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IL MALTEMPO DI OGGI FIGLIO DELLE SCELTE DI IERI

di Fabrizio Giovenale

(forum ambientalista)

Il presidente del Wwf Fulco Pratesi e il decano dei geologi italiani Floriano Villa ricordavano al telegiornale che dopo la grande alluvione di Firenze quarant'anni fa il Rapporto della commissione De Marchi nominata ad hoc aveva individuato il rimedio per ridurre al minimo rischi simili per il futuro: rimboschimenti a tappeto su tutte le aree in pendenza e in dissesto d'Italia per vent'anni e passa. «Poi tutti se ne sono dimenticati, non se n'è più fatto niente», commentava malinconicamente Villa. Non solo. S'è seguitato a disboscare e a dissestare terreni in ogni occasione e con ogni pretesto: per fare strade, alberghi, villaggi turistici, piste da sci e impianti di risalita anche dove la neve arriva una settimana l'anno quando va bene. Tutti hanno continuato imperterriti a tirar su costruzioni lungo i fiumi e a rivestirne di cemento gli alvei (anche la Rai di Sax Rubra l'hanno fatta nel bacino di esondazione del Tevere). Mentre l'esodo delle popolazioni dalle zone montane faceva abbandonare la manutenzione dei boschi e dei corsi d'acqua. E' di ieri, per completare il quadro, la notizia dell'arresto di amministratori e imprenditori campani che i soldi per i rimboschimenti dopo l'alluvione di Sarno e Quindici se li mettevano in tasca. Senza dire che ai tempi del Rapporto De Marchi l'effetto-serra coi suoi scombussolamenti climatici era di là da venire mentre di questi tempi s'è visto la prima volta il centro-Europa allagato, Dresda sott'acqua. Cosicché quando come da noi in questi giorni attacca a piovere forte e i fiumi traboccano e fanno disastri, al di là delle solite lamentazioni per i soliti guai, c'è la paura che questa volta, o la prossima, possa capitare molto di peggio. Notava L'Unità che nel frattempo il governo non ha trovato di meglio che ridurre gli stanziamenti per la manutenzione e la difesa del suolo, che la Regione Lombardia vi dedica su per giù la trentesima parte di quel che spende per strade e in infrastrutture. E tuttavia (attenzione!) non è questo il punto. Non ce la possiamo prendere con l'ottusità e la grettezza dei berlusconidi per guasti che hanno origine nell'immaturità culturale di tutto il paese: e più propriamente nel suo passaggio dalla condizione agricola a quella industriale attorno alla metà dello scorso secolo, che ha provocato il distacco dalla cultura contadina - rispettosa della terra e consapevole degli andamenti naturali - sostituendola con un clima diffuso di avidità spicciola e corruttela che ha avuto come primo effetto la copertura del territorio con costruzioni disseminate qua e là nella più completa ignoranza e indifferenza per le conseguenze sull'ambiente. Chiaro che ci si presenta alla mente una domanda di quelle che fanno tremare. Come la mettiamo? Come è possibile pensare che un paese così radicato nelle sue cattive abitudini possa cambiare da un giorno all'altro? Già sono in pochi - perfino tra gli ambientalisti - ad avere il coraggio anche soltanto di pensare alla terapia giusta: quei rimboschimenti cui dovremmo dare priorità su tutti gli impegni pubblici per decenni e decenni, una trasformazione completa di abitudini e modi di lavorare per milioni di persone. Qualcosa di simile alla "zafra" cubana, la mobilitazione di popolo per il raccolto della canna da zucchero ai primi tempi di Fidel Castro. Ci provò su scala ridotta Legambiente col "progetto occupazionale" di Massimo Serafini, ma nemmeno di quello oggi si parla più. E tuttavia… Mi è capitato di leggere le relazioni di un "incontro tecnico-divulgativo fra laureati agrari e forestali" tenuto a Salerno a fine-settembre, dove tutto quel che c'è da fare per piantare alberi e farli crescere (le difficoltà che si incontrano, i modi per superarle, le tecniche, i tempi, i costi) era spiegato assai bene. Come dire: le competenze ci sono, fare si può, si potrebbe… E invece eccoci qui nelle mani di un Lunardi che sembra capire soltanto asfalto da spandere a piene mani e tunnel da scavare di qua e di là, e di un Berlusconi che ne capisce anche meno ma ogni mercoledì va al ministero a dargli una mano. Non si sa se ridere o piangere. Il guaio più grosso ancora è che non sono problemi soltanto nostri, sono problemi del mondo. Già nel primo Rapporto State of the World 1988 del Worldwatch Institute, Lester R. Brown proponeva un gigantesco programma di rimboschimenti "per la salute della Terra" su 1,5 milioni di chilometri quadrati: cinque volte la superficie dell'Italia. Ma nemmeno a lui nessuno dette retta: tanto che ha smesso perfino di parlarne. Intanto però si sono andate accelerando nel mondo come sappiamo le distruzioni di boschi: in parallelo con le turbative climatiche da effetto-serra. Che dire? A noi ambientalisti ci danno dei sognatori. D'accordo: ma combinati come ormai siamo, lasciatecelo almeno sognare un mondo in cui il primo impegno per tutti sia la salute del mondo stesso. E magari anche un paese capace di dedicarsi tutto all'impresa di migliorare se stesso. Infine: dato che sto sognando lasciatemi fare anche il sogno di una sinistra che di questi problemi scelga di farsi carico, e di un Movimento che metta il "mondo salvato dagli alberi" al primo posto fra i connotati del suo Mondo Diverso Possibile. Chissà che prima o poi... Mai disperare.



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