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SADDAM: L'IRAQ NON E' L'AFGHANISTAN

di Sayyid Nassar

da "Al-Jazira"

Ecco il testo integrale dell'intervista al Presidente iracheno Saddam Husayn. Il giornalista egiziano, prima di passare alle domande, si dilunga descrivendo l'atmosfera da lui incontrata a Bagdad.

Ho trascorso più di due ore col Presidente Saddam Husayn e con Tareq Aziz, vice-Premier e decano della diplomazia araba da più di mezzo secolo. Ci trovavamo in uno dei palazzi presidenziali, nella parte antica della città, quella costruita dal califfo Abu Ja'far al-Mansur, centro del califfato islamico abbaside che vide sovrani come al-Amin, al-Ma'mun e Harun ar-Rashid. All'epoca questa ricca regione conobbe un'enorme produzione scientifica e innumerevoli furono le traduzioni dei più importanti testi in lingua persiana e cinese: Bagdad era un faro per la Scienza ed il palazzo in cui mi trovavo un tempo era circondato da rose e non da missili. L'Iraq è un Paese composito per etnie e religioni: arabi, curdi, turcomanni, caldei, sunniti, sciiti. Qui sono sepolti i Dodici Imam dello sciismo a partire da 'Ali e dai suoi figli Hasan e Husayn. E' il Paese delle dieci mila palme e dei datteri migliori. E' il Paese dei più grandi poeti arabi come Abu Nawas e al-Mutanabbi. Bagdad, circondata dai giardini e dalle aree verdi e dal più grande parco del mondo, quello di Zawra'... Bagdad che vieta la costruzione dei grattacieli in cemento... Bagdad amica dell'ambiente che non USA mai mezzi distruttivi... L'Iraq centro del califfato abbaside nella sua epoca d'oro e dei luoghi sacri dello sciismo.



D: Signor Presidente, cosa vogliono gli USA?

R: Gli USA vogliono distruggere i centri di potere in tutti gli stati arabi. Sia che si trovino al Cairo o a Damasco sia a Bagdad. Ci si guardi attorno nella regione, si guardi ai tentativi di dividere il Sudan in un nord e in un sud, e si guardi agli effetti che ciò potrebbe avere sull'Egitto, sulla sua sicurezza nazionale e, in generale, sulla sicurezza dei Paesi arabi. Si guardi a cosa succede in Algeria e cosa è accaduto e tuttora accade in Somalia e in tutti i paesi del Corno d'Africa. Guardi cosa accade nella Palestina Occupata e ciò che ha fatto Sharon con i nostri fratelli palestinesi. Sono tutti indizi che rivelano l'esistenza di un piano contro la nazione araba.

D: Ma in particolare, cosa vogliono gli USA dall'Iraq?

R: Gli USA vogliono imporre la loro egemonia sulla nazione araba e, per iniziare vogliono impadronirsi di Bagdad, colpire i paesi che si ribellano a questo disegno che rifiutano tale egemonia. Da Bagdad occupata militarmente passeranno a colpire Damasco e Tehran che anch'esse saranno divise. Creeranno grandi problemi all'Arabia Saudita e tenteranno di creare piccole entità statali governate da guardie e sentinelle che lavoreranno per gli Stati Uniti. Così facendo non ci sarà più nella regione uno Stato più grande di Israele, né nella quantità né nella modalità. Il petrolio arabo sarà sotto il controllo di Washington e l'intera regione -in special modo i pozzi di petrolio dopo la distruzione dell'Afganistan- saranno sotto la loro totale egemonia. Sono tutti fatti che vanno a favore di Israele. Lo scopo è di trasformare Israele in un enorme Impero dell'area. Adesso è l'Iraq che subisce questa strategia mentre gli altri [Paesi arabi, n.d.t.] non si rendono conto che difendendoci difendiamo anche loro. Nessuno si salverà dal complotto ora in atto contro l'Iraq. Per Washington e Tel Aviv sono tutti uguali e ciò che colpisce noi e che viene preparato per noi oggi, accadrà agli altri domani.

D: Il piano di spartizione riguarda anche l'Arabia Saudita e i Paesi del Golfo?

R: Dissento con chi dice che l'Arabia Saudita verrà divisa in favore dello Yemen o dell'Oman e con chi afferma che c'è la possibilità che sceiccati e emirati del Golfo possano scomparire. Al contrario ritengo che il prototipo degli sceiccati e dei piccoli emirati si diffonderà nell'area. Per questo tutti i grandi stati come l'Iraq o la Siria o l'Arabia Saudita saranno divisi in piccoli emirati: questi piccoli staterelli potranno governare ma potranno solo stare a guardia dei pozzi. Questo in favore degli USA che controlleranno le zone petrolifere dall'Algeria fino al Mar Caspio. Ed ora si preparano a controllare l'Iraq, l'Iran e la Siria.

D: Due settimane fa la Corea del Nord ha ammesso, o meglio, ha annunciato senza nessuna pressione esterna, che ha sviluppato un programma nucleare. E non abbiamo sentito o visto reazioni ostili da parte degli USA simili a quelle mosse contro l'Iraq, eppure quest'ultimo ha affermato pubblicamente di non possedere armi di distruzione di massa, così come lo hanno confermato gli ispettori internazionali. Ma gli USA concentrano la loro campagna solo contro l'Iraq ignorando la Corea del Nord. Perché?

R: In breve: prima di tutto perché la Corea del Nord non ha petrolio, secondo perché la Corea non è un nemico di Israele né è un Paese ad esso vicino.

D: Signor Presidente -ancora una volta- cosa vogliono gli Stati Uniti dall'Iraq?

R: Washington vuole un Iraq che si arrenda all'egemonia geopolitica americana sulle ricchezze arabe. Così come vuole un Iraq che ammetta la presenza sionista e il suo dominio sulla Palestina. Ma soprattutto gli USA vogliono un Iraq privo di una coscienza nazionalista e che accetti la distruzione della Lega araba e la creazione di un'organizzazione mediorientale. Vuole un Iraq non arabo ma internazionale.

D: Teme che l'attacco sia prossimo?

R: Noi siamo pronti ad affrontare una guerra anche fra un'ora. Con i loro attacchi giornalieri, i loro tentativi di consumare le nostre forze, l'uccisione dei civili con i loro missili lanciati dagli aerei e con attacchi dalle basi dei Paesi vicini, gli Stati Uniti ci fanno vivere dal 1991 in un continuo stato di guerra. Noi siamo comunque pronti alla guerra. Ma l'Iraq non sarà mai come l'Afganistan. Questo non significa che siamo più forti degli USA -con la loro flotta e i missili a lunga gettata- ma noi possediamo la fede in Dio, nella patria e nel popolo iracheno. E' importante credere nel popolo arabo. Non lasceremo che sia una passeggiata per i soldati americani e britannici, mai. La terra combatte affianco del suo popolo, sempre.

D: Crede che il tempo giochi a suo favore o contro di Lei?

R: Il tempo gioca certamente a nostro favore. Dobbiamo prendere altro tempo perché così potrebbe sfaldarsi l'alleanza anglo-americana per motivi interni o sotto la pressione della loro opinione pubblica. I popoli sanno la verità e possono capire di più rispetto ai governanti. Questi ultimi sono allineati ai piani sionisti, i quali a loro volta istruiscono i mass-media per portare a compimento tali piani. Ma la gente non è cieca.

D: Signor Presidente, Lei sta affrontando l'attuale crisi in modo diverso da come fece nel 1991. Questo perché ha studiato in qualche modo gli avvenimenti passati assieme alla situazione presente? Oppure sta traendo delle lezioni solo dal passato?

R: La politica è una scienza, e come tutte le scienze è soggetta alla sperimentazione. L'uomo politico è sempre un allievo che impara dalle sue esperienze personali e da quelle degli altri. Noi crediamo all'importanza dell'opinione pubblica e della sua influenza. Impariamo dalla nostra esperienza. L'esattezza e l'errore sono fatti umani, errare è umano. Soltanto Iddio è perfetto.

D: Per quanto riguarda le relazioni con gli altri Paesi arabi, come valuta la posizione generale araba rispetto alla questione irachena, all'assedio e alle minacce di una prossima guerra?

R: Noi non chiediamo agli arabi di dare più di quanto non possano. Valutiamo le condizioni di ogni paese, la sua posizione nello scenario politico e la sua possibilità o meno di fornire un appoggio. Il saper dare è frutto dalle relazioni e dall'armonia reciproca. E' il risultato di circostanze storiche, di forza personale e delle posizioni di ogni capo politico. In ogni caso noi ci sentiamo tranquilli: i fattori positivi aumentano rispetto a quelli negativi, e la posizione generale è più favorevole all'Iraq. Mi lasci dire con franchezza che noi ci concentriamo sui fattori positivi tralasciando quelli negativi fino a che questi non diminuiscono o addirittura scompaiono o da soli.

D: Ma è chiaro che da parte araba si fa ben poco per sostenere l'Iraq.

R: Come ho detto mi interessano solo i fattori positivi. Quelli negativi scompariranno spontaneamente quando tutti capiranno la sincerità delle nostre intenzioni, delle nostre circostanze e di ciò che si sta complottando contro di noi e contro di loro [i Paesi arabi, n.d.t.]. L'Iraq non è l'unico Paese arabo che è vittima di complotti. Gli USA vogliono imporre la loro egemonia nella regione e per far ciò devono mostrare la loro ostilità al mondo arabo e, in particolare, ai Paesi principali. Tutto in favore dell'Entità sionista e del sionismo internazionale.

D: E' soddisfatto di quello che hanno fatto alcuni Paesi arabi nei confronti dell'Iraq? E' soddisfatto dell'appoggio che hanno fornito a Bagdad per contrastare i piani di attacco anglo-americani? Non crede che ci sia un'evidente omissione in tutto ciò?

R: Sono soddisfatto di ogni sforzo fatto in sostegno della resistenza araba in Iraq e in Palestina. La questione non è più solo irachena ma è di tutta la nazione araba, dal Marocco all'Iraq. Il destino è unico, ora scritto col sangue dei martiri. Crediamo che ogni successo realizzato da un popolo arabo, tra cui il popolo kuwaitiano, è un successo per noi e va ad aggiungersi ai fattori positivi. Il popolo kuwaitiano è arabo, crede al suo nazionalismo, e quel che è accaduto alla base americana lo conferma [episodio di Falaika dell'ottobre 2002, si veda a questo proposito il testamento di al-Kandari, n.d.t.]. Noi contiamo molto sul popolo arabo. Il popolo arabo non dorme -come credono alcuni- di un sonno profondo: le manifestazioni che vediamo nel mondo arabo e in Occidente sono fatte da centinaia di migliaia di sostenitori della pace contro la guerra e contro l'aggressione al popolo iracheno. Queste persone sfidano il desiderio dell'estrema destra sionista a Washington di distruggere l'Iraq.

D: L'atteggiamento di alcuni Paesi arabi contro il suo governo ha influenzato negativamente il suo operato? E' stata intaccata la fede che Lei ripone nell'arabismo e nel nazionalismo [arabo, n.d.t.]?

R: No, al contrario la mia fede nel nazionalismo si è rafforzata. Quando ci si rende conto del dovere di essere un nazionalista arabo, si prende fiducia nel fatto di poter vincere anche se dovrà passare tanto tempo. Il nazionalismo arabo non è un vestito da indossare oggi e da gettar via domani.

D: Per quanto riguarda i rapporti con il Kuwait, sappiamo che quest'ultimo ha posto come condizione per una riconciliazione con Bagdad il rilascio dei suoi prigionieri. Avete ancora cittadini kuwaitiani nelle vostre carceri?

R: E' stato emesso un decreto governativo con cui abbiamo rilasciato tutti i carcerati sia politici che criminali, in generale arabi, non solo iracheni. Eccezion fatta per le spie che hanno lavorato per gli USA e Israele. Abbiamo rilasciato anche i condannati per omicidio a condizione che la famiglia del colpevole si accordi con quella della vittima e che sia concesso il perdono secondo la volontà delle due parti. Per la prima volta nella Storia, le prigioni irachene sono oggi le uniche prigioni al mondo ad esser vuote.

D: Vuole dire che le guardie carcerarie rischiano di rimanere disoccupate?

R: Sì, ed in caso troveranno lavoro negli orfanotrofi, per tutti quei bambini senza genitori per colpa dei quotidiani bombardamenti americani nel sud e nel nord del Paese e nelle periferie di Bagdad...

D: E' preoccupato dall'opposizione irachena che si organizza e si allea con Washington e Londra? Quest'opposizione può sostituire il governo di Bagdad?

R: Prima di tutto non c'è una vera opposizione irachena tanto da farci preoccupare. Se pure ci fosse, sarebbe più onorevole per loro che per ottenere il potere combattessero nel Paese, e non dall'esterno, a decine di migliaia di miglia di distanza. Noi non abbiamo notizie degli oppositori, né li incontriamo, né sono conosciuti dalla nostra gente. Non sono altro che un gruppetto di individui, alcuni condannati per reati finanziari e altri per crimini umanitari. Quel che sappiamo è che non sono affatto astuti, che non nascondono di essere agenti dei servizi americani e britannici, pagati da Washington e da Londra, e di essere stati anche accusati di aver rubato e dissipato quel denaro. In fin dei conti non è che un gruppo i cui membri si contano sulla punta delle dita [lett. un gruppo che riesce a riempire appena un autobus di Bagdad, n.d.t].

D: Per quanto riguarda la questione curda, non è forse giunta l'ora di una riconciliazione nazionale con i nostri fratelli curdi del nord?

R: Lei sa bene che l'Iraq ha dato loro ciò che non è stato loro dato da altri. Lei è stato il primo giornalista arabo che ha incontrato il Mullah Mustafa Barzani nel 1966. Ha sentito dalla sua viva voce che il massimo dell'autodeterminazione che si augurava lo ha avuto dall'Iraq. Quello che mancava era la secessione, fatto però che noi rifiutiamo così come la rifiutano gli intellettuali curdi. Crediamo che se gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ci lasciassero il nord dell'Iraq senza più ingerenze, decideremmo in piena libertà il nostro destino e riformeremmo il Paese.

D: Signor Presidente, pochi giorni fa si è svolto un referendum per un altro mandato di sette anni, ma alcuni si chiedono il significato di quel 100 per cento, sconosciuto alla cultura occidentale.

R: Significa molto. Significa che ho la ragione e la fiducia del mio popolo. Per gli altri che ritengono che io non rappresenti il mio popolo, significa che lo rappresento veramente. Questo è il risultato del referendum libero svoltosi in presenza di osservatori, di inviati e giornalisti arabi e stranieri. Questo rivela che chi continua a dire che in Iraq non esiste un opposizione al governo, costui mente.

D: Ha scarcerato anche i prigionieri politici. Perché questa decisione e cosa significa?

R: Durante il suo soggiorno Lei avrà avuto modo di visitare tutte le prigioni e avrà notato che non c'è un carcere che non abbia aperto le sue porte, che si sia svuotato. Ciò significa che i diritti umani in Iraq sono rispettati più di quanto non lo siano negli Stati Uniti stessi.



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