[FRAMMENTO D'AUTOBIOGRAFIA]
Questo Frammento fu dettato da Luigi Pirandello a Monte
Cavo, nell'estate 1893, all'amico Pio Spezi, e da questi dopo moltissimi
anni pubblicato nella Nuova Antologia (fascicolo del 16 giugno 1933).
Pirandello, quantunque avesse dato all'amico Spezi l'autorizzazione
a stampare il «frammento», non riconobbe affatto al testo
pubblicato la sua paternità, e giunse anche a mettere in dubbio
alcuni particolari biografici, come la fuga a Como.
... Io dunque son figlio del Caos; e non allegoricamente,
ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna,
che trovasi presso ad un intricato bosco, denominato, in forma dialettale,
Càvusu dagli abitanti di Girgenti. Colà la mia famiglia
si era rifugiata dal terribile colera del 1867, che infierí fortemente
nella Sicilia. Quella campagna, però, porta scritto l'appellativo
di Lina, messo da inio padre in ricordo della prima figlia appena nata
e che è maggiore di me di un anno; ma nessuno si è adattato
al nuovo nome, e quella campagna continua, per i piú, a chiamarsi
Càvusu, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco
Xáos.
Mio padre è proprietario di una ricca miniera di zolfo, quindi
avrebbe voluto che io mi dedicassi agli studii di commercio. Fui collocato
perciò nelle scuole tecniche di Girgenti; ma tutti quei numeri,
tutte quelle regole, tutto quel rigido ordine matematico, ripugnavano
al mio animo impaziente ed avido di completa libertà. Avvenne
perciò che dopo compiuta la seconda classe tecnica e riescito,
non so come né perché, a superare gli esami di luglio,
dissi a mio padre che ero stato rimandato nell'aritmetica; non poter
quindi recarmi con la famiglia in campagna ed essere costretto a passare
le vacanze a Girgenti per istudiare e riparare il mancato esame.
Mio padre lasciò correre; ed il danaro che doveva spendersi per
la ipotetica lezione di matematica, serví invece per una vera
lezione di lingua latina, perché io desideravo tanto di essere
ammesso in ginnasio ed anche di saltare la prima classe. Tutto andò
bene, secondo i miei desiderii e ad ottobre riuscii ad ottenere la regolare
ammissione nella seconda classe ginnasiale. Il babbo non guardava tanto
pel sottile in fatto dei miei studii: seppe che non perdevo un anno,
fu contento, lontano le mille miglia dall'immaginare la mia marachella.
Frequentai i primi due mesi nel ginnasio senza alcuna preoccupazione.
Ma ben presto fui tradito da una circostanza da nulla. Se mio padre
non si occupava molto pel minuto del progresso dei miei studii, doveva,
purtroppo, firmare la pagella scolastica ogni due mesi. Ma io non ne
avevo alcuna, perché al ginnasio non se ne davano, come alle
tecniche; sicché... riuscii a passarla liscia, dopo il primo
bimestre, inventando spudoratamente cervellotiche ragioni che il babbo,
alla meglio, accettò per buone.
Ma ben presto stava per iscadere il secondo bimestre: e innanzi all'idea
di essere scoperto e giudicato da mio padre, affettuoso in genere, quanto
terribile nell'ira, fui preso da un tale spavento, che, dopo aver proposto
e scartato varie soluzioni, non trovai altro rimedio che fuggire da
casa, fuggire da Girgenti.
Un amico di nostra famiglia, un lombardo di Como, doveva tornare alla
sua città con un grande carico di zolfo per via di mare. Io lo
pregai di condurmi con sé, tanto piú che egli ci aveva
di molto esaltate le bellezze dell'Italia settentrionale, del lago di
Corno, del duomo di Milano e via dicendo. Da prima egli condiscese ben
volentieri; ma, quando io gli manifestai la necessità, per me
assoluta, che questo mio progetto dovesse tenersi completamente celato
a mio padre, non ne volle piú sapere e partí per Palermo
dove aveva noleggiato un vapore per caricarvi la sua merce e, con quello,
andare a Genova, per poi, di là, recarsi con la ferrovia a Corno.
Io, però, non mi smarrii e ne inventai un'altra. Racimolai il
danaro necessario pel biglietto da Girgenti a Palermo; insalutato ospite
fuggii di casa, e giunsi alla capitale dell'isola il giorno stesso in
cui quel signore doveva imbarcarsi e partire. Lo trovai, ingarbugliai
un bel discorso, di cui la sostanza era che avevo potuto finalmente
ottenere il sospirato consenso paterno; l'amico mangiò la foglia
ed io partii con lui glorioso e trionfante.
Al principio tutto andò benone; ma a metà del viaggio
marittimo, fui preso da così straziante rimorso pel dolore che
avrei cagionato ai miei, specialmente a mia madre, che non potei resistere
piú e finii col confessare ogni cosa a quel signore: e solo mi
parve di essermi liberato da una grave mole che mi pesasse sulla coscienza
quando, arrivati a Genova, si telegrafò a mio padre tutto quanto
era accaduto. Chi può ridire la mia contentezza quando, con la
risposta, mio padre mi mandò anche il suo consenso perché
continuassi il corso ginnasiale in Como? Quivi stabilitomi, frequentai
dipoi regolarmente anche la terza ginnasiale.
Senonché in seguito, d'accordo coi miei genitori, tornai in Sicilia
e compii gli studi secondarii a Palermo; dove anzi incominciai pure
quelli universitarii. Distaccatomi oramai dalla famiglia, passai a Roma;
e quivi, alla Sapienza, frequentai le lezioni del secondo anno della
facoltà di lettere, dove non incontrai fortuna, perché
ebbi un contrasto con l'insegnante di lingua e letteratura latina, il
professore Occioni, mentre mi aveva preso a ben volere il professore
Monaci, docente di filologia romanza. Costui, che aveva compreso il
mio carattere tenace per quanto possa parer bizzarro, mi consigliò
di terminare l'università in Germania e troncare cosí
ogni spiacevole occasione di urto con il detto professore, che era anche
preside della facoltà di lettere. Mi decisi pertanto di recarmi
nella dotta Germania e scelsi la università di Bonn, nella quale
città e nel quale centro di studii trovai un ambiente molto adatto
al mio temperamento e alle mie ricerche letterarie e filosofiche. Presi
nel marzo del 1891 la laurea di dottore in filologia romanza con grande
soddisfazione dell'indimenticabile mio maestro romano Ernesto Monaci
ed il seguente anno scolastico restai ancora a Bonn in qualità
di lecior di lingua italiana nell'università. Ma la nostalgia
mi avvinceva e provavo uno struggente desiderio della famiglia, della
Sicilia, di Roma e quest'anno non ho saputo resistere e son tornato
alla mia bella Italia anche senza sapere, come realmente non so, che
cosa sarà di me, né che cosa farò...
Monte Cavo, 15 agosto 1893
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