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Didattica

IL TEATRO NELLA SCUOLA

Esperienza didattica svolta con le classi 2^AB di Via Tauro nell'anno scolastico 1999-2000

dalle inss. A.Pignataro, L.Lillo e Calò,

con l'operatore tetatrale A. Recchia

 

PREMESSA

Cosa significa oggi fare "teatro" nella scuola? E ancora, cosa significa oggi fare "teatro" nelle Scuole del Meridione?

Sarebbe assurdo pensare che avendo cambiato tanto la nostra società, sia nel costume quotidiano che nelle modalità e nelle forme di pensiero, la scuola rimanesse attaccata a schemi che non le appartengono più,

Comunque, questa "assurdità" si verifica in tanti Istituti Scolastici che, anche avendo cambiato le forme, hanno conservato quasi incolumi i vecchi contenuti. Programmi che si seguono da "sempre" anche avendo la "giornaliera" consapevolezza della loro inefficacia.

Il "teatro" nella Scuola, salvo rare eccezioni, è da sempre considerato un "momento spensierato" possibilmente simpatico, inserito, di solito nelle solite ricorrenze scolastiche.

Gli insegnanti, a turno, si prendono la responsabilità della "direzione artistica" scegliendo i più bravi (belli, simpatici, di buona memoria, il figlio di…, ecc.). Cercano soprattutto di fare bella figura davanti ai propri colleghi. Un pubblico formato da genitori orgogliosi della bravura dei propri figli e, anche da genitori frustrati da non avere figli così bravi da meritare un posto sul palcoscenico; insegnanti che guardano lo "spettacolo" già pensando al futuro proprio turno e sentono il peso di una responsabilità che quasi mai prendono volentieri.

Altrettanto succede con le scenografie (spesso fatte dagli insegnanti di tecnica) con una minima e spesso nulla collaborazione reale dei ragazzi e creano una spaccatura fra realtà socio-culturale e proposta da comunicare. Questa distanza fra pensiero reale e proposta scenica allontana i ragazzi dall'evento teatrale come opportunità di crescita collettiva.

Il "rituale" del teatro come punto di ritrovo e scambio viene cancellato per dare spazio ad un momento senza maggiori interessi e dove ogni individuo è costretto ad esserci.

Oggi, più che mai, non servono belle scenografie non fatte dai ragazzi, non servono bei testi lontani dai ragazzi, non serve pensare alla bella figura come punto d'arrivo. Non serve più lavorare sulle forme e dimenticare i veri contenuti formativi.

Tutte le agenzie educative e sociali dovrebbero lavorare insieme cercando di riscoprire l'individuo come un essere senza scompartimenti.

Un'unità psico-fisica che agisce stimolata dagli impulsi offerti da un complesso sistema socio-culturale che non può e né deve essere considerato la somma di tante differenze, ma l'unione di tanti punti di vista dello stesso oggetto: l'essere umano.

 

MODALITA' DI LAVORO

La nascita

Il questo primissimo momento il lavoro si svolge nell'orario scolastico con l'intera classe. L'insegnante spiega ai bambini la "formula" della fiaba: il percorso dell'eroe ed il cammino che egli deve compiere per la crescita personale. In questo percorso ogni eroe troverà dei personaggi buoni, disposti ad aiutarlo e dei personaggi negativi che cercheranno d'impedire il suo successo nell'impresa. Il lieto fine dipenderà dalle giuste scelte dell'eroe e dalla capacità di credere in se stesso.

Si inventa un personaggio e la classe, divisa in gruppi, inizia ad immaginare i possibili percorsi e situazioni che dovrà vivere l'eroe appena nato.

In questo processo l'insegnante, che non condiziona mai le scelte dei bambini, cerca soltanto di aiutare i gruppi nello sviluppo di una storia che possa essere sentita come propria da tutti.

 

Primo linguaggio (letterario)

Una volta definita la storia, questa viene revisionata da un punto di vista morfologico e si stabiliscono tutti i passi che eseguono l'eroe e tutti gli altri personaggi.

La fiaba adesso è pronta per essere scritta.

Tutta la classe formalizza lo stesso racconto. I disegni sono liberi. Questo primo documento letterario viene "registrato" nei singoli quaderni dei bambini. Questa azione viene ancora guidata dall'insegnante.

Secondo linguaggio (teatrale)

In quest'ultima fase il gruppo classe integro viene guidato dall'operatore teatrale. Quest'ultimo è già consapevole del lavoro svolto nella settimana dalle insegnanti di classe. Anche lui conosce la fiaba e darà al linguaggio letterario un carattere d'azione concreta: LA PAROLA, CHE PRIMA ERA DESCRITTIVA, DIVENTA MOVIMENTO E "VITA".

Si divide la storia in scene e "momenti drammatici". Ogni momento scenico prevede un numero determinato di personaggi e delle azioni concrete da svolgere.

Ad esempio:

"La mamma fa i servizi in cucina e il bambino disegna il nostro eroe Scarabocchio". Questa scena, oltre all'azione implica anche un dialogo fra la mamma ed il proprio figlio. Nello svolgimento del proprio ruolo, ciascuno avrà l'assoluta libertà di dire quello che considera sia giusto e adatto alla propria scena. La mamma sa che deve arrabbiarsi con il bambino. Il bambino sa che è annoiato. Ogni "attore" esprime la rabbia e la noia a modo proprio. La stessa scena si ripeterà tante volte permettendo, a chi lo desidera, di diventare l'uno o l'altro personaggio.

 Ogni scena, pur essendo la stessa, cambia sempre, giacché cambiano gli interpreti. Non viene mai valutata la "qualità artistica". Tutti hanno il diritto di intervenire. Essendo un "gioco" nessuno sente l'imposizione del "fare bene" le cose, bensì la gioia di fare insieme un lavoro comune.

I personaggi si travestono con semplicissimi oggetti: un cappello, un bastone, un fazzoletto. Il mobilio quotidiano della scuola (banchi, sedie, ecc.) sono le scenografie delle nostre sceneggiature. Ogni scena diventa dinamica, divertente e viva, visto che non c'è l'obbligo di ripetere per raggiungere la "meccanizzazione teatrale".

(Anita Pignataro)

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