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CORRISPONDENZA DA BUENOS AIRES

di Naomi Klein

da "L'Espresso"

Come si celebra l'anniversario di qualcosa che è impossibile definire? Questa è la domanda che migliaia di argentini si sono posti il 20 dicembre 2002 mentre da tutti gli angoli della città marciavano verso la storica Plaza de Mayo. Un anno fa cadeva il primo "Argentinazo", parola del tutto intraducibile in italiano. L'Argentinazo non è stato esattamente una rivolta, anche se in tv sembrava averne tutta l'aria, visti i supermarket saccheggiati, la polizia a cavallo che caricava la folla, e le 33 persone uccise in tutto il paese. Non si è trattato neanche di una rivoluzione, anche se dai giornali si sarebbe detto il contrario vista la folla adirata che ha preso d'assalto la sede del governo, obbligando il presidente a dimettersi. Diversamente dalla classica rivoluzione, l'Argentinazo non è stato organizzato da una forza politica alternativa che voleva prendere il potere. E diversamente da quanto accade generalmente nel caso di una rivolta, la richiesta è stata univoca e inequivocabile: l'immediata rimozione di tutti i politici corrotti che si sono arricchiti mentre l'Argentina, una volta invidia del mondo in via di sviluppo, precipitava in una spirale di povertà. In realtà, l'Argentinazo è stato semplicemente ciò che la parola stessa suggerisce: una caotica esplosione di "argentinità" durante la quale centinaia di migliaia di persone hanno improvvisamente e di loro spontanea volontà lasciato le proprie case, riversandosi nelle strade di Buenos Aires, rumoreggiando e sbattendo pentole e padelle. Questa gente ha urlato contro le banche, ha lottato contro la polizia, ha intonato cori da stadio calcistico, riuscendo a far fuggire il presidente e obbligandolo a lasciare la sua residenza a bordo di un elicottero. Nei 12 giorni seguenti, il paese è passato per cinque presidenti e il suo debito ha toccato i 95 miliardi di dollari, il più grave e grande ammanco della storia. Un anno dopo, il 20 dicembre 2002, ancora una volta la Plaza de Mayo si è riempita di gente. È chiaro quindi che si tratta di una giornata significativa. Ma qual è esattamente la ricorrenza? Cosa si celebra esattamente? La prima rivolta nazionale contro la globalizzazione corporativa? È l'inizio dell'"Argentinazo: parte seconda", un movimento militante che rimpiazzerà le fallimentari ricette del Fondo monetario internazionale per lo sviluppo economico con qualcosa di meglio? Insomma, il 20 dicembre non è stato un giorno di celebrazioni esaltanti e particolarmente convincenti. Al contrario, l'atmosfera era piuttosto lugubre e triste, specie all'angolo fra Avenida de Mayo e Chacabuco, di fronte al quartier generale dell'Hsbc, un grosso edificio di vetro nero di 28 piani. È su questo pezzo di asfalto che lo scorso anno è caduto al suolo il ventitreenne Gustavo Benedetto, ucciso da una pallottola che presumibilmente fu sparata da dentro la banca. L'uomo accusato dell'omicidio di Benedetto - ripreso dalle telecamere del circuito di sicurezza mentre sparava attraverso le vetrate della banca - è il tenente Jorge Varando, capo della security dell'Hsbc argentina. Varando è anche un ufficiale d'élite, ora in pensione, che fu attivo negli anni '70 quando scomparirono ben 30 mila argentini, molti dei quali prelevati a forza dalle loro case, brutalmente torturati e poi gettati dagli aerei nelle acque del Rio de la Plata. Negli anni '60 e nei primi anni '70, l'Argentina era un paese non democratico, governato dal succedersi di "juntas" che, quando permettevano elezioni limitate, impedivano al popolare partito peronista di far concorrere i propri candidati. Fu in questo contesto che gli studenti di sinistra e i lavoratori, stimolati da Juan Perón, che allora viveva in esilio in Spagna, iniziarono a organizzare gruppi per la lotta armata. La fazione più grande era quella dei Montoneros, guerriglieri urbani che presero in prestito la politica populista da Evita Perón e le tattiche militari da Che Guevara. Sebbene queste cellule non abbiano mai rappresentato una seria minaccia per la sicurezza nazionale, l'esercito argentino ha sfruttato una serie di attacchi della guerriglia contro obiettivi militari ed economici come scusa per dichiarare una campagna contro la sinistra: i generali l'hanno chiamata "la guerra al terrore", la storia l'ha definita "la guerra sporca". Fra il 1976 ed il 1983, l'Argentina è stata governata da un regime militare distorto che combinava il controllo sociale cattolico fondamentalista con l'economia fondamentalista neoliberale, proibendo la musica rock e allo stesso tempo rastrellando miliardi in prestiti e investimenti dalle banche straniere e dalle multinazionali. I generali l'hanno considerata una sorta di missione che doveva ripulire ogni scuola, luogo di lavoro, chiesa e quartiere da pensieri marxisti o in generale "sovversivi". E hanno reputato di avere diritto al profitto personale; si sono presi il meglio dalle casse dello Stato e hanno anche privato coloro che torturavano e uccidevano dei propri averi, delle proprie case, e persino dei propri figli. Ancora oggi i generali negano quasi ogni cosa e, grazie a un indulto ufficiale dello Stato, gli assassini di quell'epoca sono in libertà. Ma i gruppi per i diritti umani argentini hanno scoperto che l'uomo che l'Hsbc aveva messo a capo delle proprie operazioni di sicurezza era un presunto criminale di guerra. Un resoconto della Commissione interamericana per i diritti umani completato nel 1989 definisce Jorge Varando personalmente responsabile della scomparsa di almeno due prigionieri durante la guerra sporca. Grazie all'indulto, Varando non è mai stato processato. Ma oggi, 30 anni dopo, è in prigione accusato dell'omicidio di Benedetto. All'angolo fra Avenida de Mayo e Chacabuco, dove la facciata di vetro della Hsbc è ora rinchiusa in una struttura di acciaio rinforzato, si confrontano il passato e il presente dell'Argentina. Il presunto assassino di Benedetto lavorava per una banca straniera, una di quelle che hanno fagocitato i risparmi di milioni di argentini quando il governo ha dichiarato il congelamento dei fondi all'inizio di dicembre del 2001. Mentre i conti correnti bancari erano bloccati, il peso veniva svincolato dal dollaro americano e la valuta era in caduta libera. Quando, un anno dopo, il congelamento dei fondi bancari venne parzialmente sbloccato e la gente fu nuovamente in grado di prelevare soldi dai propri conti correnti bancari, quei risparmi avevano perso due terzi del loro valore. Sebbene le banche (anche la Hsbc) incolpino il governo per il congelamento, tale misura fu di fatto una risposta al fatto che l'anno precedente, nel giro di pochissimo tempo, le banche private avevano prelevato e fatto uscire dal paese circa 20 miliardi di dollari per lo più non tassati. Questa fuga di capitali è continuata per tutto il 2002, e dal paese sono usciti altri 9 miliardi di dollari nonostante il congelamento. La Hsbc è stata al centro della controversia: un momento particolarmente drammatico fu quando, alla fine dello scorso gennaio, la polizia effettuò un'incursione presso la Hsbc e alcune altre banche dopo aver scoperto che queste, due mesi prima, avevano utilizzato centinaia di veicoli blindati per trasportare montagne di dollari americani in contanti, non dichiarati, all'aeroporto Ezeiza, proprio prima che avvenisse il congelamento. I revisori dei conti del governo argentino hanno cercato di rintracciare questi fondi e un giudice della Corte Federale, invocando una legge argentina che vieta la "sovversione economica", ha ordinato alle banche di aprire i loro registri. La Hsbc ha fatto resistenza e, alla fine, insieme ad altre banche straniere ha manovrato con successo affinché la legge venisse cancellata dal Senato. Gustavo Benedetto è stato solo una delle 33 persone morte di morte violenta durante l'Argentinazo. Ma la sua vicenda, ossessionata dai fantasmi della storia così inequivocabilmente moderna, è diventata un simbolo per un paese che sta cercando di dare un senso a una crisi economica che sembra non avere fine. Come è possibile che in un paese ricco e abbondante di risorse che un tempo sfamava la maggior parte dell'Europa e del Nord America, oggi muoiano di fame 27 bambini ogni giorno? Come può un paese in cui gli operai delle fabbriche potevano un tempo comprarsi case e automobili, avendo i salari più alti di tutta l'America latina, ritrovarsi oggi il tasso di disoccupazione più elevato del continente e il salario medio più basso di quello del Messico? Gustavo Benedetto pensava che il suo governo dovesse delle risposte a queste domande. Ecco perché è sceso in piazza quel giorno. "C'era una volta un paese chiamato Argentina", ha scritto recentemente il giornalista Sergio Ciancaglini, "in cui sono scomparse molte persone e in cui, anni dopo, sono scomparsi anche i soldi. Una cosa è collegata all'altra". Ciancaglini sostiene che chiunque voglia comprendere appieno l'odierna crisi dell'Argentina debba prima guardare agli orrori del passato. Cosa che è stata fatta da alcuni gruppi di persone, che hanno intrapreso una sorta di missione investigativa nazionale alla ricerca di prove sull'intreccio che c'è stato tra gli interessi economici della dittatura con la politica finanziaria che ha mandato l'economia in rovina anni dopo. La convinzione - diciamo pure la speranza - è che quando questi pezzi verranno messi insieme, l'Argentina potrà finalmente rompere il ciclo di terrore e saccheggio che ha schiavizzato questo paese, come tanti altri, per troppo tempo. Gustavo Benedetto amava leggere libri di storia e di economia. Secondo sua sorella maggiore Eliana, "voleva capire come un così grande paese potesse essere finito in una tale confusione". Benedetto sognava di diventare professore di storia, ma in tempi migliori e più ottimistici. Con la morte del padre, a marzo del 2000, Benedetto dovette cercarsi un lavoro per mantenere madre e sorella. Era un brutto periodo per cercare lavoro. A La Tablada, il sobborgo post-industriale dove vive la famiglia Benedetto, la maggior parte delle fabbriche erano state chiuse. Il lavoro migliore che Gustavo riuscì a trovare fu in un supermercato del centro commerciale di zona. Almeno aveva un lavoro. Quando l'Argentina è esplosa un anno fa, la disoccupazione era oltre il 20 per cento e metà della popolazione viveva al di sotto della soglia di povertà. Sebbene il mondo dei media abbia scoperto la crisi argentina solo di recente, in quartieri come La Tablada è un fatto di vita da almeno sei anni, da quando cioè il paese è stato preso a modello dal Fondo monetario internazionale come miracolo di crescita economica, come esempio dei ricchi che aspettano che le nazioni povere spalanchino le loro porte agli investimenti stranieri. Stranamente, quando l'Argentina ha avuto meno ricchezza sulla carta, meno argentini hanno sofferto la fame. I fattori economici che hanno contribuito a questo cambiamento sono molti e complessi, dai mutamenti nel settore dell'esportazione agricola al ribasso dei salari nell'industria. Ma a giocare un ruolo sono stati anche cambiamenti più semplici, ad esempio il fatto che in tempo di difficoltà i piccoli mercati di quartiere erano soliti vendere cibo a credito, una piccola grazia del tutto scomparsa quando l'Argentina si è trasformata in una vetrina della globalizzazione e ha rimpiazzato quei piccoli negozietti con ipermercati stranieri grandi come templi aztechi, dai nomi come Carrefour, Wal-Mart, e Dia, e la catena spagnola in cui Benedetto è alla fine riuscito a trovare un lavoro. Così probabilmente non fu una coincidenza che nei giorni che precedettero l'Argentinazo, molti di questi ipermercati si ritrovarono sotto assedio, saccheggiati da folle di disoccupati. Quando Gustavo Benedetto si presentò al lavoro alla Dia la mattina del 19 dicembre, l'atmosfera era insopportabilmente tesa: nessuno sapeva se il proprio negozio sarebbe stato il prossimo ad essere preso d'assalto dalla folla affamata e adirata. Il manager del supermercato decise di chiudere presto quel giorno. Quando Benedetto tornò a casa, accese la tv e vide un paese in piena rivolta. La protesta era esplosa ovunque. Tutto il giorno e tutta la notte, Benedetto saltava da un canale all'altro, ma alle 22 e 40 del 19 dicembre ogni canale trasmetteva la stessa immagine: il presidente Fernando de la Rua, teso e sudato, mentre leggeva un discorso. L'Argentina, disse, è sotto l'attacco di "gruppi nemici dell'ordine che cercano di seminare discordia e violenza". E dichiarò lo stato di assedio. Per molti argentini, la dichiarazione suonò come un preludio al colpo militare. Benedetto guardava le immagini dal vivo di Plaza de Mayo che si riempiva di gente. La folla suonava pentole e padelle con cucchiai e forchette, un muto ma rumoroso biasimo delle istruzioni presidenziali: gli argentini non avrebbero rinunciato alle libertà fondamentali in nome dell'ordine. Ci avevano provato in passato ed era finita male. Un unico grido di rivolta si alzò dalla folla fatta di nonne, studenti liceali, mercanti, corrieri in motocicletta e operai disoccupati, un grido rivolto ai politici, ai banchieri, al Fondo monetario internazionale e a ogni altro "esperto" che aveva dichiarato di avere in tasca la ricetta perfetta per un'Argentina prospera e stabile. Quella notte Benedetto ebbe un sonno piuttosto agitato. Quando arrivò al lavoro, la mattina seguente, il supermercato era completamente chiuso. Ritornò a casa, accese di nuovo la televisione e sentì un impulso che non aveva mai sentito prima: voleva prendere parte a una manifestazione politica. All'improvviso Gustavo, un ragazzo calmo e tranquillo che mai nella sua vita aveva protestato, saltò giù dal divano, spense la tv e disse alla madre che si sarebbe diretto verso il centro della città. Durante il tragitto verso la fermata dell'autobus Benedetto chiese ad alcuni amici del quartiere La Tablada se volessero unirsi a lui. Ma non trovò nessuno disposto a farlo: la maggior parte della gente che vive a La Tablada ne ha avuto abbastanza della storia. Un atteggiamento questo sopravvissuto fino a oggi. Gustavo Benedetto decise di rompere quella tradizione, ma non aveva modo di sapere che le tattiche della dittatura stavano per tornare nelle strade di Buenos Aires. Nelle due ore che gli ci sono volute per andare dalla sua casa di periferia al centro della città, il capo della polizia diede l'ordine di liberare la Plaza de Mayo. Inizialmente gli agenti antisommossa utilizzarono pallottole di gomma e gas: una volta finite queste, usarono munizioni vere. La polizia spingeva la folla verso l'Avenida de Mayo, ma questa tornava indietro. Alle 16 e 30 circa, un gruppo di 20 poliziotti era alla ricerca di un luogo sicuro dove potersi rifugiare e ricaricare le armi. Scelsero l'atrio della Hsbc, uno degli edifici più protetti della città, visto che ospita anche l'ambasciata israeliana. Una manciata di dimostranti (meno di cinque persone secondo i documenti della corte) si staccò dal fiume di folla che si stava dirigendo verso Plaza de Mayo e cominciò a tirare pietre verso la banca. Un uomo spaccò una delle vetrate. La polizia e le guardie della sicurezza si fecero prendere dal panico e cominciarono a sparare. Secondo le prove raccolte dal tribunale, in quattro secondi una raffica di almeno 59 proiettili fu sparata dall'interno della banca verso la strada affollata. Proprio in quel momento Gustavo Benedetto, che da meno di un'ora camminava tutto solo verso il centro, si trovava a girare sull'Avenida de Mayo. Era a parecchi metri di distanza dalla banca, con le spalle all'edificio in questione quando un proiettile calibro 9 lo ha colpito alla nuca. È morto sul colpo. Le telecamere del sistema di sorveglianza della Hsbc, utilizzate come prove giudiziarie, mostrano chiaramente gli ufficiali di polizia e della security mentre sparano attraverso la vetrata della banca. Questa prova schiacciante ha portato a qualcosa di raro negli annali della giustizia argentina: l'arresto di un ex militare per omicidio di primo grado. Ha anche provocato uno scandalo che ha coinvolto non solo uno dei più famosi ed elitari investitori stranieri, ma anche la seconda più importante banca al mondo per profitto. Secondo Global 500 della rivista "Fortune", l'anno scorso la Hsbc Holding ha avuto entrate per 46,4 miliardi di dollari e profitti per 5,4. Jorge Varando è un prodotto della School of the Americas, un campo di addestramento alle tecniche della controguerriglia che si trova nel sud degli Stati Uniti. Nella sua testimonianza Varando ha dichiarato di non aver sparato a Benedetto. Secondo lui, infatti, il proiettile che ha ucciso non proveniva dall'interno della banca. Varando ha ammesso di aver sparato attraverso la vetrata: e di averlo fatto "in totale tranquillità" e "per fermare coloro che stavano cercando di entrare nell'edificio". La Hsbc si è rifiutata di commentare il caso, tuttavia non ha cambiato la società di security ed è attivamente coinvolta nella difesa di Varando dall'accusa di omicidio. Quando la corte ha messo in scena una ricostruzione dell'omicidio, combinando la videocassetta di Varando che sparava con il luogo in cui Benedetto è stato ucciso, Varando era rappresentato da uno degli avvocati della Hsbc. Nel corso della ricostruzione è sembrato evidente che qualcuno avesse cambiato l'angolazione della telecamera del sistema di sicurezza, rendendo estremamente difficile far combaciare la ricostruzione con la sequenza originale di Varando che spara attraverso il vetro. La banca sostiene che l'angolazione della telecamera sia stata cambiata durante una pulitura di routine. Il caso ha suscitato ulteriore scandalo quando, il 20 novembre intorno alle ore 15, due ufficiali della polizia federale sono stati sorpresi in un video fuori dalla Hsbc mentre con un piede di porco rimuovevano una targa commemorativa dedicata a Benedetto. La targa era stata messa sul marciapiede da amici e familiari alcune ore prima. Fino a tempi piuttosto recenti, l'Argentina ha perseguito una politica di ufficiale amnesia in materia di crimini risalenti alla guerra sporca. Certo, le Ong per i diritti umani pubblicavano ancora mordaci resoconti, le Madri della Plaza de Mayo marciavano e i figli dei genitori scomparsi si facevano ancora vivi di tanto in tanto fuori dalle case degli ex-militari per gettare vernice rossa. Ma prima dell'Argentinazo, la maggior parte della borghesia trattava questi temi come macabri rituali di un'altra era. E se questa gente non avesse avuto memoria? Il paese sarebbe "andato avanti". O almeno è quanto avrebbe dovuto fare, secondo l'ex presidente Carlos Menem. Menem, un liberista che può essere considerato come la sintesi argentina tra l'inglese Margaret Thatcher e l'italoamericano John Gotti, fu eletto la prima volta nel 1989, quando l'economia argentina era in recessione e l'inflazione alle stelle. Menem sosteneva che molti dei problemi economici del paese fossero derivati dai tentativi del suo predecessore di punire i generali della guerra sporca. Al contrario Menem proponeva un approccio diverso. Invece di tornare indietro, verso l'inferno di tombe sconosciute e le bugie del passato, l'Argentina avrebbe dovuto dimenticare e ricominciare da zero. Entrando a far parte dell'economia globale, e mettendo tutte le sue energie nel perseguimento della crescita. Dopo aver perdonato i generali, Menem lanciò un programma di privatizzazioni, sospensioni temporanee dal lavoro nel settore pubblico, flessibilità del mercato del lavoro e incentivi aziendali. Tagliò i programmi alimentari, tagliò il fondo per la disoccupazione di circa l'80 per cento, sospese dal lavoro centinaia di migliaia di impiegati statali e rese molti degli scioperi illegali. Menem definiva il suo programma una "chirurgia senza anestesia" e assicurava che una volta passato il dolore a breve termine, l'Argentina sarebbe "rinata". Gran parte della classe borghese di Buenos Aires si vergognava della propria complicità o compiacenza durante la guerra sporca, quindi abbracciò con entusiasmo l'idea di vivere in un nuovo splendente paese senza passato. Negli anni '90, Buenos Aires ha conosciuto un'ondata di carrierismo e di consumismo che farebbe vergognare anche il più rampante dei newyorkesi o dei londinesi. Secondo dati ufficiali, tra il 1993 e il '98 i consumi delle famiglie argentine aumentarono di 42 miliardi di dollari e gli acquisti di beni importati raddoppiarono dai 15 miliardi del '93 ai 30 del '98. Nel corso di dieci anni il Pil è salito del 60 per cento e gli investimenti stranieri si sono riversati nel paese. Ma, proprio come gli azionisti della Enron non si sono curati di guardare troppo da vicino i loro registri contabili fintanto che i loro profitti sono cresciuti, allo stesso modo gli investitori stranieri in Argentina non si sono accorti che nel 1999 il cattivo e austero governo di Menem fosse in debito di 80 miliardi di dollari in più rispetto al 1989. O che la disoccupazione fosse esplosa passando dal 6,5 del 1989 al 20 per cento del 2000. In breve, "il Miracolo di Menem" come lo definì il settimanale "Time", fu un miraggio. La ricchezza degli anni '90 fu una combinazione di finanza speculativa e di privatizzazioni selvagge: la società telefonica, la compagnia petrolifera, le ferrovie, la compagnia aerea. Dopo l'iniziale pioggia di contanti (e un gran numero di bustarelle), ciò che rimase fu un paese svuotato, servizi di base costosi e una classe operaia senza lavoro. Rimase anche un settore finanziario senza regole che permise alle famiglie argentine più ricche di far uscire dal paese 140 miliardi di dollari trasferendoli su conti correnti di banche straniere: più del Pil o del debito estero. Con l'estinguersi della ricchezza argentina, destinata a finire nelle banche di Miami e alla Borsa di Milano, anche l'amnesia collettiva degli anni di Menem svanì. Oggi, quasi 20 anni dopo la fine della dittatura, sono riapparsi i fantasmi dei desaparecidos che ossessionano ogni aspetto della crisi che affligge il presente di questo paese. Nei mesi successivi all'Argentinazo, era come se il tempo si fosse fermato e la stagione del terrore fosse accaduta solo ieri. È esploso un dibattito non solo su quanti l'hanno scampata pur avendo commesso degli omicidi, ma anche - e soprattutto - sul perché quel regime di terrore arrivò al potere. Per quali interessi morirono 30 mila persone? E qual è il collegamento fra quelle morti e la "chirurgia" del libero mercato che in questo paese è fallita in modo così spettacolare? Quando gli studenti e i membri dei sindacati venivano portati nei centri di tortura clandestini, c'era poco tempo per le domande su quali fossero le cause e gli interessi economici. Allora, gli attivisti argentini avevano una sola preoccupazione: rimanere vivi. Ci furono, comunque, delle eccezioni, alcuni che furono in grado di constatare che i generali avevano un piano economico aggressivo tanto quanto i loro piani politici e sociali. Nel 1976 e nel 1977 - i primi due anni di governo militare, i più insanguinati e barbarici - i generali introdussero un programma di ristrutturazione economica che era un'anticipazione della spietata globalizzazione corporativa di oggi. Il salario medio nazionale fu dimezzato, la spesa sociale subì un drastico taglio e i controlli sui prezzi vennero aboliti. I generali furono generosamente ricompensati per queste misure: in quei due anni, l'Argentina ottenne oltre 2 miliardi di dollari in prestiti stranieri, più di quanto il paese avesse ricevuto nei sei anni precedenti. Quando i generali si coprirono di vergogna con la guerra delle Falkland e restituirono ai civili il potere, il debito estero nazionale era aumentato da 7 a 43 miliardi di dollari. Il 24 marzo 1977, un anno dopo il colpo di Stato, il giornalista argentino Rodolfo Walsh pubblicò la sua "Lettera aperta da un scrittore alla Giunta militare" destinato a diventare uno degli scritti più famosi della letteratura dell'America latina. Nella lettera Walsh, un membro dei Montoneros, rompe la censura ufficiale della stampa e fornisce un dettagliato resoconto della campagna del terrore. Ma c'è una seconda metà della lettera che, secondo il biografo di Walsh Michael McCaughan, venne soppressa dai capi dei Montoneros, molti dei quali non erano interessati, come Walsh, ai problemi dell'economia. La metà mancante, pubblicata nel nuovo libro di McCaughan dal titolo "True Crimes", sostiene questa eresia: ovvero che il terrore non era "la più grande sofferenza inflitta agli argentini, né la peggiore violazione dei diritti umani commessa. È nella politica economica di questo governo che si scopre non solo la spiegazione dei crimini, la grande atrocità che punisce milioni di essere umani attraverso una miseria programmata". Per Walsh questo era il catalogo dei crimini: "Il congelamento dei salari portato avanti con il calcio dei fucili mentre i prezzi salivano alle stelle, l'abolizione di tutte le forme di contrattazione collettiva, la proibizione di assemblee e commissioni interne, l'estensione delle giornate lavorative, una politica economica dettata dal Fondo monetario che segue una stessa ricetta che applica indiscriminatamente allo Zaire o al Cile, all'Uruguay o all'Indonesia". Qualche minuto dopo che alcune copie della lettera vennero affisse, la polizia tese un'imboscata a Walsh, uccidendolo. Ciò che sta diventando chiaro è che negli anni '90 Menem effettuò un "intervento chirurgico" su un paziente che era stato già preparato dai generali vent'anni prima. La junta ha fatto molto di più che far scomparire gli organizzatori sindacali che avrebbero potuto lottare contro le sospensioni temporanee di massa, o i socialisti che avrebbero potuto rifiutarsi di rendere operativo l'ultimo piano di austerità del Fondo monetario internazionale. Il grande successo della guerra sporca fu la cultura della paura e l'individualismo che riuscì a lasciarsi dietro in quartieri come La Tablada dove Gustavo Benedetto è cresciuto. I generali hanno capito che il vero ostacolo al completo controllo sociale non erano i ribelli di sinistra, ma la stessa presenza della società civile. Che è poi il motivo per cui fecero in modo di far scomparire la stessa sfera pubblica. Il primo giorno del colpo di Stato del 1976, l'esercito proibì tutti gli spettacoli pubblici, dal carnevale al teatro alle corse dei cavalli. Solo il calcio fu permesso. Con una popolazione che si era ritratta nelle proprie case, il progetto economico della dittatura poteva continuare ed essere rafforzato dai successivi governi civili, senza dover ricorrere a mezzi repressivi di sorta. Almeno fino a poco tempo fa. Negli anni '70, quando le Madri della Plaza de Mayo cominciarono a cercare i loro amati figli, era cosa comune fra queste donne coraggiose dire che i loro figli erano innocenti, che quando vennero presi non stavano "facendo nulla". Oggi, le Madri della Plaza de Mayo sono alla testa delle manifestazioni contro il Fondo monetario e orgogliosamente dichiarano che i loro figli stavano facendo qualcosa quando vennero rapiti: erano attivisti politici che cercavano di salvare il paese dal "terrorismo economico" da allora continuato senza sosta. Fra le macerie di un paese in rovina, così come fu lasciato il 20 dicembre 2001, è cominciato ad accadere qualcosa di straordinario: la gente ha iniziato a tirare fuori la testa. E, in assenza di una leadership politica o di un partito che dia un senso all'esplosione spontanea di cui ha fatto parte, ha iniziato a parlare. A pensare insieme. Alla fine di gennaio, c'erano circa 250 "asambleas barriales," assemblee di quartiere a Buenos Aires, affollate di gente che rimaneva in piedi fino a tarda notte, discutendo, testimoniando, votando. Molte delle prime assemblee sembravano più gruppi di psicoterapia che incontri politici. I vicini parlavano delle proprie esperienze di isolamento in una città di 10,7 milioni di abitanti. Accademici e negozianti si sono scusati per non essersi presi cura gli uni degli altri, i manager pubblicitari hanno ammesso di aver guardato con sdegno gli operai disoccupati, dando per scontato che si meritassero la situazione nella quale si erano venuti a trovare, senza mai pensare che la crisi avrebbe raggiunto anche i conti bancari della cosmopolita borghesia. Alcune di queste pubbliche scuse avevano a che fare con eventi che risalivano ai tempi della dittatura e della guerra sporca. Alcune assemblee hanno prodotto solidarietà. Nell'anno passato, fra le 130 e le 150 fabbriche in bancarotta e abbandonate dai proprietari, sono state prese in mano dagli operai che un tempo vi lavoravano e sono state trasformate in cooperative. Nelle fabbriche, nei supermercati, nelle tipografie, nelle pizzerie, vengono organizzate assemblee aperte e prese decisioni in merito alle linee di condotta della società e i profitti vengono suddivisi in modo equo fra i lavoratori._Una sorta di "economia solidale". "Sento che la dittatura è finita", mi ha detto un "asamblista" quando sono arrivata a Buenos Aires. Secondo Walsh (lo scriveva 25 anni fa) ci vorranno 20 o 30 anni prima che gli effetti della campagna del terrore svaniscano.



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