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ARGENTINA, FAME E VIOLENZA NON FINISCONO MAI

di Vincenzo Tessandori

da "Il Nuovo", 28 novembre 2002

Una «minima». Nel linguaggio giornalistico significa una notizia data con spazio risicato, sovente senza titolo, segnalata magari da un asterisco.

Quella che la casa di Miguel Bonasso, all'angolo fra Ufré e Uarte, a Buenos Aires, sia stata presa a revolverate da un paio di energumeni in divisa e armati di calibro 9, non ha meritato rilievo maggiore su quei giornali europei che si sono presi il fastidio di pubblicarla. Eppure, questa non è una notizia banale: è un allarme.

Bonasso è un giornalista del quotidiano più combattivo dell'Argentina: Pàgina/12, quello dove lavorarono lo scrittore Osvaldo Soriano e Horacio Verbitsky, autore de Il volo, racconto di un aguzzino sulla scomparsa, in Atlantico, di centinaia fra i sequestrati dalla Junta che abusò del potere dalla morte di Juan Domingo Peròn all'avvento di una democrazia che non ha ancora visto un giorno sereno.

La vittima mancata dell'assalto, che ha tutta l'aria di essere figlio di un neonato terrorismo di Stato, è sul punto di dare alle stampe un libro inchiesta sui tumulti che, il 20 dicembre 2001, videro, si legge su Pàgina/12, «l'assassinio di cinque persone nella capitale». E il probabile, più che possibile, coinvolgimento di agenti dell'onnipresente Cia, aggiungono le cronache dal Rio de la Plata. Non solo: il magistrato che indaga su quelle morti, «è stato minacciato tre volte nelle ultime due settimane».

Ora che la situazione economica in Argentina è salita ben oltre il livello di guardia, si avverte il pericolo di un ritorno degli spettri che popolarono quel periodo ormai chiamato «medioevo argentino». E qualcuno, a mezza voce, parla di rischio desaparecidos . Non c'è più, o forse non ancora, la probabilità di una guerra da parte dei suberivos , che non erano soltanto i militanti dell'Erp, l'esercito rivoluzionario del popolo, di sinistra estrema, ma anche i Montoneros, i giovani e fin troppo fanatici seguaci di Peròn dalle idee

variegate, un po' troppo a destra e un po' troppo a sinistra.

Ma c'è un nemico peggiore: la fame. Finora era sconosciuto, anche nelle sterminate villas miserias, i quiartieri più poveri un tempo ai margini della capitale e che oggi, la stringono d'assedio. Buenos Aires non è più «tango, desaparecidos, Maradona», come osservava Miguel Vàzquez Montalban. Rischia di non essere più nulla. Le sue strade sono diventate insicure, dicono che fermarsi al semaforo sia come giocare alla roulette russa. Rapine, sequestri lampo, ricatti, minacce: a leggere le cronache d'oltre Atlantico par di sfogliare un dizionario di criminologia. E le cifre, si assicura approssimate per difetto, fanno rabbrividire.

Un sondaggio del ministero della Giustizia rivela che l'88 per cento dei porteños, gli abitanti della capitale, ormai si sente «insicuro». Sopravvivono in miseria il 50 per cento degli argentini e il 70 per cento dei bambini dei quali 2,3 milioni, secondo il quotidiano La Nacion, patiscono la fame o sono malnutriti: e ogni giorno tre muoiono per queste cause.

Un governo che non governa, un'economia che non sa sollevarsi, un Paese che sembra accettare l'inaccettabile: la rassegnazione. Il presidente del momento, Eduardo Duhalde, ha fatto i suoi conti e, per radio, ha informato el pueblo che la recessione è finita. «Rallentata, forse, non conclusa», gli ha fatto eco Aldo Abram, dell'Istituto Exante. Ora Roberto Lavagna, ministro dell'economia, sbarca in Italia per raccontarci la sua Argentina.

Le elezioni presidenziali del 2003 sono viste come un punto di partenza, ma rischiano di non esserlo neppure di arrivo. Il primo rischio è che il nuovo presidente esca da un confronto elettorale al quale prenda parte fra il 15 e il 20 per cento di un elettorato ormai deluso. Del resto, Carlos Menem, l'ex presidente coinvolto in un numero impressionante di storie di corruzione, si è proposto come candidato eccellente, fra i neo-peronisti.

Oggi tutti danno l'impressione di esserlo, peronisti. I quali «non sono né buoni né cattivi, soltanto incorreggibili», disse un giorno Jorge Luis Borges. «In questo Paese, oggi, funzionano soltanto le mafie», ha osservato Yamila Fossa, che lavora in una Ong impegnata con i «bambini di strada».

Dovessero tornare a funzionare anche i militari, «quei» militari, le minacce a un giudice federale impegnato in un'indagine spinosa, o l'assalto a un giornalista reo di voler pubblicare i risultati di un'inchiesta delicata, non verrebbero più raccontate. Neppure in una «minima».

 

 




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