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LE NUOVE SCHIAVITU'

di Tonino Bucci

da "Liberazione" del 06.11.02

«La schiavitù contemporanea ha origine nei paesi poveri o in paesi che hanno visto un crollo repentino delle precedenti condizioni di vita dopo un brusco mutamento di regime o per il permanere di una lunga e sanguinosa guerra civile». E' il primo aspetto essenziale per cogliere le radici dei fenomeni d'immigrazione del presente, analizzati da Enzo Ciconte e Pierpaolo Romani nel volume Le nuove schiavitù (Editori Riuniti, pp. 199, euro 10,00). Prima ancora di soffermarsi sulla nascita di una rete di traffici di esseri umani - controllati da organizzazioni criminali internazionali - la fuga in massa da paesi africani e dall'Est europeo va ricondotta a due fenomeni storici, distinti ma in qualche misura collegati. Da un lato, la battuta d'arresto nei processi di decolonizzazione che hanno trascinato, nel secondo dopoguerra, i paesi ex colonizzati a guadagnare l'indipendenza sul piano politico e istituzionale. Oggi quel processo subisce un arretramento e molti paesi si trovano in una condizione di dipendenza dagli Stati capitalistici più avanzati. Quest'ultimi, attraverso le politiche imposte dagli organismi finanziari internazionali - Banca mondiale, Fmi e Wto - spingono gli Stati più poveri a indebolirsi progressivamente, a smantellare le misure di protezione sociale, ad abbattere le frontiere per l'importazione delle merci, con il risultato di innalzare il tasso di povertà e le spinte sociali ad emigrare in Occidente. Questo mutamento nella divisione internazionale del lavoro e nei rapporti di forza mondiali è senz'altro in relazione con l'altro grande evento storico dell'ultimo decennio: il crollo del socialismo reale. In sintesi, «le guerre esplose in alcune aree del continente africano, le condizioni di miseria estrema esistenti in quei paesi, l'oppressione delle minoranze in alcuni stati, il crollo dell'Urss, il disfacimento dell'ex Jugoslavia, l'affermarsi in queste realtà di un modello economico che ha distrutto le precedenti protezioni sociali seppure minime ed elementari, la crisi asiatica del 1997 che ha provocato una spaventosa disoccupazione, hanno generato all'inizio degli anni Novanta del Novecento una situazione del tutto inedita perché ha messo in moto moltitudini di uomini e di donne che premevano per arrivare, con ogni mezzo, nei paesi dell'opulenta Europa attratti dalla ricchezza, dal benessere, dal miraggio di una esistenza fantasmagorica e spumeggiante». L'uso del termine schiavismo ad indicare il traffico di esseri umani nel nostro tempo non deve far dimenticare le differenze sostanziali rispetto alle edizioni storiche del passato. La schiavitù diffusa nell'arco di tempo tra il XV e il XIX secolo si resse, al contrario di quella del presente, su un quadro di legalità che permetteva «di importare senza incorrere in alcuna sanzione un numero considerevole di schiavi». D'altra parte, essa fu funzionale al processo di «accumulazione storica del capitale»: «considerata come una vera e propria istituzione volta al profitto, divenne per tutto quel periodo storico una delle variabili dello sviluppo imprenditoriale e commerciale». La schiavitù contemporanea si caratterizza, invece, per la sua condizione di illegalità, ma non annulla completamente l'intreccio con i processi di accumulazione dei profitti. «Per quanto possa sembrare paradossale, la spinta a migrare sorge anche dal particolare sviluppo economico dei paesi ricchi dove le trasformazioni nella composizione della forza lavoro hanno determinato la richiesta di lavoratori a bassa scolarizzazione provenienti dai paesi poveri e disposti a lavorare in settori abbandonati dai giovani dei paesi ricchi, in settori dove la fatica è una componente centrale del tempo di lavoro come ad esempio alcuni reparti delle fabbriche o quello della raccolta dei pomodori o di altri prodotti stagionali; accanto a ciò è cresciuta la richiesta di personale, soprattutto femminile, da impiegare nei lavori domestici o come assistenti per le persone anziane o per altre bisognose di assistenza». Bisogna fare attenzione nel cogliere il nesso tra l'illegalità del traffico di nuovi schiavi e i cambiamenti legislativi nei paesi occidentali. «Il numero sempre maggiore di persone indotte a lasciare la loro terra da situazioni di povertà, di guerra, di persecuzioni politiche e religiose da una parte e, dall'altra, le progressive restrizioni degli ingressi regolari introdotte per legge dai paesi occidentali a partire dalla metà degli anni Settanta del secolo passato, ha promosso la nascita di un'industria dell'ingresso clandestino, alla quale, immediatamente, si è accompagnata una tratta delle persone - in particolare donne e bambini - sottoposte a variegate forme di sfruttamento, comprendenti, tra le principali, il lavoro forzato, la prostituzione e l'accattonaggio». Tra gli ingressi clandestini vanno distinti, per evitare confusioni, il «contrabbando di migranti o organizzazione dell'immigrazione clandestina», da un parte, e la tratta vera e propria degli esseri umani, anche contro la loro volontà, dall'altra. Nel primo caso, si tratta di persone che per attuare il progetto di emigrare, sono costrette ad affidarsi al servizio di agenzie criminali, aggirando i divieti di ingresso nei paesi occidentali. Sono perlopiù individui di sesso maschile ai quali, una volta stabiliti in una città, con un alloggio e un reddito, seguono i familiari, sotto la spinta del desiderio al ricongiungimento. «Gli immigrati possono essere considerati dei clienti che dispongono di un capitale proprio, o anticipato da persone disposte a fornirglierlo, con i quale sono in grado di acquistare un pacchetto di servizi per soddisfare il loro desiderio di emigrazione. Una volta pagato il prezzo pattuito per il trasporto, e raggiunta la meta, il rapporto tra le agenzie criminali e il migrante può dichiararsi concluso. Il legame che li aveva uniti si spezza definitivamente». Ma non sempre la partenza dal proprio paese di origine è frutto di una decisione pianificata o desiderata. Anzi, per quanto le ricerche sono in grado di stabilire, è in aumento il numero delle persone trascinate in un altro paese contro la loro volontà, oppure spinte a farlo perché vendute dalle loro famiglie a criminali senza scrupoli. «E' questo il caso dei migranti trafficati, vale a dire di tutte quelle persone oggetto di variegate e molteplici forme di sfruttamento». Gli sfruttatori si comportano da schiavisti, reclutano direttamente le loro vittime e le trasformano in merci remunerative sui mercati illeciti presenti nei paesi occidentali. I trafficanti hanno scopo di profitto, e lo realizzano nella misura in cui nei paesi di destinazione si è creato un mercato del sesso. Da qui prende corpo il reclutamento di prostitute albanesi o nigeriane, dei piccoli lavavetri marocchini, delle schiave dell'Est, e si disegnano le rotte del nuovo schiavismo.



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