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ANTIMAFIA, LA LEZIONE DI NINO CAPONNETTO

di Peppino Di Lello

da "Liberazione" del 20.12.02

Un ricordo di Nino Caponnetto non può sconfinare nella retorica del "giudice gracile e mite che si sacrifica", proprio per non far torto alla rabbia civile che metteva nelle sue battaglie per la democrazia e che lo ha accompagnato fino alla fine. Sceso a Palermo nel novembre del 1983 per dirigere l'ufficio istruzione poco dopo l'omicidio di Rocco Chinnici vi rimane per più di quattro anni, trascorsi in totale reclusione tra il palazzo di giustizia e l'alloggio nella caserma della Guardia di finanza; lasciando un segno profondo in questa città e nel resto del Paese per aver saputo convincerci, più di molti altri, della inscindibilità tra la lotta alla criminalità e quella per la democrazia. Alcune caratteristiche della sua vita professionale sono arcinote: soprattutto la sua intuizione di far lavorare insieme i giudici istruttori che, separatamente e con separati processi, si occupano di mafia; una scelta cui si deve una stagione di successi giudiziari senza precedenti. E, ancora, lo schermo eretto a difesa dell'ufficio in una stagione di veleni e attacchi anche istituzionali grazie al quale Giovanni Falcone e Paolo Borsellino potranno lavorare serenamente. Ciò che, però, merita di essere ricordato oggi, in una fase storica di grande pericolo per le istituzioni e i valori costituzionali nonché di impressionanti "fughe" a destra di intellettuali un tempo sedicenti democratici, è il percorso politico (in senso nobile) di Nino Caponnetto. Cattolico, magistrato esponente di spicco dell'ala conservatrice, man mano che si addentra nelle connessioni tra mafia e potere ne scopre il segno di classe e comprende la impossibilità di rimanere "apolitico", cioè estraneo allo scontro in atto. Da ciò il suo intenso rapporto con i settori progressisti della città, fino alla sfortunata candidatura alla Camera per la Rete e, poi, senza mai mollare, un impegno a tempo pieno in giro per l'Italia a spiegare, nelle scuole o nei convegni, la pericolosità delle mafie per la democrazia e la necessità, insieme alla repressione giudiziaria, del lavoro e dello sviluppo per sconfiggerle. A questi temi associa sempre l'importanza della difesa dell'indipendenza della magistratura dagli attacchi del centrodestra berlusconiano e, anzi, ci spiega come tutto si tenga e come per il rafforzamento del potere politico - mafioso finanziario sia "necessario" demolire le garanzie costituzionali poste a presidio dell'autonomia della magistratura. Gli omicidi di Falcone e Borsellino, in rapida successione, sembrano spingerlo alla rassegnazione e all'isolamento, ma l'esperienza palermitana lo ha ormai cambiato e così si rimette in cammino con una "ossessione" in più: la difesa della Costituzione messa in pericolo prima dalla bicamerale e poi dal centrodestra. Con Nino Caponnetto scompare un grande meridionale, nato in Sicilia, trapiantato a Firenze e poi tornato giù per una stagione di lotte contro la mafia, per la libertà e la giustizia, idealmente, ma anche concretamente, ricollegabile a quella delle tante siciliane e dei tanti siciliani dal primo dopoguerra a Capaci e via D'Amelio.



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