LA
REGOLA DEL BASTONE
di
Mikhail Gorbaciov
da "La Stampa" del 2 aprile 2003.
Da
due settimane c’è guerra sulla terra dell’Iraq. Una guerra vera, niente
affatto simile al «rapido intervento chirurgico», o alla vittoria con poco
sangue versato su un territorio straniero, che vennero annunciati dai
sostenitori dell’azione militare.
In luogo delle scene previste di entusiasmo popolare,
delle distribuzioni di aiuti umanitari, noi vediamo sugli schermi televisivi
panorami di colossali distruzioni; veniamo informati dai bollettini quotidiani
delle stragi e del dolore dei civili. Non esiste una guerra «pulita», e una
guerra che sia stata iniziata illegalmente, contro l’opinione della comunità
internazionale, è due volte tragica.
Questa guerra non soltanto porta lutti e rovine al
popolo dell’Iraq; non soltanto sconvolge la vita quotidiana di una regione
cruciale, e del mondo nel suo insieme; essa mette a repentaglio tutte le
istituzioni e strutture che hanno finora permesso alla comunità internazionale
di vivere.
Si tratta delle Nazioni Unite, e del loro Consiglio di
Sicurezza. Si tratta delle relazioni di partenariato e di cooperazione degli
Stati Uniti con gli altri paesi e - la cosa più importante - del diritto
internazionale come fondamento dell'ordine mondiale. Se esso viene meno, se i
suoi principi e i suoi divieti vengono considerati privi di significato,
inessenziali per l’unica superpotenza, allora come effetto noi dobbiamo
registrare lo scatenarsi della forza, l’arbitrio, una generale assenza di
regole. E finiremo per precipitare in una tale tempesta, in cui nemmeno
l’America potrà cavarsela, e figuriamoci come potranno farlo quei pochi che
saranno disposti ad appoggiarla in ogni sua decisione.
L’azione militare degli Stati Uniti e la dottrina
americana dell’attacco preventivo hanno già scatenato la corsa al riarmo e
hanno inasprito le situazioni in diverse regioni del pianeta. Non si deve essere
stupiti di questo, perché se tutto viene risolto con il bastone, con la
possanza militare, allora agli Stati non resta che dotarsi di armi fino
all’inverosimile, incluse le armi di sterminio di massa. E nessuno può
prevedere quanti di essi vorranno seguire l’esempio americano, regolando
preventivamente i loro conti con i vicini e con i nemici. Un mondo di questo
genere sarà mortalmente pericoloso per l'umanità.
Gl’iniziatori e gli esecutori di questa azione
militare hanno inflitto un colpo al cuore stesso della democrazia, rifiutando di
confrontarsi con l'opinione della stragrande maggioranza dei cittadini e con la
stragrande maggioranza dei paesi. E, quando i principi e le procedure
democratiche vengono ridotti a vuote formalità, allora per milioni di persone
diventa inevitabile una reazione di rabbia, di frustrazione derivante da
un'assenza di vie d'uscita. Allora diventa possibile, per molti, l’idea e la
tentazione di «risposte asimmetriche», e si moltiplicano le file degli
estremisti e dei terroristi. Davvero questo vogliono i dirigenti di un paese con
il quale letteralmente il mondo intero fu solidale quando, l’11 settembre,
esso fu colpito da una barbara azione terroristica?
In questa situazione non possiamo permetterci di cadere
nel panico, né di arrenderci , accettando senza reagire ciò che sta accadendo.
Sì, le Nazioni Unite hanno subito un colpo durissimo, anche se - va detto - nel
caso avessero approvato una azione militare da nulla giustificata sarebbe stato
ancora peggio. Ma adesso l’unica scelta giusta è quella di riportare la
situazione nel solco delle Nazioni Unite. Certamente non per sanzionare, nemmeno
parzialmente, a posteriori, ciò che è stato cominciato, bensì per trovare,
con uno sforzo comune, una via d’uscita dalla tremenda situazione in cui ora
si trova il mondo intero. Occorre una aperto dibattito attorno alla questione
principale all’ordine del giorno: come fermare le azioni militari.
Ogni giorno che passa porta a milioni di cittadini
iracheni altre privazioni, altra fame, altre ferite e malattie, e la prospettiva
di combattimenti prolungati nelle città significa la morte per migliaia e
migliaia di persone. Davvero si pensa di poter aiutare il popolo iracheno mentre
tutto attorno esplodono bombe da diverse tonnellate, mentre Baghdad e altre città
dell'Iraq sono sottoposte a quotidiani bombardamenti? Davvero si pensa che in
queste condizioni sia possibile riprendere il negoziato in tema di «petrolio in
cambio di generi alimentari»? E’ bene che si sgomberi il campo dalle
illusioni: la guerra e l’azione caritatevole sono sempre state inconciliabili
e tali rimangono tuttora.
Per questo torno a dire che la via d'uscita è soltanto
una: fermare l'azione militare con una decisione del Consiglio di Sicurezza
dell’Onu. Ma, accanto all’esame dei problemi più urgenti, in primo luogo la
salvezza delle persone, occorre cominciare subito una riflessione comune sul
come salvare quelle istituzioni che hanno - seppure con fatica - tenuto assieme
il mondo negli ultimi decenni. E’ vero che alcune tra esse sono invecchiate,
reggendo a malapena le tensioni prodotte da vecchi e nuovi problemi. Ma questo
non può essere il pretesto per una «leadership distruttiva», che si proponga
di demolirli senza costruire al loro posto qualcosa di nuovo e di più solido.
Si sbagliano coloro che pensano che il mondo possa essere guidato da un solo
centro. Distruggendo le basi dell'ordine mondiale essi innescano un terremoto
globale dal quale essi stessi saranno travolti.
L’America ha compiuto un grande, terribile errore. Un
errore che può divenire irreparabile se vi insiste. E’ ora di ripensare, di
tornare su una via ragionevole, verso la comunità delle nazioni, e tutti
assieme decidere ciò che occorre fare perché il mondo non precipiti nel caos,
perché le strutture che hanno consentito un sia pur minimo governo delle cose
siano salvaguardate e adattate alle sfide del XXI secolo.
|