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TONCHINO, PRETESTO DI GUERRA

di Camillo Martino

da "Liberazione" del 07.08.02

Tornano a soffiare venti di guerra. Questa volta tocca all'Iraq, anzi ritocca, come undici anni fa: bisogna completare il lavoro lasciato a mezzo, con l'annientamento completo dell'antica Baghdad e della sua dirigenza politica. Ma per scatenare una guerra di tali dimensioni, che comporterà, come annunciato, l'impiego di centinaia di migliaia di uomini e dell'inimmaginabile armamentario che la più moderna e sofisticata tecnologia bellica mette a disposizione dell'imperialismo Usa, è indispensabile acquisire preventivamente l'appoggio concreto degli alleati più fidati (compresa l'Italia) e la comprensione, se non proprio il consenso, di una più vasta opinione pubblica mondiale. Occorre perciò una motivazione forte per giustificare una aggressione militare che minaccia di provocare milioni di morti; ed eccola confezionata e sbandierata questa motivazione: il rischio di un terrorismo batteriologico che partendo dall'Iraq può devastare l'occidente. Viene avanzato il forte sospetto (anche qui!) che Baghdad disponga di un notevole stock di virus di ebola e vaiolo, che sarebbe pronta ad usare per "ricattare e sottomettere le nazioni libere", come ha dichiarato in questi giorni il presidente Bush. Inutile dire che vi è un giustificato allarme in tutto il mondo, ed anche in Italia è scattata la mobilitazione delle forze democratiche e di sinistra con l'obiettivo di fermare questa nuova, annunciata follia bellica ed imporre il mantenimento della pace con gli strumenti della diplomazia e della collaborazione internazionale, sollecitando l'Onu a fare fino in fondo il suo dovere. La preoccupazione resta però altissima, ed i ricordi di noi non più giovani ci hanno riportato subito ad un altro inizio di un torrido agosto, quello del 1964, quando il cosiddetto "incidente" del Golfo del Tonchino segnò l'occasione e il debutto della terribile guerra del Vietnam, conclusasi, come tutti sanno, undici anni dopo, nella primavera del 1975, con l'ignominiosa fuga delle truppe americane da Saigon (oggi Ho-Chi-Minh Ville). E' forse utile, per le nuove generazioni, una breve ricapitolazione di quelle tragiche vicende (la guerra del Vietnam provocò la morte di milioni di persone e la distruzione pressoché totale di un Paese grande quasi come l'Italia).

Un incidente annunciato
Il Vietnam, così come la Germania e la Corea, aveva ereditato dalla seconda guerra mondiale, e dalla successiva guerra di liberazione nazionale conclusasi nel 1954 con la fine del dominio coloniale francese (con la famosa battaglia di Dien-Bien-Fuh) una spaccatura in due del Paese, lungo una linea retta che, per gli accordi armistiziali, corrispondeva al 17° parallelo; così al Nord si era consolidata la Repubblica Democratica del Vietnam, che gravitava nell'orbita dell'Urss e della Cina comunista, mentre al Sud era stato insediato un governo fantoccio, senza alcuna base popolare, che, dopo la rinuncia della Francia, era stato "adottato" dal governo degli Usa che vi avevano inviato un certo numero di "consiglieri". Ma gli accordi di pace prevedevano per l'autunno del 1964 una consultazione elettorale referendaria che avrebbe dovuto definire l'assetto definitivo del Paese in direzione di una riunificazione dello stesso. Fu subito chiaro che i risultati del referendum sarebbero stati favorevoli al Nord con una massiccia adesione dei sud-vietnamiti alla riunificazione con la Repubblica Democratica di Hanoi; ma la dottrina americana allora imperante, in piena guerra fredda, del "roll-back", cioè del contenimento dell'espansione comunista nell'Asia del sud-est, fece precipitare la situazione. Venne allora organizzato il famoso "incidente" del Golfo del Tonchino: lo scontro di unità navali del Sud, guidate dai "consiglieri" americani, con alcune motovedette del Nord, in acque territoriali Nord-vietnamite. Naturalmente il caso fu montato con falsi riferimenti dei luoghi dove lo scontro era avvenuto (come riconosciuto ufficialmente molti anni dopo dal Pentagono), a dimostrazione delle mire aggressive di Hanoi nei confronti del Sud-Vietnam; e questa messinscena servì da pretesto al governo fantoccio di Saigon per annullare la consultazione referendaria e perpetuare così lo statu-quo. Iniziò subito la lotta del Fronte di Liberazione nazionale del Sud per imporre il rispetto dei patti e tentare il rovesciamento del governo fantoccio. La reazione americana a questa che appariva a tutti una lotta sacrosanta per la liberazione e l'indipendenza del Paese fu terribile; in breve tempo furono portati in Vietnam molti soldati Usa (oltre mezzo milione) e tutto il terrificante armamentario della macchina bellica americana; già all'inizio del 1965 cominciarono i bombardamenti sul Nord-Vietnam, accusato dagli Usa di sostenere direttamente la lotta, anche armata, del Fln e dei partigiani vietnamiti, definiti, con intento di scherno, "viet-cong". Quello che avvenne dopo, nei lunghi dieci anni successivi, e che si concluse con la vittoria del popolo vietnamita, è ormai consegnato ai libri di storia.

La mobilitazione contro la guerra
Quello, però, che ci preme ricordare qui è la straordinaria mobilitazione dell'opinione pubblica di tutto il mondo a sostegno del piccolo e povero Vietnam, aggredito in modo brutale, disumano dalla grande potenza Usa. Si trattò di una mobilitazione senza precedenti, iniziata proprio nei campus delle stesse Università americane e dilagata a macchia d'olio dappertutto, in Europa, in Asia, in Africa, in Australia, nell'America Latina, risultando, alla fine, lo strumento decisivo della vittoria vietnamita, in quella che il mondo intero viveva come una guerra impari tra Davide e Golia. Ogni giorno, e per dieci anni, milioni di giovani manifestavano nelle piazze di tutti i continenti a sostegno della giusta lotta del popolo vietnamita; un'intera generazione, che fu chiamata appunto "generazione del Vietnam", restò segnata da queste vicende. Anche in Italia la campagna di solidarietà e di aiuti ai vietnamiti fu eccezionale. Consentite a chi scrive di ricordarne soltanto un aspetto, che lo vide partecipe in prima persona: quello degli aiuti sanitari.

Una missione italiana
Partimmo all'inizio del 1965 con un appello firmato da una ventina di medici di tutta Italia e di tutte le idee: avevamo pensato di raccogliere i fondi per l'acquisto di un ospedale da campo con l'attrezzatura completa e portarlo laggiù, in quel Paese tanto lontano, dove una cosa del genere era urgente e indispensabile; non sapevamo quanto tempo avremmo impiegato a raccogliere i cento milioni, di lire di allora, necessari, fra noi medici e i partiti popolari, i sindacati, le cooperative, le organizzazioni democratiche di massa cui ci eravamo rivolti. La risposta fu straordinaria e sorprendente: in poco più di tre settimane l'obiettivo era raggiunto (arrivavano anche buste di modesti pensionati con dentro un biglietto da cinquecento lire e parole di scusa per l'esiguità della somma). Questa commovente gara di passione umana ci riscattava tutti dall'orrore che ci aveva mossi alla solidarietà, ed io potevo sbarcare in Vietnam, già alla fine dell'estate del 1965, con il mio carico di attrezzature ospedaliere e di medicinali. L'avventura del nostro ospedale continuò, grazie al contributo militante di milioni di italiani, per tutto il periodo della guerra, così come continuavano le atrocità degli aggressori americani: milioni di tonnellate di esplosivo sganciate su tutto ciò che aveva fattezze di una costruzione (scuole, lebbrosari, pagode), e poi il napalm, il fosforo bianco, che bruciava tutto e tutti, la diossina per defoliare le foreste, le piccole bombe a frammentazione che straziavano le carni di uomini, donne, bambini. Sono ricordi terribili anche per chi, come me, era per professione abituato a cercare di rimediare i danni di tanta nefandezza. Unico ricordo gradevole di quella esperienza un bagno in mare, in un giorno di riposo, fatto in compagnia di alcuni giovani medici vietnamiti, proprio nelle acque del Golfo del Tonchino, nella meravigliosa baia di Ha-Long, al largo delle coste del Nord-Vietnam, non lontano dal luogo dove era stata organizzata, trentotto anni fa di questi giorni, la provocazione che aveva dato inizio alla epopea del Vietnam. Tornando all'oggi, e proprio ricordando il passato, è indispensabile alzare forte, ancora una volta, il grido: fermiamo la guerra, salviamo la pace.






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