L'UOMO DAL FIORE IN BOCCA (1918)
Un uomo condannato a morte per un epitelioma ("il
fiore in bocca") si intrattiene con uno sconosciuto ("un pacifico
avventore") che, avendo perso il treno, aspetta in un bar quello
successivo. Il dialogo si sviluppa su temi di vita quotidiana, ma, dopo
le prime battute, si trasforma in un soliloquio dell'uomo dal fiore
in bocca, che lascia libero sfogo ai propri pensieri. Attraverso fatti
e situazioni di poco conto, il protagonista sfiora anche l'argomento
della morte, sapendo bene che la sua vita sta per finire.
La comunicazione tra i due personaggi è praticamente a senso
unico: chi "tiene il discorso" è l'uomo dal fiore in
bocca, il quale, di tanto in tanto, dà la possibilità
all'altro di emettere qualche monosillabo di assenso. Già da
questo si può quindi comprendere che ciò che interessa
al protagonista è solo sfogarsi: parlare significa per lui liberarsi
momentaneamente dall'incubo della morte imminente.
Requisito fondamentale perchè questo sfogo serva realmente, è
che l'interlocutore sia uno sconosciuto, "un pacifico avventore"
a cui non interessa altro che prendere il primo treno per raggiungere
la famiglia. Un amico, un conoscente, un parente, senza neanche lasciarlo
cominciare, avrebbe intavolato una discussione su un argomento di interesse
comune, forse anche per distoglierlo dal pensiero della morte.
Ma all'uomo dal fiore in bocca non interessa nè comunicare valori,
nè subire una tale comunicazione: l'importante è ora lasciar
girare i pensieri a ruota libera, senza la pretesa di fare alcun tipo
di discorso...:
"...se mi si fa un momento di vuoto dentro... lei lo capisce,
posso ammazzare come niente tutta la vita in uno che non conosco...cavare
la rivoltella e ammazzare uno che, come lei, per disgrazia abbia perduto
il treno... No, non tema, caro signore: io scherzo! Me ne vado. Ammazzerei
me se mai...ma ci sono, di questi giorni, certe buone albicocche...
Come le mangia lei? con la buccia, è vero?"
PAGINA
PRECEDENTE