"Il terzo giorno di pioggia avevano ammazzato
tanti granchi dentro casa, che Pelayo dovette attraversare il suo
cortile allagato per buttarli nel mare, perché il bambino
aveva passato la notte con le caldane e si pensava fosse a causa
del fetore. Il mondo era triste fin dal martedì. Il cielo
e il mare erano una stessa cosa di cenere, e le sabbie della spiaggia,
che in marzo sfolgoravano come polvere di mica, si erano trasformate
in una broda di fango e di molluschi putrefatti."
(Da Un signore molto vecchio con certe ali enormi)
E' difficile che un avvio del genere lasci indifferenti: lo stile
di Marquez infatti predilige gli estremi, ingigantisce le sue creature
fantastiche e tende fortemente a farsi amare od odiare, a seconda
del gusto del lettore.
Bisogna sfidare la propria capacità razionale, senza al contempo
abbandonarla, perché è proprio in un mondo popolato
da angeli decaduti, da velieri fantasma, da mari che pur custodendo
cadaveri emanano un forte profumo di rose e nei quali liberamente
si puo' scorrazzare senza paura, che gli avvenimenti osservano il
piu' stretto rigore logico, assai piu' di quanto (purtroppo) accada
nella vita di tutti i giorni.
Ma, visto che come dice Pennac siamo "popolati di libri e di
amici" e che spesso dobbiamo agli amici cio' che di piu' bello
abbiamo letto, il problema fondamentale rimane se consigliare o
no questo libro.
Si potrebbe rispondere in miriadi di modi differenti, piu' o meno
"politically correct", addentrandosi, non senza un certo
divertimento, nei vari significati metaforici di un'opera che si
rifà spesso agli antichi miti e li trasfigura (e questo è
particolarmente vero per "La incredibile e triste storia di
Erendira e della sua nonna snaturata") oppure perdendosi tra
le implicazioni e le denuncie sociali soprattutto verso il capitalismo
(e il neocolonialismo occidentale nel sud america).
Ma forse la cosa migliore da dire è anche la più semplice:
i racconti di Marquez infatti sono belli, piacevoli e scritti bene,
e soprattutto divertono in modo intelligente. Riescono in otto,
dieci pagine a creare un mondo insieme logico e surreale dove il
bene e il male si dividono in modo più chiaro e dove le realtà
più ovvie sembrano trasfigurarsi assumendo nuovi significati.
E tutto questo con leggerezza, senza moralismi, limitandosi a ritrarre,
a dipingere, in modo che le pagine scorrono lievemente, appassionando
il lettore.
Se volete un consiglio, leggeteli a voce alta, come fiabe, che tali
sono: fiabe, come quelle dei fratelli Grimm, capaci di mantenere
il mistero, misto alla paura, fino alla fine (non fino alla conclusione,
perché raramente si concludono realmente).
La fantasia di Marquez illumina i racconti a sprazzi, risollevandoli
di continuo, senza abbandonarsi a cali di tensione: si alternano
personaggi fantastici e storie di tutti i giorni in un misto di
sapore acre e dolce, come ne "La incredibile e triste storia
di Erendira e della sua nonna snaturata".
Una storia questa che riprende un brevissimo episodio che si trova
all'inizio di Cent'anni di solitudine" e qui, come molti altri
ampliato (l'idea è nata per dar vita a un soggetto cinematografico)
Il racconto si sviluppa su di un unico nocciolo piu' volte reiterato:
la giovane Erendira per sbadataggine ha provocato l'incendio della
casa in cui viveva colla nonna e ora sta ripangando il suo debito
con un'iperbolica attività di prostituzione (se la caverà
in 10 anni con 70 clienti per notte!)
Dopo anni (o mesi) di tribolazione incontra Ulises, nome suggestivo,
specie di biondo arcangelo estraneo ai luoghi desertici in cui il
racconto è ambientato (il paesaggio ricorda un po' quello
del film di Kusturica, Gatto nero gatto bianco). Ulises si innamora
di lei e tenta di farla fuggire: naufragato questo progetto a pochi
metri dalla libertà di entrambi, decide di aiutarla a uccidere
la nonna.
Il combattimento con la gigantesca matrona (la "balena bianca"
del racconto, com'è chiamata, forse in omaggio al capolavoro
di Melville) acquisice definitivamente le caratteristiche del racconto
epico/mitico. La nonna appare qui in figura di serpente (ferita
si ricopre di sangue verde e oleoso, sibila, tenta di strozzare
il ragazzo)e il clima del racconto ci riporta ai miti di Perseo
e Andromeda o a quello della lotta tra San Giorgio e il drago.
Come significato del nuovo mito di Erendira, possiamo porre i riti
di iniziazione pagani in cui è dal ventre dell'animale ucciso
che fuoriescono le persone adulte, iniziate alla vita. Così
alla morte della nonna Erendira acquista di un solo colpo la sua
maturità ("e quando fu convinta che era morta il suo
volto acquistò di colpo tutta la maturità di persona
adulta che non le avevano consentito i suoi vent'anni di infortunio")
e fugge colla borsa dell'oro accumulato (la perdita dell'innocenza
è allora correlata alla brama e alle ricchezze?)
Si può capire che un racconto del genere, assolutamente al
di fuori dei canoni, lascia sbigottiti, infarcito delle creazioni
fantastico-mitiche del suo autore eppure più realistico di
una cronaca nera, ma non lascia senza parole, aprendo invece il
campo ha dibattiti e feconde discussioni, come un punteruolo che
scava l'indifferenza.
(Gianni Migliarese)