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CINEMA: L'ORA DI RELIGIONE

di Carlo Picciafuoco

da "Clorofilla.it"

Unico film italiano 'in concorso' per la preziosa "Palma d'Oro" al Festival di Cannes 2002, l'opera del regista piacentino Marco Bellocchio fa discutere e anche vivacemente per il tema trattato: la possibile ribellione alla religione, alla "famiglia istituzione", al conformismo sociale, alla soporifera "normalità", tanto cara a Massimo D'Alema, dove nulla si tocca né si modifica. Bocciato dalla Cei prima, poi dall'Avvenire e, infine, dal quotidiano ufficiale della Santa Sede L'Osservatore Romano, il film di Bellocchio piace al grande pubblico e suscita il plauso di politici e intellettuali. "Un film straordinario, essenziale che segna tra l'altro la vetta della poetica di Bellocchio" dice entusiasta Giovanna Melandri, ex ministro dei Beni Culturali. "Un film bellissimo e una storia vibrante e originale che fa molto pensare" aggiunge Giovanni Berlinguer, leader della minoranza dei Ds. "Vale sempre la pena andare a vedere i film di Bellocchio" osserva da parte sua l'astrofisica Margherita Hack. Poi due scrittori dai pareri contrastanti, severi quelli di Ferdinando Camon: "Ammazza Dio e Santa Madre Chiesa: sono le pugnalate di sempre". Entusiasti quelli di Lidia Ravera: "Spero che vinca a Cannes: lo merita in quanto è un film bellissimo". Reazioni contrastanti ma pur sempre reazioni e già questo può essere un successo per Bellocchio: esser riuscito a toccare l'animo umano. Con questo film che per me è uno dei più belli, Bellocchio raggiunge -continua Melandri - livelli straordinari al pari di un Bunuel o di un Fellini, segno di solida maturità artistica". Allora nulla a che vedere con Bellocchio de "I pugni in tasca?. Certamente no, due rappresentazioni diverse pur se in momenti diversi - risponde la Melandri - C'è stata ed è del tutto evidente un'evoluzione notevole tra le due opere". La storia raccontata nel film della 'ribellione' richiama sì quella dei Pugni in tasca ma gli esiti sono diametralmente opposti. E' una storia straordinaria e originale che fa pensare molto e riflettere - spiega Giovanni Berlinguer a cominciare dal rapporto tra la vera religione e le superstizioni che sempre l'accompagnano". Così da ateo "non ho affatto riscontrato un film -spiega Berlinguer - irriverente e offensivo: il rispetto per la religione non significa celare e quindi non criticare le pratiche divenute un'epidemia, come le santificazioni". L'astrofisica Hack si sofferma su quest'aspetto del film per ribadire: "La religione è un'invenzione dell'uomo stesso per rispondere a tutte le domande cui non sa rispondere: ribellarsi alla religione allora è giusto, sono d'accordo con Marco". E si può farlo senza finire nella follia. Ribellarsi alla religione e al sorriso di una madre religiosa e fredda, dal portamento manierato, rigida come una statua nella sua apparente gentilezza e cortesia, può essere possibile senza ammazzare e fare stragi. "E' il Bellocchio di sempre - osserva invece Camon - non è cambiato nulla da I pugni in tasca, le solite pugnalate a Dio, i soli fantasmi che ricompaiono". Nulla allora è cambiato, eppure sul tema Bellocchio nel 1994 fece "Il sogno della farfalla" con il quale fu presente a Cannes e dove rappresentò la separazione riuscita, senza morti e vittime, del protagonista dalla madre, dal padre, dal fratello, dalla sua stessa 'ragazzetta'. Gli ha fatto male - precisa Camon - l'analisi con Fagioli, quei fantasmi che ritornano sempre lo dicono". Non c'è allora differenza tra la prima e l'ultima opera? "Ammazza sempre Dio e Santa madre Chiesa", risponde ancora Camon. Non ammette che si ribelli alla religione? "E' un tema che non mi riguarda ma che sicuramente fa parte del pensiero di Fagioli", sottolinea. "La cui opera psicoterapeutica è gigantesca , è titanica e per certi versi irraggiungibile". E di conseguenza. secondo Camon, inconcludente anche se va avanti da trent'anni. Non è che dietro Bellocchio e la sua rappresentazione c'è appunto il suo analista - si chiede Camon - con la sua prassi analitica?". E allora ad "ammazzare Dio e Santa Madre Chiesa" è il dubbio di Camon, non è tanto Bellocchio quanto Fagioli

L'IPOCRISIA E LA RETORICA

di Marco Bertotto (presidente di Amnesty International Sezione Italiana)

da "Liberazione" del 14.06.02

Si è chiuso ieri il vertice mondiale sull'alimentazione. L'ipocrisia e l'insopportabile retorica dei governi che hanno partecipato all'incontro di Roma cede nuovamente il posto al silenzioso dramma quotidiano di milioni di persone, a cui continuano ad essere negati i più fondamentali diritti umani: nutrirsi, curarsi, istruirsi, avere accesso alle risorse essenziali, vivere una vita dignitosa. I governi hanno assunto dinanzi alla comunità internazionale degli obblighi precisi: garantire la promozione e protezione di tutti i diritti umani, inclusi quelli economici e sociali, e adempiere in questo modo alle aspirazioni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la libertà dalla paura e la libertà dal bisogno. Eppure in ogni angolo di mondo ci sono esseri umani che subiscono le peggiori conseguenze di un sistema economico e sociale che produce miseria ed emarginazione. Tutto avviene nella colpevole inerzia dei governi, che invece di adottare misure concrete e possibili per sradicare la povertà e combattere l'ingiustizia sociale, continuano a sbandierare le solite false promesse, ripetute con enfasi in ogni occasione ufficiale e recitate a memoria anche dalle (poche) delegazioni presenti al vertice di Roma. Il legame indivisibile tra i diritti socio-economici e le libertà ha trovato nello scenario internazionale del dopo 11 settembre un nuovo terreno di sfida. In un contesto globale caratterizzato dalla paura e da una pressante richiesta di sicurezza, le ingiustizie sociali ed economiche che scaturiscono da gravi abusi dei diritti umani - spesso alimentate o utilizzate a proprio favore dalle grandi imprese multinazionali - creano un terreno fertile per i disordini e la violenza. Mentre milioni di persone sono costrette alla guerra da povertà, discriminazione ed esclusione sociale, i governi continuano ad agitare la retorica della lotta globale contro il terrorismo e le loro fabbriche proseguono indisturbate a rifornire di armi gli eserciti piuttosto che a rispondere alle grandi sfide della povertà, della salute, dell'educazione e degli altri bisogni sociali. Per combattere il terrorismo non servono misure straordinarie e leggi d'emergenza, che erodono le libertà fondamentali e trasmettono sentimenti di intolleranza e discriminazione. Occorre invece una mobilitazione internazionale a favore dei diritti umani, incluso il diritto al cibo: la sfida è quella di "dirottare la globalizzazione", perché diventi veicolo per la realizzazione dell'universalità e dell'interdipendenza di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

COMMENTI SUL RAPPORTO 2002 DI AMNESTY INTERNATIONAL - ITALIA

di Ciccio Radar ((cr))



Le principali novità portate alla luce dal rapporto di Amnesty sul nostro paese riguardano essenzialmente le forze dell’ordine con riferimento all’uso eccessivo della forza (in alcuni casi si parla di tortura) e maltrattamenti durante manifestazioni di massa. Il pensiero corre subito al g8 di Genova e ai fatti di marzo a Napoli, avvenimenti conosciuti da tutti e sui quali ognuno avrà avuto modo di costruire la propria opinione. L’enorme portata mediatica degli eventi, l’appoggio dei partiti politici che da sinistra difendono i manifestanti, la massiccia presenza di giornalisti che hanno potuto documentare gli abusi hanno fortunatamente fatto emergere questi comportamenti creando un dibattito politico tuttora in corso. Ma leggendo il rapporto nel suo complesso al di là dei grandi avvenimenti internazionali ci si accorge di eccessi straordinariamente simili che, nel silenzio della stampa e della politica, colpiscono pressoché quotidianamente quegli elementi più deboli della società italiana (extracomunitari in primis) che non possono nei fatti, se non con mille difficoltà, denunciare tali comportamenti alle autorità. Individui la cui voce non viene praticamente mai raccolta ed amplificata dai media. Leggiamo di aggressioni fisiche, impiego eccessivo della forza e insulti di matrice razzista insieme a segnalazioni di sparatorie, talvolta fatali, in circostanze controverse. “A marzo cinque giovani, di cui tre albanesi, hanno sporto denuncia contro alcuni agenti di polizia di Pistoia e un buttafuori di una discoteca. Essi hanno denunciato che, dopo un litigio con il buttafuori, sono stati arrestati da alcuni agenti fuori dalla discoteca e condotti in una stazione di polizia in cui sono stati aggrediti da almeno cinque agenti e dal buttafuori. Uno degli arrestati ha dovuto sottoporsi a cure mediche ospedaliere per la frattura del setto nasale, la rottura di un timpano e un testicolo tumefatto. Gli agenti hanno sporto denuncia contro i giovani per oltraggio a pubblico ufficiale e lesioni. Essi hanno affermato di aver arrestato i giovani dentro la discoteca e di essere intervenuti per fermare una rissa tra i giovani e il buttafuori all’interno della stazione di polizia. In seguito all’episodio cinque agenti sono stati incriminati per lesioni, falso ideologico e calunnia; uno di essi è stato incriminato anche per ingiurie e sequestro di persona. A dicembre, dopo il patteggiamento della pena, tre agenti sono stati condannati a periodi di reclusione tra 11 e 14 mesi, mentre due sono stati rinviati a giudizio.” Emerge quanto siano drammaticamente puntuali gli abusi da parte delle forze dell’ordine nei confronti di soggetti più deboli, che nella società godono di meno diritti. L’impunità per qualsiasi comportamento criminoso da parte delle autorità è senza dubbio agevolata da queste situazioni e potrebbe addirittura configurarsi come un incentivo. Inoltre, un impostazione comportamentale a due binari (dove particolare riguardo viene assicurato ai cittadini italiani mentre gli immigrati conoscerebbero abusi statisticamente più rilevanti e qualitativamente più gravi) farebbe emergere la sinistra ombra dell’apartheid. “Ad aprile tre carabinieri sono stati posti sotto indagine per omicidio. Alcuni abitanti di Ladispoli hanno riferito di aver visto, in marzo, salire su una vettura dei carabinieri il cittadino tunisino Edine Imed Bouabid, immigrato illegalmente in Italia, circa 30 minuti prima che il suo cadavere fosse rinvenuto ai bordi di un’autostrada. L’autopsia e gli esami forensi hanno chiaramente stabilito che Edine Imed Bouabid è morto per tre colpi inferti con un oggetto pesante che hanno provocato la frattura del cranio.” “A febbraio dieci tra agenti di custodia e sanitari in servizio nel carcere di Potenza sono stati iscritti nel registro degli indagati in relazione a possibili accuse di lesioni gravi e gravissime e falsa certificazione medica. Nell’agosto 2000 era stata avviata un’indagine penale dopo che Tbina Ama, un detenuto tunisino, era salito sul tetto del carcere per protestare contro un pestaggio di cui, a suo dire, era stato vittima il giorno precedente a opera di alcune guardie carcerarie. Un esame forense effettuato su richiesta della Procura aveva concluso che le ferite sul suo corpo erano coerenti con quanto aveva denunciato. Tbina Ama si è suicidato nel maggio 2001.” Seguendo questo filo logico non stupisce apprendere che i maltrattamenti e gli abusi sono prevalentemente indirizzati, oltre che contro gli extracomunitari, anche contro i detenuti, altro anello debole della catena sociale. “A ottobre il giudice per l’udienza preliminare ha iniziato a esaminare la richiesta del sostituto procuratore per il rinvio a giudizio di 95 persone a seguito dell’inchiesta penale sulle denunce secondo le quali oltre 40 detenuti del carcere di Sassari, sarebbero stati maltrattati. Il 3 aprile 2000 sarebbero stati sottoposti a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, in alcuni casi configurantisi come tortura, da parte di decine di agenti di custodia in servizio in varie istituzioni penali sarde. Tra gli accusati figuravano anche l’ex direttrice del carcere di Sassari, l’ex provveditore regionale per gli istituti di pena della Sardegna, vari medici in servizio nelle prigioni di Sassari, Macomer e Oristano, nonché i direttori delle carceri di queste ultime due città” Ma a contribuire all’impunità non è solo lo status giuridico e sociale di “cittadini di serie B”: le forze dell’ordine che si macchiano di questi abusi sono protette da un preoccupante clima culturale tendente a tollerare, giustificare o addirittura approvare comportamenti violenti e razzisti contro determinate fasce di popolazione. Quanti pregiudizi contro gli extracomunitari, i carcerati, o i tossicodipendenti finiscono poi per legittimare quotidiani abusi e tradursi in pulsioni violente di poliziotti o carabinieri (parte integrante e spesso “specchio” della nostra società)? La stessa campagna denigratoria da parte di certa stampa ai danni dell’immagine del movimento no global (Carlo Giuliani ad esempio è stato spesso definito “punk-a-bestia” “persona che viveva di elemosina sempre circondato da cani cenciosi” “squatter” eccetera) potrebbe avvalorare questa tesi. La democratizzazione delle forze dell’ordine agonizza nella scarsa trasparenza delle istituzioni ma è anche il riflesso di atteggiamenti sociali xenofobi ed escludenti. L’unica via d’uscita è rappresentata da un’estensione dei diritti, da una corretta informazione e dal radicale soffocamento di ogni razzismo.

L.B. ((cr))

DETENUTI TURCHI RIDOTTI A LARVE UMANE

di D. F.

da "Liberazione" del 10.07.02

La sindrome di Vernicke-Korsakoff, caratterizzata da lesioni cerebrali con perdita della memoria, dell'equilibrio, dell'articolazione degli arti e della parola, era nota come estremo stadio della cirrosi epatica. Ma i 444 giovani uomini e donne che ne soffrono oggi in Turchia non bevevano una goccia di alcool. L'hanno contratta quando, incoscienti e legati ad un letto d'ospedale dopo mesi di digiuno in carcere e fuori, sono stati sottoposti all'alimentazione forzata da medici criminali che hanno evitato di associare, in vena, ai glucidi la vitamina B1 indispensabile per evitare che essi brucino irreparabilmente le cellule nervose. La denuncia è di due volontari dei Medici senza Frontiere, che hanno incontrato e filmato due volte, a Istanbul e Ankara, esseri spettrali capaci ancora di sorridere ma incapaci di ricordare, camminare e parlare. Altri medici, quelli legati alle associazioni per i diritti umani, sono disperati: la riabilitazione è parziale, difficile e costosa, l'equivalente di 2-3mila euro al mese per medicinali che lo Stato si guarda bene dal fornire. E' l'estrema, atroce vendetta di un regime che per bocca del ministro della Sanità irrideva ai prigionieri in sciopero della fame "non digiuni, ma impasticcati" perché assumevano vitamine per reggere più a lungo, e per bocca del ministro della Giustizia Sami Turk annuncia ora la costruzione di altre sei carceri d'isolamento "di tipo F", in aggiunta alle cinque già piene di prigionieri trasferiti di forza (ventisette dei quali, ormai in coma, continuano a digiunare). Alle torture fisiche e alla tortura dell'isolamento si aggiunge inoltre quella della calcolata riduzione di esseri umani allo stato vegetativo. E le celle, insieme ai diritti, si restringono anche nelle altre prigioni, mentre la crisi di governo rinvia definitivamente ogni ipotesi di amnistia e abrogazione della pena di morte per i dodicimila prigionieri politici.








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