Mario Luzi
L'opera poetica
Elzeviro
Raccolta l'opera in versi


Nelle poesie di Luzi la Commedia del '900
Di Giovanni Raboni


Più di milleduecento pagine di poesia, quasi ottocento di apparati: chi avesse temuto di trovare nel volume dei "Meridiani" Mondadori consacrato all'Opera poetica di Mario Luzi una sorta di doppione "di lusso" della raccolta dei suoi versi presente da anni (e ristampata, con essenziali aggiornamenti, anche di recente) negli "Elefanti" Garzanti non ha, ora, che da ricredersi. A parte l'imponente lavoro di documentazione e annotazione messo a punto dal curatore Stefano Verdino, cui si deve anche l'appassionato scritto introduttivo e, a fare da vestibolo al commento, il resoconto di numerosi colloqui da lui avuti con l'autore (tutte cose che già ne farebbero uno strumento non più rinunciabile), il volume contiene infatti, e basta un'occhiata per sincerarsene, una serie tanto cospicua quanto emozionante di testi inediti o rari o dispersi, comprese diciotto poesie che costituiscono, sotto in titolo "Un mazzo di rose", il nucleo d'un libro a venire.
Ma le cifre, pur impressionanti, non bastano a spiegare la certezza che il libro irresistibilmente ci trasmette: quella di trovarci di fronte al più vasto attraversamento del possibile della poesia che un autore italiano abbia compiuto nel corso di questo secolo. Verdino parla di una "vivacità creativa sempre risorgente", che ha portato Luzi a "dialogare all'inizio con Montale e Betocchi e in tempi recenti con Viviani e De Angelis". Giustissimo; e non dimenticherei - anzi, metterei ancor più in risalto - la fatale tempestività con cui Luzi si è trovato, negli anni Cinquanta e Sessanta, a lavorare fianco a fianco con i maggiori fra i suoi coetanei, primo fra tutti Vittorio Sereni (i rapporti trasversali, e del tutto spontanei, fra il suo "Nel magma" e i sereniani "Strumenti umani" sono una delle chiavi di volta, e di senso, della poesia del secondo Novecento) né, se posso far valere una memoria anche autobiografica, ciò che qualche anno prima - diciamo all'altezza dello stupendo "Onore del vero" (1957) - la sua scoperta d'un quasi miracoloso punto d'equilibrio fra medietà linguistica e altezza metaforica (e, correlativamente, fra verità interiore e verità d'una storia comune, d'un ambiente, d'un paesaggio) ha rappresentato, con valore di rivelazione o di conferma, per gli autori della mia generazione.
Impossibile, ovviamente, non dico descrivere, ma anche solo comprendere in un unico sguardo i sessant'anni e più di poesia che separano quell'ardente, impetuosa opera prima che è "La barca" (1935) dalle solenni e trepide interrogazione di "Un mazzo di rose". Per fortuna, a darci una mano c'è la definitiva tripartizione della sua storia che Luzi ha espressamente per questa edizione e che ha tutta l'aria di quelle grandi invenzioni après coup (sul tipo, per intenderci, della sublime trovata balzachiana di far scendere su un agglomerato di romanzi il titolo-suggello di "Comèdie Humaine") capaci di incorporare a un'opera il suo stesso destino. Il disegno, come è noto, era già stato abbozzato dal poeta a due riprese, prima (1960) riunendo con il titolo "Il giusto della vita" i suoi sei libri iniziali, da "La barca" a "Onore del vero", poi (1979) ponendo i successivi quattro sotto quello misteriosamente parallelo di "Nell'opera del mondo"; ma è a questo punto, con l'assegnazione degli ultimi tre (più, come s'è detto, il nucleo germinale del prossimo) a una serie ovviamente aperta di "Frasi nella luce nascente", che esso appare, al di là di ogni convenienza episodica, in tutta la sua oggettiva fecondità.
Tre parti: tre come le età fondamentali della vita, come le cantiche della "Commedia", come i tempi di una sonata; e ci si potrebbe sbizzarrire in chissà quanti altri accostamenti o rimandi. Ma a contare, per noi, è soprattutto la possibilità di cogliere o quanto meno di intravedere in esse il succedersi (e insieme, si capisce, la permanenza-metamorfosi) di tre fasi distinte di questa straordinaria vicenda, ossia, nell'ordine, il corpo a corpo via via più drammatico con il "duro filamento dell'elegia", l'esperienza propriamente tragica degli anni Sessanta e Settanta, con la discesa del poeta-personaggio nel "magma", nel "corpo oscuro", nel "grande patema" della Storia e, infine, la vertiginosa coralità filosofica degli ultimi due decenni. E forse, semplificazione per semplificazione, potremmo anche dire Purgatorio, Inferno, Paradiso: come per Sereni, anche per Luzi il Purgatorio viene - è venuto - prima dell'Inferno…
Resta da dire, tra infinte altre cose, che l'immagine della metamorfosi come strumento naturale di redenzione si rispecchia non meno essenzialmente - e come potrebbe essere altrimenti? - nello specifico divenire della forma. Dal cantus firmus di "Avvento notturno e di "Un brindisi" al cantus planus del trittico "Primizie del deserto" - "Onore del vero" - "Dal fondo delle campagne", dal sermo merus di "Nel magma" (preludio a un'altra e complementare, sebbene qui non evocabile avventura, il teatro), alle supreme, "inudibili" fughe bachiane di "Frasi e incisi di un canto salutare" o del "Viaggio terreste e celeste di Simone Martini", una giustizia metrica infallibile rinasce continuamente dalla propira abiura, dal proprio sacrificio, dalla propira messa a morte. Poesia della continuità e del mutamento, la poesia di Luzi si fa - si fa concretamente, frase dopo frase, nella segreta e lampante materialità del ritmo - luogo di continuità e di mutamento.

da il "Corriere della sera" del 24/11/1998

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