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IL FANTASMA DI BAGHDAD

di Guido Caldiron

da "Liberazione" del 25.10.02

«L'esperienza di Ritter presso l'Unscom è giunta a una controversa conclusione nel 1998 (...) Ritter ha vivacemente confutato davanti a molte platee, alla televisione e alla radio, la posizione dell'amministrazione Bush verso l'Iraq. A causa di questo è stato etichettato come traditore e agente iracheno. Ritter è un patriota, un uomo che ha alle spalle un eccezionale stato di servizio a difesa degli interessi del suo paese. Ha la tessera del partito repubblicano; ha votato per Bush nelle elezioni del 2000. E soprattutto, per averla sperimentata in prima persona, conosce la situazione assai meglio di tutti quelli che adesso, a Washington DC, spingono per una guerra in Iraq. Ritter sa quali sono le potenzialità di Saddam Hussein nel campo degli armamenti e crede che non ci sia alcuna ragione per una guerra, secondo i motivi addotti dall'amministrazione Bush». Con questo chiaro ritratto il giornalista William Rivers Pitt introduce il volume "Guerra all'Iraq" (pp.114, euro 10), appena pubblicato dall'editore Fazi, e presenta la figura del protagonista del libro, quello Scott Ritter che è stato, dopo aver servito lungamente nell'arma dei Marines degli Stati Uniti, per ben sette anni tra gli osservatori dell'Onu impegnati nella missione di disarmo a Baghdad. Forte dell'esperienza accumulata sul campo, Ritter si è oggi trasformato nell'avversario più acceso dei progetti bellici dell'amministrazione americana, al punto di dichiarare: «Se io dovessi quantificare la minaccia rappresentata dall'Iraq in termini di armi di distruzione di massa, direi che essa equivale a zero». Il fatto che a fare simili affermazioni sia un uomo che si presenta come "un vero patriota americano", e quindi difficilmente imputabile di esprimere un sentimento di ostilità verso gli Usa, rende ancora più forte il significato di queste parole.

Un patriota americano
Di fronte ai potenti venti di guerra che si levano in questo momento dagli Usa, questa sorta di diario aiuta a riportare le cose in una prospettiva di verità, senza negare cioè le colpe del regime di Baghdad, la sua connotazione dittatoriale e pericolosa, ma che si esprime in primo luogo proprio contro lo stesso popolo iracheno e curdo, più che nella creazione di una minaccia verso altri paesi. Costruito a partire da una lunga intervista a Ritter, realizzata in due riprese nell'agosto di quest'anno, il volume si snoda lungo le tappe della recente storia irachena, passando per il conflitto tra Iran e Iraq, la Guerra del Golfo e il lungo braccio di ferro tra il regime di Saddam e gli ispettori dell'Onu. Ritter, che dopo la conclusione della sua esperienza presso l'Unscom ha girato anche un documentario dedicato all'Iraq, "On shifting sands", affronta in particolare il nodo sul quale la Casa Bianca insiste di più per giustificare oggi i suoi progetti di guerra: quello della minaccia atomica e chimica rappresentata da Baghdad. «Non è tutto bianco o tutto nero, come qualcuno nell'amministrazione Bush vuole farci credere - spiega infatti l'ex marine, aggiungendo - Non c'è alcun dubbio che l'Iraq non abbia rispettato in pieno gli obblighi imposti dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu nella sua risoluzione (del 1991). Ma, d'altra parte, l'Iraq è quasi completamente disarmato dal 1998: abbiamo verificato l'eliminazione del 90-95% delle armi di distruzione di massa dell'Iraq. E, insieme a queste, di tutte le fabbriche utilizzate per produrre armi chimiche, biologiche e nucleari, nonché missili balistici a lungo raggio, come pure le apparecchiature all'interno di queste fabbriche e la maggior parte dei loro prodotti». In particolare sulla produzione di armi chimiche da parte del regime di Saddam, Ritter illustra la situazione di alcuni anni fa e quella odierna, spiegando: «Hanno prodotto soprattutto antrace, sotto forma di agente liquido. Hanno prodotto anche una notevole quantità di tossina del botulino allo stato liquido. Sono stati entrambi trasformati in armi, perché li hanno introdotti nelle testate dei missili e nelle bombe. Per un po' gli iracheni hanno mentito riguardo a questo potenziale bellico. Quando, nel 1995, hanno finalmente riconosciuto di averlo, abbiamo distrutto sia le fabbriche sia le apparecchiature con cui li producevano». La questione di fondo secondo Ritter è perciò sintetizzabile nel fatto che gli Stati Uniti stanno oggi rivolgendo a Saddam accuse che non sono false in quanto tali, ma che dopo il lungo lavoro svolto dagli ispettori dell'Onu nel corso dell'ultimo decennio, non hanno più ragione d'essere. La dittatura di Baghdad, si legge a più riprese in "Guerra all'Iraq", opprime il proprio popolo, oltre ad aver cercato di annientare la nazione e la popolazione curda, anche ricorrendo alle armi chimiche, ma attualmente non può essere davvero dipinta come una minaccia per gli interessi dell'intera umanità, specie se per questa via si vuole arrivare ad un conflitto dall'esito catastrofico. Da questo punto di vista lo scenario descritto da Ritter, che ha dietro le spalle una lunghissima esperienza militare, non potrebbe essere più cupo. «Non credo che gli iracheni si ribelleranno a Saddam, e se lo facessero verrebbero brutalmente repressi. Penso che se gli Usa invaderanno il paese entrando da sud, Saddam prenderà di mira gli sciiti, causando venti o trentamila morti. Saddam colpirà preventivamente il Kurdistan, uccidendo dai dieci ai ventimila curdi. Gli Stati Uniti dovranno "ridurre" Baghdad, un'area urbana di cinque milioni di persone. Pensiamo a Grozny, quando i russi erano alla caccia dei ceceni. Qui sarà ancora peggio: uccideremo dai trenta ai quarantamila civili. Stiamo parlando di un numero enorme di vittime civili, per non parlare delle decine di migliaia di soldati iracheni e uomini del personale di sicurezza che troverebbero la morte (...) Inoltre, quando si comincia a parlare di guerriglia urbana e di stanare persone in un'area carica di civili, le opzioni sono molto limitate. Bisogna capire che anche noi soffriremo perdite considerevoli. Vi saranno parecchie centinaia se non migliaia di vittime anche nei nostri ranghi».

Una dittatura laica
Divenuto nel corso dei lunghi anni trascorsi a Baghdad un profondo conoscitore della realtà irachena, Ritter si sente in grado di offrire la propria valutazione anche sull'altro elemento tirato in ballo dopo l'11 settembre per sostenere la necessità di un guerra all'Iraq, vale a dire i presunti legami tra Saddam Hussein e Al Qaeda. «Si tratta di una faccenda palesemente assurda: Saddam è un dittatore laico (...) Ha combattuto una guerra contro l'Iran in parte a causa del fondamentalismo islamico (...) inoltre è noto l'odio di Osama bin Laden nei confronti di Saddam Hussein. Lo ha chiamato apostata, un'accusa che implica la pena di morte (...) Sarebbe ridicolo per l'Iraq appoggiare Al Qaeda fornendo armi convenzionali, come molti hanno affermato, o, ancora peggio, armi di distruzione di massa. L'Iraq è ricorso in passato al terrorismo, ma come arma contro l'Iran, la Siria e contro membri dell'opposizione irachena all'estero». Ma nelle pagine del libro è contenuto anche una sorta di appello, non solo perché questa guerra non abbia luogo, ma anche perché a partire dal rifiuto della strategia muscolare inaugurata da Bush dopo l'attacco alle Twin Towers, i cittadini americani tornino protagonisti delle scelte del loro paese. «Ciò tocca il significato più profondo dell'essere americani, e delle nostre responsabilità - precisa Ritter a conclusione della sua lunga intervista - E' nostro dovere e nostra responsabilità far funzionare la democrazia americana, e la democrazia americana può funzionare solo se i cittadini partecipano, laddove i cittadini ricevono potere tramite la conoscenza dei fatti. Il mio modo di parlare è tutto diretto a potenziare la democrazia, e non ha assolutamente niente a che vedere con il tradimento del mio paese».



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