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DIMENTICARE GENOVA

di Andrea Sempici

da "Linus.net"

Un gruppo di sociologi fiorentini ha ricostruito l'identikit dei "popoli di Seattle" che protestarono contro il G8. Ecco la mappa di "chi eravamo". E così si scopre che mai definizione fu più sbagliata di "no-global" e che quei ragazzi erano davvero giovani. Riusciranno a farsi sentire nuovamente?

Bene, i lettori di Linus non saranno sorpresi, ma queste pagine andrebbero pur fatte leggere a chi, annunciando perfino marce da Firenze a Roma, sta cercando di impedire l'European Social Forum che si terrà nel capoluogo toscano nel prossimo autunno. Ad ascoltare Donatella Della Porta, sociologa a Firenze, e i suoi colleghi-ricercatori, mai definizione è stata più infelice di "no-global". Lei spiega con gentile convinzione: "La parola chiave per capire il movimento che a Genova mostrò tutta la sua vitalità non è certo antiglobalizzazione. Sbaglia chi dice che il popolo di Genova non voleva nulla. Voleva e vuole giustizia sociale e nuove forme di democrazia. Anzi: chi si ritrovò lo scorso anno sul lungomare di Corso Italia chiedeva, come prima cosa, proprio una possibilità per la 'partecipazione democratica'. A Genova conquistò visibilità un movimento quasi riformista: domandava e domanda il rispetto di diritti fondamentali e il controllo su un mercato senza leggi. Non cercava utopie da anni '60. Non era nemmeno così radicalmente anticapitalista. E sicuramente non era 'no-global', ma molto globale". E se lo dice Donatella Della Porta dovremmo darle ascolto: lei, da anni, osserva e studia i movimenti sociali che hanno scosso l'Italia dopo le stagioni operaie del 1968. Questi sociologi fiorentini, lo scorso luglio, erano a Genova e vagarono, quasi da antropologi sul campo, per stadi trasformati in campeggi, fra i tendoni dei dibattiti giù a Punta Vagno, si intrufolarono nei raduni dei centri sociali e fra le piazze dei lillipuziani, dei cobas e della gente di Attac. Distribuirono questionari, interrogarono chi era venuto a Genova, aspettarono risposte. Obiettivo da ricercatori: dare un volto, attendibile e credibile, al "movimento dei movimenti", fornire un identikit di un frammento di Italia che aveva deciso, improvvisamente, di farsi vedere e di contare di fronte al palcoscenico deserto dell'incontro dei Grandi della Terra C'è di che capire il desiderio e le orecchie dritte dei sociologi: "Per venti anni in questo paese si era vissuto un periodo di 'protesta senza movimenti' o di 'movimenti senza protesta'", ricorda Della Porta. "Non potevamo stare fermi mentre nelle piazze tornava la gente". La ricerca sarà pubblicata quest'autunno da Laterza, con un titolo provvisorio che ne è la miglior conclusione: Global, noglobal, new global. Chi rispose alle domande dei sociologi fu chiaro e scrisse: "non siamo contro la globalizzazione". Solo il 4,1% degli intervistati si dichiarò ostile a un mondo globale. "Ancor di più: questo movimento non è egoistico", spiega Massimiliano Andretta, ricercatore che ha partecipato all'indagine genovese. "Non ha come obiettivo il potere, ma fa discorsi universalistici". E pensare che solo dieci anni prima, 1990, la fotografia scattata allora dai sociologi era sconsolante: l'impegno sociale, soprattutto dei giovani, era sceso bruscamente nella scala dei loro valori. Un anno fa, bastava guardare i volti che scorrevano sui lungomare genovesi per capire che questo era un movimento di giovani. A volte giovanissimi. Ma ora i dati raccolti dai ricercatori fiorentini ci confortano: il 58% di chi era a Genova aveva meno di 25 anni. Un altro 25% non arrivava a 35. Giovani, sì, ma con alle spalle già piccole-grandi storie: il 97% dei ragazzi intervistati durante i giorni del G8 ha dichiarato di aver fatto parte di associazioni, gruppi o collettivi. E qui gli impegni si intrecciano: il 41,4% aveva lavorato nel volontariato sociale, il 32% aveva messo il naso in organizzazioni non governative, il 35% frequentava centri sociali, il 24,2% aveva in tasca tessere di associazioni ambientaliste e il 34,4% faceva parte di associazioni sportive e ricreative. I sindacati si fermavano al 19%. Ne uscivano con la testa rotta i partiti: solo un quarto dei manifestanti di Genova disse di averne una qualche fiducia. Salvo, poi, dichiararsi (54,2%) di "sinistra" o (37,5%) di "estrema sinistra". Quasi un giottino su cinque, in ogni caso, si è, comunque, affrettato a rispondere che "no, nessun partito mi può rappresentare". Si spiega così il fallimento delle social list alle elezioni amministrative di giugno? Si spiega così la lunga seria di "zero virgola" che queste liste "di movimento" hanno rimediato tentando di candidarsi alle poltrone di consiglieri comunali o provinciali? "Chi partecipa a questo movimento ha un'idea alta della politica", dice ancora Donatella Della Porta. "Più che ai partiti, guarda ai grandi problemi dell'umanità, alle contraddizioni del sistema e la politica tradizionale non ha strumenti per capire questa nuova domanda di partecipazione. Non sa parlare con questo movimento". Neanche le istituzioni riescono a ottenere una gran simpatia: nemmeno gli enti locali hanno la fiducia del movimento (di loro "si fida" solo il 40% degli intervistati). Per non parlare del Parlamento: il tasso di fiducia si ferma al 19%. Risale qualche punto percentuale l'Unione europea: ma solo un quarto delle persone che hanno risposto ai questionari guarda con occhi benevoli a Bruxelles e Strasburgo. Attenzione, fra le statistiche raccolte dai ricercatori fiorentini, ve ne anticipiamo qualcuna "sorprendente, ma non troppo": quei ragazzi facevano, sì, parte di associazioni o gruppi, ma il 54,5% delle persone intervistate se ne andò a Genova a titolo individuale. Da sola, senza rispondere all'appello della propria organizzazione di riferimento. Non solo (ma questo si poteva già intuire): oltre la metà (il 51,4%) di chi trovò il coraggio di sfilare quel maledetto sabato di luglio era la prima volta che andava a una manifestazione. Movimento di giovani, sì, senz'altro, ma anche "di competenze": i livelli di istruzione sono alti, l'89,9% dei non-studenti ha un diploma, quasi la metà (il 48%) ha una laurea. Internet rimane il "media" principale per informarsi: l'89,3% si teneva aggiornato sugli appuntamenti genovesi via web. Certo, i sociologi si sbizzarriscono sulle definizioni: non si accontentano di spiegare che il movimento è "eterogeneo", è anche, e sicuramente, "policromo, policefalo - anzi: acefalo - composito, flessibile, reticolare". Ne siamo certi? Siamo davvero sicuri di dire la verità, tutta la verità, quando ci ostiniamo a raccontare che ogni leadership che cercasse di imporsi è destinata al fallimento? Cosa sono stati, allora, Agnoletto e Casarini? Un tempo erano "portavoce" e per di più "provvisori": con i mesi sono diventate le icone dei movimento. "Ma non c'è alternativa: se vuoi essere visibile devi avere un volto riconoscibile verso l'esterno e così è accaduto", spiega Massimiliano Andretta. "Ma io sono certo che dentro ai movimenti sono cresciute, dal basso, figure organizzative importanti. Che non si vedono, ma che hanno peso". "Attento", avverte Donatella Della Porta. "Trent'anni fa i leader erano i leader: e decidevano davvero ogni cosa. Oggi non è così. Questo movimento ha davvero qualcosa in comune con quello che fu "il movimento delle donne': può tentare di cambiare modelli e comportamenti sociali". Sono ottimisti i ricercatori fiorentini: "Questo movimento è una minoranza, ma può andare alla ricerca di consenso", dice Lorenzo Mosca, un altro sociologo fiorentino ."Deve avere la consapevolezza che i giorni di Genova sono stati un punto di partenza e che senza quanto è accaduto un anno fa non ci sarebbe stata la stagione dei girotondi, né delle grandi manifestazioni sindacali. Senza Genova molti ragazzi non sarebbero apparsi sulla scena della politica. Adesso si tratta di andare avanti". Come dire: dimenticare Genova per sperare sul serio, nonostante l'11 settembre e la stanchezza di questi ultimi mesi, che "un altro mondo possibile" non sia soltanto un bello slogan.






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