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UN NOBEL CONTRO LA GUERRA

di Simonetta Cossu

da "Liberazione" del 12.10.02

Premio nobel per la pace a Jimmy Carter, l'ex presidente degli Usa a cui viene riconosciuto un proficuo impegno nel campo della difesa dei diritti umani. Un Nobel che vuole essere anche una aperta critica all'operato di George Bush. Lo ha affermato senza mezzi termini il presidente del comitato norvegese che ha deciso l'assegnazione del Premio, Gunnar Berge, secondo il quale «vista la posizione che Carter ha assunto sulla questione irachena, il premio può e deve essere vsito come una critica alla linea presa dall'attuale amministrazione statunitense». Carter aveva definito l'idea di un attacco all'Iraq senza il sostegno delle Nazioni Unite «un errore drammatico che costerebbe caro». «Nella situazione attuale, segnata dalla minaccia dell'uso del potere - ha aggiunto Gunnar - Carter ha mantenuto fede al principio che i conflitti devono essre risolti attraverso la mediazione e la cooperazione internazionale sulla base del diritto internazionale». Jimmy Carter è arrivato al Nobel per la pace a 78 anni, ma lo aveva sfiorato già diverse volte dopo una carriera politica difficile e a volte drammatica.

Alla Casa Bianca
Jimmy Carter balzò sul palcoscenico internazionale quando nel 1977 venne eletto sull'onda dello scandalo Watergate. L'America sotto shock dopo le rivelazioni che travolsero la presidenza Nixon, non poteva fare altro che eleggere il candidato democratico nonostante il fatto che l'accoppiata Carter-Mondale non fosse entusiasmante. Quello che si può dire oggi è sicuramente che la sua è stata l'ultima presidenza che oggi potremmo definire di sinistra. Primo presidente di uno stato del Sud dai tempi della guerra civile, (il suo quartier generale è tutt'oggi a Plains in Georgia), si presentò agli americani professando quelli che allora erano ancora i dogmi per un partito democratico: attenzione allo stato sociale, difesa dei diritti civli, centralità dello stato federale, ma soprattutto non interventista in politica estera. Nel corso della sua presidenza, Carter, lavorò molto per combattere la continua crescita dell'inflazione e l'aumento della disoccupazione. Ma bisogna anche dire che al concludersi della sua amministrazione il tasso d'interesse e l'inflazione registrarono valori record e gli sforzi per ridurli causarono una breve recessione. In politica interna Carter mise a punto un piano per la politica energetica, volto a contrastare la carenza d'energia, basato sulla liberalizzazione del prezzo del greggio nazionale per stimolare la produzione, tenendo però sempre in considerazione e difendendo l'ambiente. In politica estera Carter si segnalò come un accanito mediatore. Fu lui a portare a Camp David nel 1978 il premier israeliano Begin e il presidente egiziano Sadat, per un accordo che allora fu definito storico e che pose fine alle divergenze tra Egitto ed Israele e che venne onorato con il premio nobel per la pace ai due statisti, ma che escluse Carter. La sua amministrazione si caraterizzò per il lavorio diplomatico e di trattativa, una strategia che però non riuscì mai a portare a termine gli obbiettivi che si prefiggeva.

La crisi con l'Iran
Esempio lampante di tutto questo l'incapacità della sua amministrazione di risolvere quella è stata considerata, fino all'11 settembre, la più grave crisi di politica estera per gli Usa. Gli ultimi mesi della sua presidenza infatti furono dominati dalla cacciata dall'Iran dello Scià di Persia e la presa di potere dell'Ayhatollah Komeini. Crisi internazionale che culminò con il sequestro dello staff dell'ambasciata americana a Teheran. Le conseguenze di quel sequestro che durò ben 14 mesi, il fallito tentativo di liberare gli ostaggi e la crisi petrolifera che ne scaturì contribuirono alla sua sconfitta ad opera di Ronald Regan. Era la fine di una strategia politica mentre saliva alla ribalta un presidente, che guarda caso, fu il primo a coniare il termine "l'impero del male" per identificare i nemici. Jimmy Carter uscì di scena mestamente, umiliato dal grande vincitore Regan che non gli concesse neanche l'onore di essere lui il presidente che accoglieva al loro rientro negli Usa gli ostaggi americani liberati da Teheran. Nel 1982 fonda il nonprofit Carter Center ad Atlanta per promuovere la pace e i diritti umanitari nel mondo. Un nuovo ruolo che Carter, a differenza di altri ex presidenti, ha preso molto sul serio e che hanno portato al riconoscimento di ieri. Da grigio presidente si è trasformato in un ex di successo che mette la sua esperienza al servizio di nobili cause: il Carter Center di Atlanta è diventato così un punto di riferimento nella gestione delle crisi, dal conflitto tra Etiopia ed Eritrea alle denuncia delle frodi elettorali a Panama fino alla recente visita a Cuba per promuovere il disgelo con Washington, senza dimenticarsi di denunciare pubblicamente abusi e violazioni dei diritti umani. Figlio di un contadino e di una commessa, nato il primo ottobre del 1924, ebbe a dire della sua presidenza: «Non sono mai riuscito a convincere il popolo americano di essere un leader energico e forte». Ieri ringraziando l'accademia per il riconoscimento, ha dichiarato: «Il mio concetto di diritti umani nel corso di questi anni si è ampliato: non più solo diritto a vivere in pace, ma anche ad avere cibo, acqua, opportunità economiche e assistenza sanitaria. Mi auguro che questo Nobel sproni tutti ad accettare questo concetto allargato di diritti umani». A Carter verrà consegnato alla cerimonia di premiazione un assegno di 1 millione di dollari.



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