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COFFERATI, IL BREVE RITIRO DI UNA PERSONA SERIA

di Sergio Luciano

da "Il nuovo.it"

In un Paese di pagliacci, la serietà è un'eccezione. E Sergio Cofferati - che lascerà la Cgil l'8 luglio prossimo: si sapeva che sarebbe andato via, ma ora c'è una data precisa - è una persona seria. Una di quelle che quando prendono un impegno cercano di mantenerlo; che credono alla parola data; che chiedono rispetto, ma sono pronte a offrirne.
Una persona seria: riconoscimento rarissimo che al segretario uscente della Cgil fanno anche gli avversari, e ne ha tanti, proprio per la sua serietà.
L'impressione - questa addirittura più unica che rara - è che sia anche un idealista: uno, insomma, che "ci crede". E si sa che in Italia a "crederci" è rimasto solo Berlusconi, il quale - però - crede fondamentalmente di aver sempre ragione lui, ovvero crede in sè. Cofferati crede certamente anche in sè, ma forse soprattutto in un modo di "essere di sinistra" che non è conciliabile con i livelli di compromesso tipici delle trattative politiche. Ecco perchè, anche per i 3 governi del quinquennio ulivista, la vera spina nel fianco di Palazzo Chigi e di tutti i suoi più o meno abortiti piani di riforme liberiste è stato proprio Cofferati, con la sua Cgil, che pure avrebbe dovuto essere un "sindacato fiancheggiatore".
Poichè, come dice il vecchio adagio, "ciascun dal proprio cuor l'altrui misura", chi idealista non è ha immaginato - sin da allora - che Cofferati osteggiasse i piani del governo ulivista in odio al personaggio che ne era stato prima il regista e poi il leader, cioè Massimo D'Alema. Che i due non si amassero e non si amino è pacifico. E probabilmente il sindacalista ritiene che il politico sia ormai "finto" nel suo professarsi di sinistra: del resto, moltissimi elettori della sinistra, e comunque moltissimi osservatori - tra cui chi scrive - gli darebbero ragione.
Sta di fatto che di D'Alema sappiamo, ahimè, delle scarpe milionarie, della barca, delle cene da Vissani, dei flirt con l'alta finanza, della sua altera freddezza, di tutto un armamentario d'atteggiamenti e modi di dire che ne hanno fatto un leader aristocratico come pochi. Cofferati non ha tratti populisti, come li aveva il suo collega D'Antoni, è a sua volta freddo e scostante, ma quando parla, si vede che "ci crede". E, vivaddio, a dispetto della sua lunghissima esposizione pubblica, della sua vita privata sappiamo poco e niente, e sono cose "alla portata" dei suoi iscritti e, un domani, dei suoi elettori: Tex Willer, Verdi, le domeniche in casa. Cose normali: alla Prodi, per capirci.
Adesso sembra impossibile che torni a lavorare alla Pirelli. Ma sarà così: per merito suo, e anche perchè Marco Tronchetti Provera non sarà così ingenuo da sprecare una clamorosa occasione d'immagine, e gli troverà un posto adeguato. Chi dice che si occuperà di relazioni istituzionali a Roma, chi lo immagina alle risorse umane: un'intesa la troveranno. E non basta: c'è da scommettere che per un po' di tempo, finita l'inevitabile attenzione legata al suo addio al sindacato, di Cofferati sentiremo parlare poco. Lo ha promesso, e manterrà: è l'unico modo, dice, per lasciar lavorare in pace Guglielmo Epifani, successore designato. L'esatto contrario - guarda caso - delle pretese di "teleguidare" anche post-mortem le sorti del partito così a lungo condotto (e non precisamente al successo) che ha rivelato D'Alema.
Sarebbe sbagliato pensare, però, che il ritiro di Cofferati a vita privata sia definitivo. Siccome è un idealista, se la sinistra avrà bisogno di lui, lui ci sarà. E che la sinistra ne abbia bisogno è palese. Ne avrebbe già bisogno, anzi: ma questo deve capirlo la sinistra, che negli ultimi anni non è stata molto rapida a capire le cose.
Però, che leader sarebbe, Cofferati, per i Ds o per un eventuale partito unico della sinistra? Un leader "a doppio taglio", forse: carismatico, certo; capace di aggregare consenso e infiammare gli animi, come tutti coloro che "ci credono". Ma anche pericoloso, per questo: pericoloso non per la democrazia, perchè è un democratico; ma forse per la modernizzazione dell'Italia, perchè certi suoi ideali, forse, sono ormai irrimediabilmente da considerarsi utopostici. Non è per esempio difendendo una legge di 32 anni fa, lo Statuto dei lavoratori, che si può illudersi di risanare un mercato del lavoro intrinsecamente malato, non è moltiplicando le garanzi per chi già ce l'ha che si può credere di includere le fasce veramente emarginate di questo nostro strano Paese multistrato, dove benessere e spreco possono coesistere con il più nero degrado al piano di sotto.
E forse, in un Paese viziato da individualismo, opportunismo e furbizie, alzare il livello dei doveri almeno alla pari del livello dei diritti sarebbe la vera "riforma di sinistra" da fare subito: del resto dicono che Cofferati, quand'era ancora in Pirelli e controllava i tempi di produzione del suo reparto (questo era il suo incarico) fosse un impiegato severo ed esigente.
Ma discutere sulla validità delle idee di Sergio Cofferati, è un altro paio di maniche. Ora che sta per andarsene dalla Cgil, al termine di uno degli scontri più duri della sua carriera, ora che è all'inizio di questo suo (provvisorio) periodo di vita privata, quel che gli andrebbe assegnata è l'onorificenza ancora da inventare, più rara del commendatorato, più ambita del cavalierato, più esclusiva della Legion d'Onore (che ha avuto un anno fa): la croce - perchè è una croce - della serietà.






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