Il restauro della facciata della chiesa di San
Pietro nell’arce di SEZZE :
giudizi, problemi e prospettive
La
conservazione nonché il restauro del complesso edilizio dell’acropoli setina è
stato sempre oggetto di particolari studi storici ed architettonici riguardanti
i principali monumenti che si ergevano attorno a Piazza Margherita ( Ex Collegio
gesuitico e Seminario vescovile diocesano; Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro
e Paolo - meglio conosciuta come San Pietro -, piazzetta dell’ex chiesa di San
Rocco – distrutta nel 1944 in seguito a bombardamento aereo tedesco- , casa
Lombardini , palazzo comunale De Magistris…) .
La
questione è tornata molto di moda, diventando un caso molto spinoso da
contendere, quando si è dovuto risolvere il problema del restauro della facciata
della citata chiesa di san Pietro, malauguratamente scivolata , con il
trascorrere degli anni, in uno critico stato di decadimento esterno ed interno
anche per le burrascose vicende religiose che hanno scosso la parrocchia qualche
anno fa.
In tempi
diversi, e con interventi sempre parziali , sono state adottate soluzioni di
tamponatura di varie necessità di restauro ( rifacimento tetto e soffitto
interno a cassettoni lignei, ristrutturazione pareti ed intonaci vari nella
navata e nelle cappelle …, degrado e rovina del campanile e della torre
dell’orologio…).
Per
l’ultimo problema del restauro della facciata, che si è posto con particolare
delicatezza e difficoltà, è stata malauguratamente eseguita una frettolosa
procedura di recupero e di
conservazione architettonica che negli ultimi mesi ha portato ad una
soluzione molto discutibile sul piano dell’impatto visivo del complesso e della
conformità dell’intervento al progetto originario dei padri Gesuiti.
Per fare
un punto sulla situazione di questo problema architettonico - ambientale cerchiamo
ora di offrire sinteticamente,ai concittadini e studiosi interessati , delle
note storiche ed architettoniche della costruzione di tutto questo complesso
tessuto edilizio , con la speranza di poter offrire una riflessione seria e
documentata di questa spinosa e gravosa questione che ha avuto, ahimè, una
soluzione poco consona all’originalità costruttiva gesuitica di San Pietro.
Alla
fine del XVI secolo il governo cittadino di Sezze , per poter trovare soluzione
alla mancanza di edifici scolastici nel centro del paese, pensò bene di
affidare ai padri Gesuiti del posto la realizzazione di un complesso
architettonico che fungesse sia da luogo di istruzione scolastica, sia da
residenza religiosa che da collegio gesuitico. A tal fine nel 1589 fu affidato
ai Gesuiti di Sezze l’onore e l’onere di impegnarsi nella cosiddetta “Fondazione
gesuitica”, mediante un’obbligazione reciproca stipulata il 27 febbraio
1589.
In
realtà l’idea di creare un’istituzione religiosa-scolastica era stata del nobile
Nicolò Pilorci , allora sindaco e notaio di Sezze, che mise per iscritto, nel
proprio testamento datato 23 marzo 1584, la volontà di affidare ai suddetti
padri la fondazione di un apposito collegio , soprattutto per i bisogni di
pubblica istruzione , erogando loro ben 3000 scudi , con l’obbligo di ultimare
l’impresa in dieci anni, trascorsi i quali senza efficaci interventi il lascito
doveva intendersi restituito a favore dei legittimi suoi eredi. A tale scopo,
quattro anni dopo, il comune setino mise a disposizione dei Gesuiti ben 13.440
scudi ( tremila dei quali provenienti dal citato lascito Pilorci ) per l’inizio dei lavori : i restanti 10.000 scudi furono raccolti
tramite i proventi dell’affitto dei boschi civici.
Cominciò
così un lungo periodo di messa in opera del progetto attraverso continui lavori che, riguardo alla sola chiesa ,
si protrassero per ben cinquant’anni. Per quanto concerne infatti l’edificazione
della chiesa gesuitica ricordiamo che la posa della prima pietra risale al 1601
mentre la sua consacrazione è datata al 1622, con la chiesa ancora da ultimare :
la chiesa infatti venne ultimata soltanto nel 1730 mentre proseguirono
ininterrotti i lavori relativi alla residenza collegiale. Senza addentrarci in
lungaggini storiche e venendo al nocciolo del discorso diciamo che l’entrata e
la facciata di San Pietro, posta quasi ad angolo con piazza “Margherita”, già
orto della famiglia De Magistris, nella sua elementare semplicità e
funzionalità corrisponde ad un
preciso stile di “architettura povera”, tanto cara ai padri Gesuiti in ossequio
al loro “stile architettonico
gesuitico” e praticato in modo così efficace laddove fosse stato possibile
approfittare di materiali locali ( pietra calcarea , mattoni e canali ) , a
basso costo ma non per questo scadenti , per la realizzazione della struttura
progettata , soprattutto utilizzandoli per la composizione della facciata di una
chiesa .
Tale
metodo e stile gesuitico fu adottato a Sezze dai padri diretti da Claudio
Acquaviva che affidò al padre De Rosis , peraltro eminente architetto, la
realizzazione del complesso architettonico.
Per la
prima costruzione della chiesa , e della sua facciata , furono ordinati e
forniti svariati materiali laterizi tra cui ricordiamo una prima messa in opera
di 1800 mattoni e di 1000 canali (coppi).
Chi
ricorda la struttura esterna di facciata della chiesa di san Pietro ,
inopinatamente ristrutturata senza rispetto dell’antica struttura in lesene di
calcare e di cortina a mattoni , non potrà non biasimare tale intervento di
recupero architettonico che ha previsto un’intonacatura di facciata assai
discutibile e che , pur rifacendosi ad uno stile costruttivo gesuitico diffuso
in molte parti d’Italia , non tiene conto della peculiarità della costruzione
setina in cui sono stati usati i locali mattoni e il locale calcare.
L’architetto De Rosis , per i suoi ideali costruttivi di
essenzialità messi in atto in tutte le sue opere, adottò per san Pietro il
“modo ideologico” dei gesuiti, una
progettazione che prevedeva funzionalità ed economicità costruttiva nonché
semplificazione delle forme; una precisa semplificazione , quindi , che doveva
distinguere la semplicità di tante famose chiese gesuitiche prima che fossero
appesantite da opinabili decorazioni barocche.
La
partitura di facciata della nostra chiesa venne quindi inquadrata da un semplice
ordine a fasce in pietra calcare.Le ali estreme della facciata presentarono in
alto una cornice di poco arretrata rispetto al filo del timpano centrale. E sullo
stesso tono costruttivo vennero composti altri elementi decorativi di facciata (
fasce, mensole e modiglioni...).
Precisiamo quindi che ai primi spettatori , quelli che videro la nuova chiesa di san Pietro nei suoi primi anni di costruzione ( 1595-1608) , la suddetta facciata si presentava in modo diverso dai nostri ultimi trascorsi (1950-1999). Infatti i mattoni della facciata furono utilizzati e messi a “cortina” in fasce alternate di colore giallo-paglierino e marrone - rossiccio , allo scopo di ottenere un ricercato effetto cromatico. I mattoni utilizzati, appositamente policromi, vennero impiegati quasi a contappuntare l’estremo rigore della progettazione planimetrica della Chiesa. Anche il timpano posto in cima alla facciata venne impiegato come elemento decorativo per nobilitare la semplicità della costruzione, al di là del suo aspetto sobrio e severo.
A) "Come siamo..."
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B) "Come eravamo " |
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L’uso
della muratura di mattoni nella facciata di san Pietro avvicina tale chiesa a
quella di Ancona, che presenta un medesimo ordine di laterizi. Allo stesso modo
la chiesa , sempre per la citata struttura in laterizi, è simile a quella di
Arezzo, di Fabriano, di Fermo, di Macerata, di Perugia e di Recanati e, per
finire , a quella di Tivoli. Similmente progettate furono anche la chiesa
gesuitica di Catanzaro e quella de L’Aquila.
Dove sono andati a finire quei bei mattoni policromi di inizio seicento , o ,se non altro , quei bei mattoncini rossicci , inquadrati appositamente in fasce di locale pietra calcare ? Frettolosamente, inopinatamente e sprovvedutamente ricoperti da un monocromo intonaco che ha sbiancato la facciata di san Pietro regalandole , con tale pallore, una facciata di smunta ottuagenaria ! Tale è risultato l’intervento di restauro effettuato con poco studio, poca pazienza, poca avvedutezza e con poco rispetto dell’impatto ambientale. Ma soprattutto tale intervento è risultato poco rispettoso dell’originario complesso dell’Arce setina e dei canoni costruttivi originari di padre De Rosis e dei padri Gesuiti.
Eppure
non erano mancati , né mancano tuttora, peculiari studi architettonici sulla
trasformazione e la conservazione del tessuto dell’acropoli di Sezze che ha
quasi definitivamente perduto le sue particolari originalità ambientali ed
architettoniche.
Vogliamo qui ricordare
, fra tutti
, l’immenso lavoro di approfondimento culturale ed architettonico svolto negli
ultimi anni dall’architetto
Giancarlo Palmerio che molto si è profuso per l’analisi e lo
studio di restauro e/o recupero di tutto il complesso tessuto che insiste nel
centro cittadino, già arce, acropoli del paese, in cui sorse e si sviluppò in
periodo romano, attorno al tempio di Ercole, tutta la struttura di Setia, Secia,
Sezze.
Tale
studioso , che a tutt’oggi ancora non riesce a vedere una pratica applicazione
delle sue indicazioni di recupero e restauro di tale complesso setino, ci ha
lasciato per gli opportuni interventi conservativi ben tre approfonditi lavori
sul Collegio gesuitico e sulla Chiesa di san Pietro . Noi, come lui, speriamo ancora che non tutto
sia perduto e che molto ancora si possa recuperare e conservare dell’acropoli
setina e della Chiesa di san Pietro, rimettendo tutto agli interventi futuri dei
dovuti amministratori civili e religiosi. Ai posteri l’ardua sentenza di
giudicare quanto detto e fatto finora. Noi , umilmente, “chiniam la fronte al
Massimo Fattor...”, senza peraltro restare oziosi, nell’attesa di ulteriori e
futuri lavori ed interventi a tal proposito.
Sezze, settembre 2001
Carlo Luigi ABBENDA
N.B. : Il presente scritto è pubblicato anche nel seguente indirizzo elettronico:
http://digilander.iol.it/romano1960/s-pietro-d.htm