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IRAN, LA BALLATA DEGLI STUDENTI

di Lucia Manassi

da "Liberazione" del 11.12.02

La mobilitazione degli studenti iraniani è ricominciata. Tra sabato e lunedì le manifestazioni si sono susseguite negli atenei di Teheran per chiedere la scarcerazione dei prigionieri politici e il ritiro della condanna a morte di Hashem Aghajari, accademico e musulmano riformista accusato di apostasia e blasfemia per aver sostenuto la necessità di un «protestantesimo dell'islam». Proprio la condanna a suo carico aveva infiammato le università nel mese di novembre, quando a migliaia gli studenti erano scesi in piazza per due settimane. Poi un giro di vite del regime, una pausa e ora la nuova fiammata, preparata nei giorni scorsi in vista dell'anniversario di sabato, Giornata dello studente. Ogni 7 dicembre il paese ricorda la morte di tre studenti, uccisi nel 1953 dalla polizia dello Scià, durante una visita in Iran dell'allora vice presidente americano Richard Nixon. Sabato scorso erano in quattromila, nell'Università di Teheran a manifestare, autorizzati dal governo a farlo soltanto dentro le mura dell'università. Il regime, che ormai da un anno vive l'acuirsi della lacerazione tra ala riformista e conservatrice, teme l'implosione e la saldatura tra la protesta studentesca e quella sociale. Per questo la polizia circondava l'ateneo dall'esterno, bloccando le cancellate con file di bus per evitare ogni contatto tra manifestanti e cittadini comuni. Alla prima risposta di sostegno da parte di gruppi di passanti è intervenuta la polizia e soprattutto i bassidjis (richiamati), miliziani islamici che hanno ingaggiato una sassaiola con gli studenti. Il giorno successivo lo scontro è ripreso, un centinaio di bassidjis è intervenuto per interrompere un comizio all'interno dell'università, rompendo i microfoni sul palco e disperdendo a bastonate la manifestazione. Sei gli studenti feriti. Le università ribollono in tutto il paese, non solo a Teheran, e fonti governative parlano di circa 200 arresti nel corso delle mobilitazioni. A Shiraz, nel sud del paese, le forze di sicurezza hanno sparato in aria e lanciato lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Il potere iraniano, lacerato, sotto pressione per l'imminente attacco Usa all'Irak, in fibrillazione per i cambiamenti geostrategici in atto nella regione, non può permettersi di far crescere oltre la tensione interna. Per questo è tornato a sfoderare il pugno di ferro appena gli studenti, un mese fa, hanno iniziato a riempire le piazze contro la condanna a morte di Hashem Aghajari e, soprattutto, per una decisa accelerazione delle riforme in aperta polemica con lo stesso presidente Khatami, da loro sostenuto in passato e ora criticato per il suo tentativo fallito di «democratizzazione limitata». Proprio per questo il leader riformista quest'anno aveva rinunciato per la prima volta, dalla sua elezione nel '97, a partecipare alla celebrazione della Giornata dello studente, temendo gli slogan contro di lui, che in effetti ci sono stati e chiedevano le sue dimissioni. I leader studenteschi, già finiti in carcere a novembre, aspettano i processi, formalmente accusati di attentare alla sicurezza dello stato. Sanno di essere sotto stretta sorveglianza, ma non si sono fermati, nonostante il susseguirsi di minacce da parte delle più alte autorità dello stato dirette contro i «fomentatori di disordini». Una conferenza stampa prevista il 3 dicembre era stata annullata per mancanza di autorizzazione, doveva lanciare un referendum tra gli studenti per conoscere la loro opinione su alcune questioni legate alla natura del regime islamico. Il Bcu, l'organizzazione studentesca contestataria, ha scritto in un comunicato: «sembra che la sola soluzione sia rimettersi all'opinione pubblica per determinare la legittimità di coloro che si vantano di avere il sostegno del popolo». Le mobilitazioni di questi giorni sono nuovi test di resistenza di fronte al potere. La condanna a morte di Hachem Aghajari, risale al 6 novembre, pure se l'avvocato dell'intellettuale, contro la volontà del suo cliente, ha deciso comunque di fare appello contro la sentenza. Aghajari aveva auspicato un profondo processo di riforma interno all'islam e aveva affermato che i musulmani non devono seguire i dignitari religiosi come «scimmie». A placare la mobilitazione studentesca ci era riuscita, dopo una ventina di giorni, la dura risposta repressiva del regime e dei "contro-manifestanti", soprattutto i bassidjis, le cui violenze avevano più volte rischiato di degenerare in bagni di sangue. Ma gli studenti vogliono continuare la loro battaglia. Gli striscioni che espongono chiedono libertà, democrazia, eguaglianza sociale, un governo che rispetti i diritti dell'uomo e guidi il paese nell'interesse nazionale e non in nome dell'internazionalizzazione dell'islam. Proprio in nome degli interessi nazionali la maggioranza del paese vuole che sia abbandonata la linea dura contro gli Stati Uniti. Alla fine dello scorso settembre tre istituti di ricerca, governativi o legati all'Università di Teheran, hanno reso noto un sondaggio svolto su un campione di 1.500 abitanti della capitale superiori a 15 anni. Il 64,5% si diceva favorevole alla normalizzazione dei rapporti tra l'Iran e gli Usa, contrario il 24% e l'11,5% non aveva espresso un parere. La pubblicazione dei risultati da parte dell'agenzia Irna aveva scatenato il dibattito sulla stampa riformista, ma è anche costata l'imputazione per spionaggio ai tre responsabili degli istituti di sondaggio. Il processo a Beyrouz Gheranpayeh, Abbas Abdi e Hossein Ghazian si è aperto il 3 dicembre con la lettura di un chilometrico atto di accusa a loro carico. I deputati riformisti venuti ad assistere alle udienze non hanno potuto varcare la soglia dell'aula.



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