanni il testamento del comandamento nuovo (memoria esistenziale) sembrerebbe sostituire la descrizione dell'evento dell'istituzione dell'eucaristia (memoria cultuale); ambedue le consegne intendono rendere l'Assente presente nella vita del discepolo e sono tra di esse in rapporto dialettico: l'una non può esistere senza l'altra per cui l'aspetto cultuale ritrova tutto il suo senso solo nella pratica di un amore effettivo che porti a consacrare la propria vita ai fratelli in Cristo. Le due memorie, così come il passaggio di Cristo al Padre, espressione entrambi dell'amore di Dio per gli uomini, rappresentano il fondamento della comunità cristiana; i discepoli presenti durante l'ultima cena rappresentano tutti i futuri credenti per cui il comandamento nuovo dell'amore è rivolto a tutti i cristiani di tutti i tempi: essi, animati dallo Spirito, non hanno altra scelta se non quella della vita comunitaria in cui i rapporti tra i vari membri vengono regolati esclusivamente sulla base della Parola di Dio mediata da Gesù Cristo attraverso lo Spirito. E' l'amore di Cristo che guida la comunità cristiana sulla via della verità esprimendosi attraverso l'amore dei discepoli.

Ma se la conseguenza dell'amore di Dio e della missione del Figlio è il costituirsi della comunità cristiana, allora l'unico effetto possibile dell'azione della comunità cristiana, in obbedienza al "comandamento nuovo", è la missione nel mondo per la salvezza di tutti gli uomini, a gloria di Dio.

Gesù, lavandoci i piedi, ha voluto di fatto sottolineare la sua dipendenza servile dalla missione dei cristiani i quali non hanno altro scopo se non quello di andare per il mondo ad irradiare la Sua presenza. In Cristo si é rinnovata e compiuta l'alleanza di Dio con gli uomini e ai discepoli è affidato il compito di testimoniare universalmente l'amore di Gesù che, sfidando il mondo, porterà gli uomini a scegliere la luce.

Finchè nel mondo ci sarà amore cristiano, il mondo potrà conoscere Gesù: fare incontrare il Cristo vivente agli uomini attraverso il nostro amore reciproco di cristiani è la nostra missione.