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USA, IL LENTO DECLINO DEI DEMOCRATICI

di Sam Smith

da "Progressive Review" (traduzione di S. Fusari)

Il 5 novembre 2002 ha segnato il culmine di un declino del partito Democratico cominciato, oltre dieci anni fa, sotto la leadership di un gruppo di conservatori, amici delle imprese e truffatori che hanno convinto i loro colleghi di partito che la salvezza di quest'ultimo fosse da ricercare nella distruzione della sua stessa ragione di essere. Questa ricetta, battezzata "spostamento al centro", era stata concepita dal cosiddetto "Democratic Leadership Council" (Consiglio dei leader democratici), un gruppo il cui senso sotteso non era quello di dirigere il partito, bensì quello di mandare la nave alla deriva, scegliendosi come liquidatore un governatore dell'Arkansas. Questo personaggio, di nome Clinton, un giorno fu scelto come candidato alla Presidenza. Era stato notato, esaminato, e infine era stato accolto negli asettici saloni dove si elabora la politica nazionale. I modi per farsi un nome a Washington dipendono tutti da poche regole precise, anche se rispetto a cinquant'anni fa, le opinioni delle lobby e degli sponsor sono molto più importanti, ad esempio, delle idee espresse dal sindaco di Chicago o dal governatore della Pennsylvania. E questa differenza è fondamentale: un tempo, dietro ai vecchi leader in uffici fumosi, c'era una base in carne ed ossa, mentre dietro agli affaristi della politica odierna non c'è che denaro. Farsi un nome non è quindi più, come una volta, un fatto di politica tradizionale, specialmente non di politica locale. Oggi, sono altre le cose importanti: la sponsorizzazione di quelli che contano, la benedizione casuale della persona giusta fatta ad un'altra persona giusta ad un pranzo di gala o l'elogio di un editorialista. Negli Stati Uniti, le candidature sono quindi ancora frutto della macchina politica: la differenza è che si tratta di una macchina che veste e comunica con maggiore cura. Vi è poi un'altra regola. La gente comune non ha alcun ruolo. La gente comune non è altro che un pubblico. Nel 1988, era già in corso lo spettacolo a cui avremmo assistito del 1992. L'ala conservatrice dei democratici teneva riunioni strategiche a casa della tesoriera del partito, Pamela Harriman. Gli incontri, che finivano per avere centinaia di ospiti, miravano a portare a termine la pluriennale insurrezione populista all'interno del partito. In questo spettacolo recitava anche il Consiglio dei leader democratici. Benché privo di un ruolo ufficiale all'interno del partito, il Consiglio si autodefiniva la voce della maggioranza. In realtà, si trattava in gran parte di una lobby a sostegno delle idee dei democratici degli Stati del Sud e di altre frange conservatrici, ma manipolò i media con tale efficacia da riuscire perfino a battezzare la propria commissione "Progressive Policy Institute" (Istituto per la politica progressista). Entro la fine degli anni Ottanta, la stampa e la leadership democratica avevano già raggiunto il consenso: i problemi del partito dipendevano da svariati fattori: - perdita del controllo da parte dei leader democratici a causa dell'eccessiva democratizzazione delle procedure di nomina e di svolgimento delle convention; - eccessiva accondiscendenza nei confronti dell'elettorato tradizionale rappresentato da neri, persone di sinistra e donne; - necessità di una nuova piattaforma democratica più conservatrice. Giunti alla convention del 1998, il consenso si era ormai radicato. US News & World Report scriveva: «Il fatto che i democratici abbiano superato ogni limite per apparire blandi e "normali" è incontrovertibile. Questa piattaforma, breve, noiosa e blindata ha conferito nuovo significato alla parola "insulso"». Con l'emergere di questa ortodossia, anche il linguaggio dei media è cambiato. Quelli che una volta erano diritti civili divenivano all'improvviso "richieste di particolari gruppi di pressione". L'epiteto di "moderati" e "maggioranza" che la destra democratica si era autoconferito veniva adottato senza alcun senso critico. E l'espressione "di sinistra" acquisì un senso peggiorativo, anche in articoli teoricamente obiettivi. Tutto questo concorreva a dare lustro a Clinton. Il seguito si presume ormai ben noto, ma a torto. Gli stessi giornalisti che avevano sostenuto in massa la candidatura di Clinton iniziarono a scrivere una vera e propria epopea, durata per otto anni, che creò una leggenda personale, proseguita anche davanti al crollo del partito. Ma in questa leggenda mancavano alcuni elementi importanti relativi all'Amministrazione Clinton: - 60 anni di programmi democratici efficaci venivano sgretolati; - programmi di sinistra fondamentali come la sicurezza sociale, la politica economica e l'istruzione pubblica venivano screditati agli occhi della gente. Ed è così che Clinton ha preparato il terreno per i repubblicani; - i programmi democratici tradizionali venivano sostituiti da una propaganda strisciante e disincantata, evidente specialmente nel modo in cui Clinton si relazionava con l'elettorato nero. Lo stesso uomo che piangeva nelle chiese nere imprigionava poi numerosissimi giovani di colore, inasprendo nel contempo una guerra della droga divenuta ancor più mortale per questi giovani di quanto non lo fosse stato il Vietnam per i giovani combattenti neri. Ovviamente, sono argomentazioni su cui si può discutere, ma ci sono altri elementi - passati sotto silenzio - su cui si potrebbe discutere: la disintegrazione dello stesso partito Democratico, ad esempio. Un'analisi da me svolta nel 1998 ha dimostrato che durante l'Amministrazione Clinton, i democratici hanno perso: - 48 seggi alla Camera; - 8 seggi al Senato; - 11 governatori; - 1.254 seggi nei parlamenti statali; - il controllo di 9 Stati. Inoltre, 439 democratici eletti sono passati al partito Repubblicano, mentre solo 3 deputati hanno compiuto il cambiamento inverso. Se è vero che i democratici perdevano seggi a livello statale da ormai 25 anni, le perdite durante l'era Clinton si sono rivelate impressionanti. Nel 1992, i democratici controllavano 17 Stati più dei repubblicani. Dopo il novembre 2000, i repubblicani controllavano uno Stato più dei democratici. Era la prima volta, dal 1954, in cui il Partito Repubblicano controllava più Stati di quello Democratico (nel 1968 avevano pareggiato). Il fatto è che, fin dal XIX secolo, nessun presidente democratico aveva mai patito una tale débacle elettorale come Clinton. Questa realtà sottaciuta contribuisce a spiegare come mai i democratici non hanno saputo fare di meglio neanche nel 2002. I repubblicani non hanno fatto che proseguire il loro glorioso assalto ad un partito ormai disperatamente indebolito da un'élite opportunista, infondata e autocompiaciuta che ha devastato la politica democratica così come la Enron ha colpito l'industria energetica, per non parlare degli azionisti e dei lavoratori. Come direbbe F. Scott Fitzgerald, sono stati negligenti: «Hanno distrutto cose e creature per poi ritirarsi con i propri soldi nella loro immensa negligenza, o in qualunque altra cosa li abbia mai tenuti insieme, lasciando gli altri a ripulire il disastro che avevano lasciato».



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