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BOSNIA, TUTTO COME PREVISTO...

di Giancarlo Lannutti

da "Liberazione" del 08.10.02

Le previsioni della vigilia sono state anche troppo puntualmente rispettate: gli elettori bosniaci - o almeno quella metà di elettori che sono andati alle urne - hanno ridato corpo e vigore ai fantasmi del passato, fantasmi che peraltro sono spesso, per così dire, corposamente reali. In tutte e tre le entità che compongono il Paese balcanico (la Repubblica Srpska, cioè serba, e i due tronconi della Federazione croato-musulmana), e dunque nella composizione della Presidenza tripartita, hanno vinto i candidati dei partiti nazionalisti che furono al tempo stesso responsabili e protagonisti della devastante guerra del 1992-95. E' una sconfitta per l'Alleanza del cambiamento, il cui esperimento di apertura riformatrice e interetnica, avviato con il successo elettorale del 2000. Sembra essersi consumato nel breve volgere di un biennio; ma è anche una sconfitta per l'amministrazione internazionale, cioè Nato, che dalla pace di Dayton gestisce di fatto il Paese. Nella zona serba ha vinto dunque il Partito democratico (Sds) di Radovan Karadzic, ricercato dal cosiddetto tribunale internazionale dell'Aja e nascosto fra le montagne della «sua» repubblica (la moglie è stata accolta nel suo seggio dagli applausi degli elettori presenti); nella croata Herzegovina si affermano con l'Hdz i fedelissimi del defunto presidente della Croazia Tudjiman che puntano tuttora al ricongiungimento con la «madre patria» di Zagabria; mentre fra i musulmani vince il Partito di azione democratica (Sda) dell'ex-presidente Izetbegovic che è etnicamente «pulito». E' dunque comprensibile che sulla stampa di ieri siano apparsi titoli del tipo: «La Bosnia torna al 1990» o «Indietro le lancette sull'orologio delle riforme». In realtà. l'esperienza dell'Alleanza per il cambiamento è stata così breve che si può dire che l'orologio delle riforme non abbia nemmeno cominciato a camminare. Le cose non sono però mai così semplici e così scontate. L'Alto rappresentante internazionale (di fatto il governatore della Bosnia), Paddy Ashdown, ha accusato il colpo e ha cercato di liquidare l'avanzata - o la riscossa - dei nazionalisti come un voto «di protesta» per la lentezza delle riforme. Sembra strano in verità che per affrettare le riforme si mandino al potere quelli che alle riforme sono contrari e forse Ashdown e i suoi colleghi e superiori della Nato e dell'Unione europea dovrebbero guardarsi un po' più allo specchio, farsi almeno un po' di autocritica. Tuttavia lo stesso Ashdown ha ragione a sottolineare che il risultato è anche il prodotto di una affluenza alle urne che è la più bassa dal 1995: appena il 55% del corpo elettorale, e il dato è ancora più basso nelle città; di modo che i partiti nazionalisti serbo e croato hanno potuto affermarsi pur avendo riportato in cifra assoluta meno voti che nel 2000. Ma i socialdemocratici, vincitori nel 2000, vedono i loro voti praticamente dimezzati; e si sa comunque che anche l'astensionismo è una forma di voto ed assume un chiaro significato politico, che non si esaurisce sempre o soltanto in una generica protesta. Quella che esce a pezzi dalla urne è la formula stessa della Bosnia multietnica messa insieme in modo più o meno artificioso o più o meno astratto a Dayton, dopo essere stata cinque anni prima deliberatamente affossata nell'insieme della vecchia Jugoslavia. Non sappiamo se ci sia ancora qualcuno così illuso da credere che la Nato sia andata davvero in Bosnia (e poi in Kosovo) per amor di democrazia e per il rispetto dei diritti umani invece che per interessi ben più concreti e assai meno confessabili. Ma sono sicuramente in tanti ad aver capito che stiamo assistendo da un decennio a un'unica guerra «infinita» (secondo l'aggettivo coniato da Bush jr.), iniziata nel 1990 nel Golfo, proseguita poi nei Balcani e in Afghanistan e che dovrebbe ora allargarsi all'Iraq e chissà a chi altro. Se partiamo da questo dato, anche il voto di Sarajevo e dintorni apparirà meno sorprendente.

BEAT: SCONFITTI, FREGATI, SFOTTUTI

di Dario Fo

da "Alcatraz.it"

Beat: sconfitti, fregati, fottuti: questo e' il significato letterale, e non solo, della parola che ha identificato un'intera generazione. "man I'm beat" significava sono un uomo senza un posto dove andare, senza soldi: sono a pezzi, esausto ho toccato il fondo. Al di la' di ogni significato, quando sento nominare quel movimento, la beat generation, mi passano per la mente una "squillata", gran quantita', di immagini, tutte in movimento. Ci sono strade che si proiettano su pianure desertiche e poi corrono fra piantagioni infinite, ancora si arrampicano fra rocce, torri di pietra e scorrono a costeggiare i canyons. E via lungo le foreste a disegnare ghirigori seguendo le coste in riva al mare. Ci sono, e non possono mancare, mezzi di trasporto di tutte le razze e dimensioni a partire dalle moto per finire con i camion enormi: corrono, attraversano giorno e notte. Le luci proiettano righe accese e colorate in contrappunto alle grida dei clacson e delle sirene della polizia. Il pensiero fisso dei ragazzi della beat generation era il viaggiare: attraversare in ogni senso e dimensione l'America, una terra abitata, ma sconosciuta. Si deve andare, ma dove? avevano un programma? una meta? no!! "go nowhere" Non era una dichiarazione di non senso, di follia fine a se stessa: muoversi per non andare da nessuna parte. La mancanza di uno scopo era proprio la chiave della loro filosofia: costruire, ma senza fabbricare, proprio vivere ed agire senza produrre, questi sono i tormentoni del pensiero di Kerouac, Cassady, Burroughs, Ginsberg e poi di Lamantia, Corso e Ferlinghetti: essi non hanno mai avuto l'ambizione di diventare o produrre un movimento ne' politico ne' culturale e tanto meno esprimere l'idea di una nuova morale. Questo gruppo di amici pensava solo di indurre altra gente come loro ad esprimere una quantita' enorme di rifiuti: - rifiuto anzitutto della violenza - rifiuto del maccartismo e di ogni persecuzione politica e ideologica - rifiuto della logica falsamente machiavellica de "il fine giustifica i mezzi": no! ripetevano, nessun fine, per quanto nobile, puo' giustificare la prevaricazione, i processi criminali, l'ingiustizia, l'imporre regole che affoghino la liberta' - rifiuto della guerra in nome della difesa dei diritti civili del nostro popolo (per popolo si intende quello degli Stati Uniti) - negazione di qualsiasi regola che produca asservimento e repressione, quindi battersi per la piu' completa liberta' sessuale dell'uomo - talvolta espressa nell'omosessualita' - e della donna: i beats dettero una forte spinta all'emancipazione femminile liberando la donna da ruoli conformi e socialmente condivisi. Liberta' di espressione e liberta' religiosa, ma contro ogni religione che voglia imporre i suoi dogmi: per questo fu scelto come studio e ricerca dell'autocoscienza il buddismo zen, una filosofia senza regole e regolamenti, senza la confessione, il pentimento e la pena o l'assoluzione per la vita eterna, amen. Il rifiuto finale era dedicato alla terra, alla luce, l'acqua, l'aria: ci rifiutiamo di appoggiare chi sfrutta l'ecosistema con cinismo e mancanza assoluta d'amore. La terra non e' un bene di dio per i soli uomini: e' un bene che dobbiamo preservare e restituire all'umanita' che ci segue nel tempo, sfruttarla e massacrarla per il solo interesse al potere e al profitto e' il maggior crimine che si possa perseguire. "Vietato vietare" era uno slogan che si e' proiettato per tutto il pianeta e naturalmente si faceva allusione anche all'uso di droghe. Questo e' un punto controverso proprio perche' alla sua origine i protagonisti della beat avevano scelto la cosiddetta via morbida della droga (soft drugs): usavano marijuana, hashish, mescalina, funghi sacri, lsd e altre droghe d'erba africane. Ne difendevano l'uso convinti, a giusta ragione, che quelle fossero droghe che non creavano assuefazione: "avvicinano le persone, eliminano le inibizioni e migliorano i rapporti tra i sessi". Ma il desiderio sempre latente di sperimentare per conoscere, legato all'assioma che "chi non fa inchiesta e non sperimenta non ha diritto di parola", ecco che piu' di un ricercatore parti' per una via senza ritorno. Percio' ci ritroviamo ad elencare un numero notevole di "sconfitti" travolti dalla droga pesante, un nome illustre fra tutti e' quello di Gregory Corso. Dobbiamo sottolineare che con i beats sono sorti in America, a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, tutti i piu' importanti movimenti di emancipazione civile, sociale, libertaria e di difesa dei diritti civili di ogni comunita' minoritaria di tutto il mezzo secolo trascorso. Tra questi il movimento degli hippyes, il movimento studentesco, compreso quello francese, tedesco e italiano, i movimenti pacifisti, quelli ecologisti, fino agli attuali no-global, e ancora le organizzazioni che si occupano dei rapporti con l'ammalato, i cosiddetti medici clown, compresi i sostenitori di una medicina alternativa che si rifa' ai metodi primordiali di cura e di uso dei medicamenti (omeopatia, iridologia, agopuntura, ecc...) E' straordinario che tutti questi movimenti diano nati da persone che negavano ogni organizzazione ideologica e di gruppo e questo nonostante l'enorme forza propulsiva delle idee che i "sfottuti" esprimevano. Ma la preoccupazione di questo minuto gruppo, che esplodera' in tutta l'America e appresso in Europa per i concetti e la qualita' nuova delle idee, non era solo quella di negare la logica dell'apparato sociale ed economico vigente ma anche di rimuovere drasticamente il linguaggio con cui esprimersi (3). Il suono, il canto, il gestire il danzare, il rappresentare, il dipingere, il costruire, il raccontare attraverso il cinema oltre che con la poesia. Corso diceva "la poesia e' il mio paradiso". Ho studiato il progredire della musica jazz a partire dal blues per finire nel rock e raggiungere le forme prodotte dal be bop. Sono stato e lo sono ancora un fanatico di Dizzie Gillespie e ho avuto perfino la fortuna di esibirmi con lui e la sua orchestra in una jam session nella quale cantavo con il grande nero rifacendomi al "grammelot" degli spirituals. Devo testimoniare che alla fine mi sentivo sospeso di parecchi centimetri dal suolo e ho capito perche' si sia detto che "il jazz e' il fluire della vita". Raggiungendo la pittura nata dal pensiero beat si puo' scantonare nemmeno di un millimetro davanti a Pollock. Il suo modo di costruire un dipinto e' a dir poco fuori d'ogni regola. Le regole di composizione lui se le produce ogni volta che si pone davanti a una tela, ma attenti: non fatevi circuire e ingannare da quei critici che vi assicurano come Pollock fosse tutto istinto ed emozionalita', un creativo all'improvviso. Ho personalmente conosciuto questo pittore e, durante il nostro dialogo, mi ha mostrato una serie incredibile di disegni e bozzetti preparatori. "Quando sono pronto" assicurava "parto a dipingere anche con gli occhi chiusi: il quadro ce l'ho gia' nel computer della mia memoria". Parlando del cinema devo ammettere, o se preferite segnalarvi, che solo grazie ad esso credo di aver capito qualcosa dei beats. Ho individuato, grazie a film come "Easy rider" di Denis Hopper, "Il sorpasso" di Dino Risi, "Zabriskie point" e "Professione reporter" di Michelangelo Antonioni, "Thelma e Louise" di Ridley Spott, "Paris Texas" di Wim Wenders, "Marrakech Express" e "Turne'" di Gabriele Salvatores, "A proposito di donne" di Herbert Ross, "Il pasto nudo" di David Cronenberg, per citarne solo alcuni, il motore della filosofia del rifiuto e della negazione dei valori che questa societa' ci impone come regole irrifiutabili: o accetto o sei out! Tutti questi film trattano e cercano di analizzare il principio che nulla e' sacro, inviolabile, essenziale, assoluto, rispettoso: nemmeno la morte! In questi film si raggiunge spesso la catarsi della distruzione dei miti che vivevano alla base del pensiero dei beats, compreso proprio il godere al massimo del bene della vita, dell'amore, dell'amicizia, della solidarieta', del disprezzo per il successo e per i quattrini. I maestri di questo pensiero hanno piu' o meno tutti buttato all'aria queste certezze, le hanno capovolte e spernacchiate. Che il distruggere ogni equilibrio, elogiando l'instabile e il disequilibrio, fosse all afine il modello e il propellente metafisico di tutto il loro pensiero? Qualcuno ha suggerito di definire la beat generation un gioco maestoso costruito sulla sabbia del deserto poco prima che spiri il vento del ghibli.








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