Controversie sulla Comunicazione Facilitata

   In un articolo del 1993,
Rimland riportava un accumularsi di dati sperimentali sfavorevoli al riconoscimento della Comunicazione Facilitata come valido strumento di supporto alla comunicazione comprendenti, oltre ad un lungo elenco di processi conclusisi con sfiducia verso la tecnica in questione.
Secondo Rimland, l'atteggiamento "eccessivamente entusiastico" di Biklen appariva smorzarsi all'emergere di alcuni dati (si trattava di 11 risultati marginalmente positivi su un totale di 285 portatori di handicap). L'autore affermava infatti che la Comunicazione Facilitata può essere utile per molti che non parlano, o il cui linguaggio è fortemente disturbato, confermando come la Comunicazione Facilitata non si riveli utile con tutti: il suo successo dipende da fattori neurologici (tremori, tono muscolare, sensibilità propriocettiva), esperienze didattiche e opportunità di pratica. Secondo Rimland, queste affermazioni differiscono molto da altre precedenti, in base alle quali il metodo sarebbe efficace con il 100% delle persone con limitazioni gravi nella comunicazione. A tutto ciò seguì la decisione del Governo Australiano di effettuare un taglio ai finanziamenti al DEAL Communication Center.
   Nello stesso articolo scriveva però anche lo stesso
Biklen, ammettendo che bisogna attribuire credibilità ed importanza alle comunicazioni verbali più che a quelle prodotte con la Comunicazione Facilitata, nel caso, naturalmente, in cui sia presente una seppur minima capacità di verbalizzazione.
  L'argomentazione più forte e pericolosa nei confronti della Comunicazione Facilitata veniva dal dubbio che quanto i soggetti riuscivano a produrre grazie a questo metodo
non provenisse da essi stessi ma dal facilitatore. Si parlò addirittura di frode, affermando che i facilitati erano semplici pupazzi nelle mani del facilitatore.
   Già nel 1988, infatti, un gruppo di operatori nel campo del ritardo mentale scrisse un articolo in cui si contestava l'uso indiscriminato della Comunicazione Facilitata, dato che i risultati provavano che vi era
l'influenza del facilitatore nella produzione dei messaggi.
   Ciò stimolò l'
Intellectual Disability Review Panel a richiedere una verifica più approfondita dell'affidabilità e della validità del metodo. Tuttavia, solo tre soggetti del DEAL Communication Center furono disposti a partecipare. Dalla ricerca emerse che, di questi, uno soltanto era in grado di comunicare realmente grazie alla Comunicazione Facilitata. In seguito comunque fu messa in evidenza l'ambiguità dei risultati di quel soggetto.
   La
Crossley e Biklen risposero a questi dubbi con il breve documento riportato qui sotto, che ebbe larga diffusione tra gli operatori e fruitori della tecnica della Comunicazione Facilitata:

"Congratulazioni, è un piacere incontrarti e vederti utilizzare il tuo aiuto alla comunicazione, eccoti alcuni suggerimenti che potranno aiutare te e i tuoi partner alla comunicazione.
TU: la tua comunicazione sarà più efficace se tu cercherai di guardare il tuo obiettivo mentre stai indicando, questo fatto migliora la tua abilità, ti permette di controllare il tabulato ed è comunque essenziale per poter raggiungere l'indipendenza, correggi il tuo facilitatore se ti rendi conto che non ti sta capendo. Se il tuo facilitatore legge male ciò che stai indicando o non capisce il tuo messaggio faglielo sapere. Per questo hai un'opzione sul tuo congegno di comunicazione: l'opzione errore o il tasto per il ritorno. Utilizza il tuo congegno per comunicare con il maggior numero di persone, ciò aumenterà la tua indipendenza e ti permetterà di comunicare più spesso.
IL TUO FACILITATORE: tu sarai un buon facilitatore se controllerai sempre che la persona facilitata stia guardando il congegno di comunicazione mentre indica. Altrimenti gli osservatori potranno pensare che tu stia producendo il messaggio. Dai costante rinforzo, ripeti le parole e le frasi man mano che il messaggio viene costruito, se stai usando una cartellina di comunicazione dovrai ripetere ogni lettera in modo che l'utilizzatore sappia sempre che tu hai ben visto ciò che ha indicato e ti possa quindi correggere se necessario. Dai il minor supporto necessario perché la facilitazione è tesa a migliorare le abilità o le capacità di indicare e via via che questa capacità si sviluppa la facilitazione deve essere ridotta. L'obiettivo è l'indipendenza".

   Come si può rilevare da questo documento, i problemi maggiori vertevano
sull'impressione che si poteva avere che fosse il facilitatore a produrre i messaggi, soprattutto nel caso in cui il facilitato non guardasse o guardasse poco l'obiettivo o nel caso in cui il rinforzo e supporto fisico sembrasse eccessivo. Le raccomandazioni di questo scritto cercano di ovviare a questi rischi.
   Oltre a ciò, anche
Mayer Shevin, collega di Biklen, cercò di dire qualcosa in difesa dell'attendibilità della Comunicazione Facilitata. Egli scrisse sulla tendenza di tutte le persone di cercare suggerimenti per aiutarsi nella comunicazione: notare che anche i facilitati avessero questa tendenza non avrebbe minato più di tanto la validità del metodo. L'autore individuò comunque alcune strategie perché i facilitati e i facilitatori non cadessero nella trappola del suggerimento: "1) espandere il numero delle persone con cui i due partners utilizzano la Comunicazione Facilitata; 2) il facilitatore deve rendersi conto di quale sia il proprio modo di dare suggerimenti, anche se inconsapevoli e di come in tutte le situazioni questo fattore possa essere esplicitamente discusso tra i due partners; 3) sia il facilitato che il facilitatore dovrebbero sempre poter identificare le situazioni in cui è più facile che si diano suggerimenti".
   L'aspetto positivo delle controversie sulla Comunicazione Facilitata è che tali difficoltà hanno spinto questo metodo a una propria profonda revisione e miglioramento. Un po' ovunque i suoi sostenitori hanno cercato di dimostrarne in vari modi l'attendibilità, anche mediante la somministrazione di
tests di non facile produzione e codifica, data la situazione delle persone alle quali venivano fatti sperimentare. Se, ad esempio, il facilitato produceva un messaggio il cui contenuto era impossibile che il facilitatore potesse conoscerlo, ciò veniva considerato come garanzia che l'autore di tale comunicazione fosse proprio il facilitato. Sono essenzialmente quattro le prove di paternità che questi tests cercano di portare alla luce: 1) la presenza di una fraseologia caratteristica, modi di dire, frasi estranee al facilitatore; 2) la presenza di informazioni sconosciute al facilitatore; 3) il completamento della parola, prima che venga del tutto scritta, con la voce da parte del facilitato; 4) la scrittura autonoma.
   Non esistendo ancora risultati del tutto chiari e convincenti e, soprattutto, non avendoli riscontrati in una certa misura, il dibattito resta tuttora aperto. Lo stesso Biklen, direttore del Centro per la Comunicazione Facilitata presso l'Università di Syracuse, in un recente convegno, ha rinnovato la richiesta di collaborazioni, ricerche e contributi di pensiero originali e critici. E anche in Italia si è mossa ultimamente la ricerca universitaria, in particolare il Dipartimento di Psicologia di Genova, che ha  presentato recentemente in ambito nazionale i primi risultati di un gruppo di lavoro.
   Un altro elemento controverso nei confronti della Comunicazione Facilitata, che tocca forse dei livelli ancora più profondi e insondati della problematica, riguarda la convinzione di molti studiosi che gli autistici
siano impossibilitati a possedere e far uso del codice simbolico letterario. Se questo è vero, i soggetti autistici non sarebbero in grado nemmeno di "pensare" in termini di "parole", mentre sarebbero capaci di sfruttare il codice simbolico-iconico delle immagini, come propongono le altre forme di Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Anche nel caso di questa problematica abbiamo però pareri diversi, come quello di Joanne Cafiero, direttrice del "Progetto Autismo" alla John Hopkins University Center for Technology in Education, che afferma che "alcuni bambini autistici preferiscono le parole invece dei simboli, per cui è possibile inserirle al posto delle immagini. In alcuni casi si è cominciato con i simboli per poi passare alle parole".


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