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COSTA D'AVORIO, UN MASSACRO NEL SILENZIO

di Fabio Rosati

da "Liberazione" del 12.10.02

La Costa d'Avorio oggi è un Paese spaccato in due: il nord musulmano nelle mani dei cosiddetti ribelli, il centro sud sotto il controllo governativo. Una situazione che va avanti dal 19 settembre, quando circa 750 militari - questo apparentemente il motivo della protesta - sono ricorsi alle armi per dire no al loro smobilizzo, cioè alla messa in pensione. Da quel giorno ad Abidjan a Bouaké la gente vive nel terrore, i viveri scarseggiano, i prezzi delle merci hanno raggiunto livelli impensabili. Lo stesso Laurent Gbagbo, presidente della Costa d'Avorio, mentre era in visita ufficiale in Italia fu costretto a fare le valigie in tutta fretta e raggiungere il proprio Paese. La situazione si rivelò ben presto più complessa di quanto si volesse far credere: quei 750 militari non potevano agire da soli e si capì che la Costa d'Avorio non veniva messa a ferro e fuoco soltanto perché qualche centinaio di persone veniva spedito in pensione contro la sua volontà. Si stava assistendo ad un vero colpo di Stato e gli scontri hanno mietuto un numero così alto di vittime che oggi nessuno ipotizza più il loro numero. Il silenzio che in Occidente avvolge quanto avviene in Costa d'Avorio, ma più in generale l'Africa, è scandaloso a conferma di quanto i mezzi di informazione riescano a pilotare il pensiero comune. Per televisioni, stampa e radio di casa nostra i confini del mondo vanno dall'Europa occidentale alle due Americhe. Raramente viene spesa una parola su fatti pur rilevanti che accadono in Africa e in Asia.

Una partita cruciale
Che cosa e chi c'è dietro il colpo di Stato in atto in Costa d'Avorio? Quali interessi possono muovere un migliaio di persone ad impugnare le armi e compiere stragi? La faccenda qui è resa particolarmente complicata dal fatto che ufficialmente poco si sa dei ribelli, non si sa chi sia il loro vero capo, né da chi siano manovrati. Alcune ipotesi però si possono avanzare, partendo proprio dalla realtà della Costa d'Avorio, crocevia dei traffici dell'Africa occidentale. Soltanto il porto di Abidjan, ritrovo di affaristi senza scrupoli, registra annualmente uno spaventoso movimento di merci - cacao, legname, caffè - originarie della Costa d'Avorio e dei Paesi limitrofi, e lo stesso vale per le frontiere con i vicini Burkina Faso, Mali, Guinea, Liberia e Ghana, oggi corridoi del lecito e dell'illecito, armi e mercenari in primis. Il paese è il primo produttore mondiale di cacao, i cui prezzi si stanno impennando su tutti i mercati internazionali. Dopo l'uccisione dell'ex capo di stato maggiore, Robert Guei, e del ministro degli Interni, Emile Boga Doudou, i prezzi del cacao a Londra hanno toccato il massimo da 16 anni e mezzo a questa parte, raggiungendo, complice anche il deficit dell'offerta mondiale, le 1505 sterline per tonnellata. La Costa d'Avorio ha ottenuto l'indipendenza dalla Francia il 7 agosto 1960, ma i rapporti con la madrepatria restano strettissimi, così come gli interessi di Parigi, che si è precipitata a portare soccorsi - soprattutto attraverso l'invio di un nutrito contingente militare - ai circa 20mila transalpini presenti nel Paese africano. Stessa cosa hanno fatto gli Usa, che non hanno radici così profonde in Costa d'Avorio, ma che nei pressi di Bouaké (800mila abitanti, 350 chilometri a nord della capitale Yamoussoukro) hanno creato scuole americane ed un crescente business a stelle e strisce. Dal comando europeo sono stati spediti in Costa d'Avorio 200 uomini dei corpi speciali Usa. «Il presidente Gbagbo - sono le parole di alcuni volontari non lontani da Abidjan - aveva promesso che a fine 2002 avrebbe rinegoziato i contratti francesi e di altri gruppi stranieri e questo potrebbe aver provocato malumori». Un missionario religioso che si trova in Costa d'Avorio da oltre dieci anni e che in questi giorni è testimone oculare delle atrocità, inquadra così la situazione: «Questo Paese è un paradiso di materie prime e non possiamo escludere che dietro i rivoltosi ci siano gli Stati Uniti». Raggiunto per telefono, ci narra di scontri combattuti «con armi modernissime mai viste in dotazione all'esercito ivoriano». Riferisce di «mercenari che parlano inglese, presumibilmente originari della Sierra Leone, ma è anche possibile che i Paesi confinanti stiano fomentando la rivolta. Mi riferisco soprattutto al Mali e al Burkina, da dove entra di tutto». Naturalmente è d'obbligo l'anonimato. Il missionario fa luce su una secolare questione che vuole tesi i rapporti tra Costa d'Avorio e Burkina Faso. Se negli ultimi anni Abidjan ha vissuto periodi di relativa prosperità - almeno così si può dire se si fa il confronto con gli altri Paesi dell'area - è anche perché ha saputo sfruttare a costi praticamente irrisori la numerosa manovalanza - oltre un milione di persone - proveniente dal Burkina. «Qui - continua il missionario - gli originari del Burkina Faso vengono discriminati un po' come accade in Europa per gli africani, eppure è grazie a loro se fino a pochi giorni fa la popolazione viveva oltre le proprie possibilità». Tutta gente che offre braccia nelle piantagioni, nelle segherie, che presta servizio domestico nelle case, che viene utilizzata per la sorveglianza delle proprietà private, che ha garantito fino al 19 settembre benessere alla nazione. Il 70% delle merci che giungono in Burkina passa attraverso il porto di Abidjan. Oggi la realtà è completamente mutata, pace e benessere appaiono lontani ricordi e nel Paese al clima di terrore contribuisce lo stesso governo che ha scelto la linea del "chi non è con me è contro di me", oppure del "chi si schiera con i ribelli è nemico della patria" (è questo il succo di uno dei messaggi più volte ripetuti dal presidente Gbagbo).

I gruppi etnici
Un'altra chiave di lettura del colpo di Stato è quella che va a cercare le motivazioni nella divisione tra gruppi etnici. Sotto questo punto di vista la Costa d'Avorio è un interessante laboratorio. Accanto al gruppo più consistente, quello degli Akan, che rappresenta il 41,1% della popolazione, troviamo i Voltaiques o Gur che sono il 17,6%, i Mandes del Nord che raggiungono il 16,5%, poi i Mandes del Sud che sono il 10% ed altri gruppi meno numerosi. Su una popolazione che supera di poco le 16 milioni di unità, la frammentazione è una realtà significativa. Lingua ufficiale è il francese, ma si parlano anche 60 dialetti nativi, dei quali il principale è il Dioula. Stesso discorso per le religioni, con la cristiana in maggioranza con il suo 34% di fedeli, poi la musulmana con il 27%, gli atei on il 21%, gli animisti con il 15%. Non è un caso se un gruppo di fedelissimi del generale Robert Guei abbia creato una realtà denominata "Forze del male". Una sorta di esercito parallelo a quello regolare che recluta adepti attraverso il terrorismo psicologico. La versione dello scontro tribale, però, gode di poca credibilità, mentre sarebbe più logico ritenere che certi attriti siano stati ingigantiti ad arte da chi aveva altri interessi in Costa d'Avorio. «Si è capito che ci sono dei regolamenti di conti - ci racconta un altro missionario che chiede anche lui l'anonimato - ma non sappiamo ancora chi manovri i ribelli. All'apparenza siamo in presenza di un colpo di Stato e di un forte scontro tra dittatori, ma non può essere soltanto questo. Chi vive qui inizia a chiedersi che cosa ne sarà della vita tra qualche giorno, visto che le derrate alimentari scarseggiano, che fiorisce il mercato nero, e che spostarsi è di fatto impossibile». Nella selva degli interessi, lo stesso missionario puntualizza la massiccia presenza di libanesi, che detengono buona parte del commercio, e che ufficialmente si sono schierati dalla parte del governo nonostante nuove imposte li abbiano tartassati. Meno massiccia, comunque considerevole, la presenza di italiani nel settore del legname. Dichiarazioni di solidarietà al governo ivoriano sono giunte da tutti i Paesi confinanti. Soltanto il Burkina è rimasto un po' sulle sue, ma anche questo è normale in una situazione di costante tensione. «Soprattutto negli ultimi anni - continua al telefono il missionario - con l'agricoltura sottoposta a carestie e con una pessima organizzazione del mercato che gli immigrati del Burkina hanno pagato in prima persona. In ogni caso, problemi di fame o di sottosviluppo qui non sono il pane quotidiano e questo non dà credito a chi vuole imputare a cause interne il colpo di Stato». Non si sa di ribelli che abbiano infierito contro la popolazione e questo potrebbe avvalorare la tesi del golpe organizzato dall'esterno. Mentre si ha notizia di bande armate "libere" che nelle città terrorizzano i civili, imponendo esodi di massa.



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