N. SENT. 461/02
Data dep. 11-11-02
N. 10348/02 R.G.T.
N. 5522/02 R.G.N.R.
TRIBUNALE DI SANREMO
SEZIONE
DISTACCATA DI VENTIMIGLIA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Giudice Dott. Massimiliano RAINIERI all'udienza del 28.10.02 ha pronunciato la
seguente
SENTENZA - direttissima - nel procedimento penale a carico di:
(OMISSIS), arrestato p.q. il 26.10.02 scarcerato il 28.10.02 DETENUTO PRESENTE
IMPUTATOA) del reato di cui all'art. 14 c. 5 bis,
ter e quinquies DLGS 25.7.98 n. 286, modificato con L. 189/2002, per avere,
sebbene espulso con provvedimento del Questore di Bari del 12.10.2002, omesso di
lasciare il territorio dello Stato entro il prescritto termine di giorni 5 e
cioè entro le ore 24,00 del 17.10.2002; B)
del reato di cui all'art. 6 c. 3 DLGS 25/.7.98 n. 286, per non avere esibito,
sebbene legalmente richiesto, il passaporto o altro valido documento di
identificazione. In
Ventimiglia accertato il 26.10.2002 CONCLUSIONIP.M.:
per il reato sub a) condanna minimo pena; per il reato sub b) condanna a giorni
20 di reclusione ed euro 200 di multa. Difensore:
per il capo a) assoluzione perchè il fatto non costituisce reato; per il capo
b) assoluzione con la formula meglio vista, in subordine minimo della pena,
ritenuta la continuazione tra i reati, doppi benefici. MOTIVAZIONE
A
seguito di arresto effettuato nella flagranza del reato di cui all'art. 14 c. 5
ter D.Lvo 286/98
(OMISSIS), curdo proveniente dall'Irak, veniva presentato all'udienza per la
convalida e il contestuale giudizio direttissimo.
Sentito
ex art. 558 c. 3 cpp in sede di convalida, con l'ausilio dell'interprete in
lingua curda, l'arrestato ha ricostruito in questi termini la sua vicenda:
"Sono entrato in Italia dalla Turchia clandestinamente, nascosto
all'interno di un camion; ed ho pagato mille e 500 dollari. Ero diretto in
Germania come destinazione finale; dall'Italia dovevo solo transitare. Avrei
dovuto raggiungere Roma e lì contattare dei connazionali che mi avrebbero
spiegato come raggiungere la Germania. A Bari tuttavia sono stato fermato dalla
Polizia. Io parlo soltanto la lingua curda, quindi non ho capito il decreto di
espulsione che mi hanno notificato il 12.10.2002, nè ho avuto modo di farmelo
tradurre. Ho documenti ma sono rimasti in Irak; con me non ho più nulla perchè
l'unico documento d'identità con cui ero entrato in Turchia l'ho consegnato
all'albanese che organizzava il trasporto con il camion ...".
L'arresto
è stato convalidato ed ex art. 558 c. 8 cpp l'imputato ha formulato richiesta
di giudizio abbreviato, anche in relazione all'altro arresto contestatogli,
quello di cui all'art. 6 c. 3 D.Lvo 286/98.
Sulla
base degli atti inseriti nel fascicolo per il dibattimento e di quelli contenuti
nel fascicolo del Pubblico Ministero, di cui si è disposta l'acquisizione,
l'assoluzione si impone per diverse ragioni.
Quanto
al reato sub a).
L'art.
13 c. 7 D.Lvo cit. - anzitutto - impone che "il decreto di espulsione e il
provvedimento di cui al comma 1 dell'articolo 14, nonchè ogni altro atto
concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, sono comunicati
all'interessato unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e ad
una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile,
in lingua francese, inglese o spagnola". Ebbene, l'arrestato è curdo e il
decreto di espulsione gli è stato tradotto in inglese, lingua a lui
sconosciuta, mentre dell'ordine ex art. 14 c. 5 bis D.Lvo cit., benchè
"atto concernente ... l'espulsione", non risulta alcuna traduzione
scritta, anche se nel verbale di notifica dell'ordine ne risulta una orale, ma
in arabo, altra lingua a lui sconosciuta. E' noto che il giudice penale deve
verificare la legittimità del provvedimento amministrativo presupposto del
reato, sotto il profilo sia sostanziale, sia formale, con riferimento ai tre
vizi tipici che possono determinarne l'illegittimità, id est violazione di
legge, incompetenza ed eccesso di potere, in vista dell'eventuale
disapplicazione incidentale, ex art. 5 L. 2248/1865 allegato E. Qui la
violazione di legge è evidente. E già questo è sufficiente ad escludere
l'integrazione del reato contestato poichè un suo presupposto essenziale è un
ordine emesso nel rispetto dei requisiti prescritti, in primis quello
preordinato a renderlo conoscibile al destinatario.
L'art.
19 c. 1 D.Lvo cit. - inoltre - stabilisce: "In nessun caso può disporsi
l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere
oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di
cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o
sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel
quale non sia protetto dalla persecuzione". E poichè in Irak l'etnia curda
è perseguitata, appare indiscutibile l'ulteriore profilo di illegittimità da
cui sono inficiati i provvedimenti amministrativi emessi nei confronti di
(OMISSIS). I riverberi penali sono identici a quelli sopra evidenziati a
proposito dell'omessa traduzione.
La
fattispecie ex art. 14 c. 5 ter D.Lvo cit. - infine - si integra soltanto se lo
straniero si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine
impartito dal Questore, oltre cinque giorni, senza "giustificato
motivo". Questa formula ellittica deve ritenersi abbia la specifica
funzione di escludere l'integrazione del reato in tutti i casi in cui il
soggetto si trovi senza sua colpa nell'impossibilità di ottemperare all'ordine,
o di farlo tempestivamente. Ed è questa, appunto, la condizione di
(OMISSIS), un curdo irakeno, privo di mezzi economici, del quale è impensabile
un ritorno al luogo di provenienza in quanto è notorio che non vi sono
collegamenti diretti con il nord dell'Irak, zona in cui i suoi connazionali sono
concentrati in permanente conflitto con il governo centrale, nè è previsto un
percorso clandestino a ritroso che, se esistesse, sarebbe improponibile da una
pubblica autorità e avrebbe, comunque, un costo per lui non sostenibile.
A
tale interpretazione della norma incriminatrice induce il principio di
colpevolezza che, per il giudice delle leggi, è elemento essenziale ed
inalienabile del carattere personale della responsabilità penale in quanto,
oltre la grezza finalità deterrente, ogni funzione razionale della pena, in
primis quella rieducativa, vuole che l'attribuzione di responsabilità si fondi
sulla rimproverabilità del comportamento (cfr. Corte Cost. sent. 364/88).
"La
colpevolezza costituzionalmente richiesta ... non costituisce elemento tale da
poter esser, a discrezione del legislatore, condizionato, scambiato, sostituito
con altri o paradossalmente eliminato.
...
Per precisare ancor meglio l'indispensabilità della colpevolezza quale
attuazione, nel sistema ordinario, delle direttive contenute nel sistema
costituzionale vale ricordare non solo che tal sistema pone al vertice della
scala dei valori la persona umana (che non può, dunque, neppure a fini di
prevenzione generale, essere strumentalizzata) ma anche che lo stesso sistema,
allo scopo d'attuare compiutamente la funzione di garanzia assolta dal principio
di legalità, ritiene indispensabile fondare la responsabilità penale su
"congrui" elementi subiettivi ...
A
nulla varrebbe, infatti, in sede penale, garantire la riserva di legge statale,
la tassatività delle leggi ecc. quando il soggetto fosse chiamato a rispondere
di fatti che non può, comunque, impedire od in relazione ai quali non e in
grado, senza la benchè minima sua colpa, di ravvisare il dovere d'evitarli
nascente dal precetto ...
Anzitutto,
é significativa la "lettera" del primo comma dell'art. 27 Cost. Non
si legge, infatti, in esso: la responsabilità penale é "per fatto proprio"
ma la responsabilità penale é "personale". Sicchè, chi tendesse ad
esaminare lo stesso comma sotto il profilo, per quanto, in sede penale,
superato, della distinzione tra fatto proprio ed altrui (salvo a precisare
l'esatta accezione, in materia, del termine "fatto") dovrebbe almeno
leggere la norma in esame come equivalente a: "La responsabilità penale é
per personale fatto proprio".
Ma
é l'interpretazione sistematica del primo comma dell'art. 27 Cost. che ne svela
l'ampia portata.
Collegando
il primo al terzo comma dell'art. 27 Cost. agevolmente si scorge che, comunque
s'intenda la funzione rieducativa di quest'ultima, essa postula almeno la colpa
dell'agente in relazione agli elementi piu significativi della fattispecie
tipica. Non avrebbe senso la "rieducazione" di chi, non essendo almeno
"in colpa" (rispetto al fatto) non ha, certo, "bisogno" di
essere "rieducato".
Soltanto
quando alla pena venisse assegnata esclusivamente una funzione deterrente (ma ciò
é sicuramente da escludersi, nel nostro sistema costituzionale, data la grave
strumentalizzazione che subirebbe la persona umana) potrebbe configurarsi come
legittima una responsabilità penale per fatti non riconducibili (oltre a quanto
si dirà in tema d'ignoranza inevitabile della legge penale) alla predetta colpa
dell'agente, nella prevedibilità ed evitabilità dell'evento ...
...
Dal collegamento tra il primo e terzo comma dell'art. 27 Cost. risulta, altresì,
insieme con la necessaria "rimproverabilità" della personale
violazione normativa, l'illegittimità costituzionale della punizione di fatti
che non risultino essere espressione di consapevole, rimproverabile contrasto
con i (od indifferenza ai) valori della convivenza, espressi dalle norme penali.
La piena, particolare compenetrazione tra fatto e persona implica che siano
sottoposti a pena soltanto quegli episodi che, appunto personalmente, esprimano
il predetto, riprovevole contrasto od indifferenza. Il ristabilimento dei valori
sociali "dispregiati" e l'opera rieducatrice ed ammonitrice sul reo
hanno senso soltanto sulla base della dimostrata "soggettiva antigiuridicità"
del fatto".
Il
giustificato motivo ex art. 14 c. 5 ter D.Lvo cit., dunque, include tutte le
situazioni in cui l'ordine di lasciare il territorio nei 5 giorni non sia
eseguibile, per impedimenti soggettivi od oggettivi, senza colpa del soggetto.
In altri termini, l'impossibilità di ottemperare al precetto non può gravare
sul destinatario e costituisce un altro limite della responsabilità penale
personale.
Del
resto pensare che chi versa in tale condizione commetta reato è un non senso
logico, prima che giuridico. E questa lettura del giustificato motivo, proprio
perchè costituzionalmente orientata, conferisce ragionevolezza alla scelta
legislativa e toglie assolutezza ad un'incriminazione che altrimenti
prospetterebbe insuperabili profili di illegittimità costituzionale. Oltre
all'art. 27 Cost., per le ragioni già evidenziate, violerebbe l'art. 3 Cost. in
entrambi i suoi contenuti: quanto al comma 1 perchè parificherebbe due
situazioni del tutto diverse, sotto il profilo del disvalore e della
sintomaticità, ossia quella di chi può evitare l'illiceità del proprio agire
e quella di chi è impossibilitato ad evitarla; quanto al comma 2 perchè fa
ricadere su un soggetto incolpevole le conseguenze di situazioni di fatto che lo
Stato è tenuto a rimuovere. E violerebbe altresì l'art. 10 Cost. poichè, di
fatto, potrebbe risolversi in un'istigazione all'immigrazione clandestina in
altri Stati, in palese contrasto con il contenuto di molti accordi bilaterali e,
comunque, con norme di correttezza internazionale.
Quanto
al reato sub b).
Nella
consapevolezza del contrasto giurisprudenziale esistente si accede, in quanto
più aderente al principio di tassatività, all'orientamento secondo cui
"l'art. 6, comma terzo, della legge 6 marzo 1998 n. 40 ... non si applica
allo straniero che sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai
controlli di frontiera e che non sia in possesso di alcun documento o per averlo
smarrito, o perchè gli è stato sottratto, o per qualsiasi altra ragione"
(id. sez. I, n. 14008 del 6.12.1999, ud. dell'11.11.1999; n. 14009 e 14011).
PTMVisto l'art
530 cpp,
assolve
(OMISSIS) dai reati a lui ascritti perchè il fatto non sussiste.
Ventimiglia, 28 ottobre 2002
Il Giudice
Massimiliano Rainieri
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