Appunti su una Scuola di Forlì all'Inizio del Novecento
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LA CITTA' FRA FINE OTTOCENTO E PRIMI NOVECENTO


Annessione della Provincia di Forlì al Regno d'Italia - 18 Marzo 1860

Abbazia di San MercurialeBarriera Vittorio EmanueleBarriera Aurelio Saffi e Torrione dell'AcquedottoPorta Garibaldi-oggi SchiavoniaStazione Centrale
Da sinistra: Abbazia di San Mercuriale e campanile prima dei restauri del 1921 * Barriera Vittorio Emanuele (porta Cotogni) * Barriera Aurelio Saffi * Porta Giuseppe Garibaldi * Stazione centrale (attiva fino al 1927)

CONTESTO SOCIO - ECONOMICO

"NOTERELLE"
1860: Forlì era la città più popolosa della Romagna con 18000 abitanti.
Sulle appena 840 persone che avevano diritto al voto (leggere, scrivere, reddito) solo 348 votarono:
nel 1882 i votanti furono 2536;
nel 1886 un quarto dei maschi maggiorenni cioè 3783 votanti;
nel 1889 si votò a suffragio allargato;
nel 1912 votarono tutti i maschi in grado di leggere e scrivere.

Un buon numero di contadini mezzadri e braccianti abitavano all'interno delle mura e al mattino si recavano fuori città per lavorare nei campi.
La situazione edilizia era molto precaria. I più poveri abitavano fabbricati in pessime condizioni.
La città era priva di acquedotti e i pozzi avevano acqua pessima, spesso inquinata dai pozzi neri e dalle fogne.
All'inizio del novecento, case e strade divennero più decorose anche per i più poveri (case popolari).

L'ILLUMINAZIONE PUBBLICA
L'illuminazione cittadina precedentemente realizzata con lampade ad olio minerale venne potenziata tra il 1862 e il 1864 con l'utilizzo del gas prodotto e distribuito dalla "Società anonima forlivese per l'illuminazione pubblica a gas e la fonderia del ferro". Il 28 febbraio 1864 l'impianto formato da 151 lampade venne inaugurato e vennero illuminate solo alcune vie principali. Solo dopo la prima guerra mondiale si cominciò a pensare all'elettricità per illuminare le strade.
Il primo impianto di produzione ad elettricità inaugurato nel 1893 forniva corrente per le fabbriche e per il municipio, dal 1900 per il teatro.

LE POSTE
Nel 1864 la città ebbe il suo primo vero ufficio postale.
Il 3 gennaio 1907 la Società telefonica di Romagna con sede a Rimini realizzò il primo importante allacciamento telefonico interurbano tra Forlì, Rimini, Pesaro, Ancona, Bologna, Ravenna.
Gli abbonati erano solo poche decine.

I MEZZI DI TRASPORTO
Il 19 novembre 1881 venne inaugurato il primo tratto del servizio di tram a vapore su ferrovia, tra Meldola e Forlì, che proseguiva poi verso Ravenna.
Quando il tramwai entrava dentro Forlì procedeva a passo d'uomo e due addetti precedevano il convoglio (una locomotiva e due o tre carrozze) suonando una trombetta per avvertire i cittadini di chiudere le finestre in modo da non restare affumicati dalla rumorosa e lenta locomotiva a vapore.

FERROVIE
Nel 1861 la ferrovia divenne operativa nei tratti Bologna-Forlì e Forlì-Ancona-Roma.
Si trattava di una delle direttrici ferroviarie italiane più importanti che nel volgere degli anni diedero alla città la possibilità di crescere nel settore del commercio, dell'artigianato e della nascente industria.

LA PRIMA AUTOMOBILE
Nel 1903 anche un forlivese poté permettersi una delle prime automobili. Era una Bianchi, di proprietà del conte Raffaele Orsi Mangelli.
Nel 1904 le auto erano già due mentre il 9 maggio 1903 una legge introdusse l'obbligo di targare le auto.

IL CINEMATOGRAFO
Nel maggio 1905 venne aperto il primo Cinematografo Permanente di fronte alla chiesa di Santa Lucia.

LE MURA
L'amministrazione decise di farle demolire dal 1904.

L'ACQUEDOTTO
Nel 1905 lo scavo di alcuni pozzi fuori città consentì di avere acqua abbondante pompata fino ad un'enorme cisterna a forma di torrione circolare, situato vicino alla Rocca di Ravaldino.

Abbiamo consultato la Guida di Forlì di E. Calzini e G. Mazzatinti del 1893.
La Guida alla voce "indicazioni generali" era per quel tempo uno strumento di informazione molto articolata e dettagliata. Riportava i nomi e gli indirizzi di tutti gli enti pubblici (dal Municipio alla Questura, al Tribunale, alla Caserma, al Brefotrofio) gli Istituti di Istruzione (scuole) gli studi dei liberi professionisti, negozi di ogni tipo e pubblici esercizi.

LA PUBBLICA ISTRUZIONE
Dal 1860 al 1869 s'introdusse l'obbligo scolastico per i bambini.
Dentro le mura almeno il 58% dei forlivesi non sapeva né leggere né scrivere, mentre nelle campagne intorno quasi tutte erano analfabeti (96%).Dal censimento del 1862 si evidenziò che le province pontificie avevano un grado di analfabetismo molto elevato perché leggere e scrivere era considerato un lusso inutile.
Fu stabilito che l'istruzione riguardasse entrambi i sessi e l'ordinamento scolastico fu articolato in scuole elementari, superiori e universitarie.
I filogovernativi criticavano l'esistenza delle scuole private confessionali che contavano un gran numero di studenti, infatti, non si aveva fiducia nella scuola pubblica, dove comunque si manteneva l'insegnamento della religione cattolica per non urtare i sentimenti religiosi della gran parte della popolazione. A Forlì però, città anticlericale, nel 1870 il Consiglio Comunale ne deliberò l'abolizione nella scuola elementare.
Alla fine dell'800 a Forlì esistevano 9 scuole pubbliche, 4 educandati, 2 collegi privati e il Seminario più 1 asilo governativo e 1 privato.Come nel resto del paese, anche a Forlì l'organizzazione scolastica era molto rigida e prevedeva anche punizioni corporali per gli studenti.
Gli insegnanti di città venivano retribuiti meglio di quelli di campagna e le insegnanti donne guadagnavano meno degli insegnanti comuni.

L'AGRICOLTURA
L'agricoltura a Forlì era molto fiorente e occupava la maggior parte degli abitanti. Si coltivava soprattutto grano e granoturco. Non vi erano frutteti. Molto praticata la sericoltura (allevamento del baco da seta). In giugno si teneva a Forlì il mercato più importante della Romagna e uno dei più rinomati in Italia. Fiorente anche il mercato del bestiame. I proprietari terrieri erano in maggioranza medio piccoli (da 20 a 60 ettari) e poche famiglie erano proprietarie di maggiori estensioni di terreno.Vigeva il contratto di mezzadria e molte famiglie di braccianti aiutavano i contadini mezzadri per il lavoro nei campi.

ARTIGIANATO
Molto praticato era l'artigianato che vedeva occupati i titolari e gli operai (garzoni, lavoranti...).
Il "mestiere" veniva tramandato da padre in figlio, da padrone a garzone.Le botteghe artigiane si affacciavano sulle strade e si lavorava sull'uscio, se non addirittura in strada.
Garzoni: avevano dai 7-8 anni in su e svolgevano i lavori più umili imparando però un mestiere che avrebbero fatto da adulti in proprio o come dipendenti. Non ricevevano alcuna retribuzione, a volte anzi, il garzone pagava il maestro.
Fabbri: erano importanti nella vita economica della città in quanto producevano gli accessori per uso artigianale, agricolo e domestico.

LAVORI FEMMINILI
L'ampia diffusione dell'allevamento del baco da seta nelle campagne romagnole e l'elevata quantità di bozzoli prodotti, consentirono alle filande forlivesi di collocarsi ai primi posti in Italia nella produzione del prezioso filo.
Fin dal 1812 furono censite ben 11 piccole filande da seta a Forlì; vi trovarono occupazione maestranze esclusivamente femminili; metà erano bambine al di sotto dei 12 anni che, durante i rari controlli governativi, venivano nascoste.
Costante era lo sfruttamento di questa manodopera, con bassissimi salari, condizioni igieniche scadenti ed estenuanti orari (12-14 ore).Turni di lavoro anche notturni e spesso senza riposo settimanale. L'ambiente inoltre era assai malsano e la temperatura era di circa 50°C. Le lavoranti erano costrette a stare in piedi e continuamente a contatto con l'acqua. L'occupazione più diffusa per le donne era però la tessitura a telaio che produceva lenzuola di canapa, tovaglie, tende, coperte che poi venivano portate a Castrocaro o a Meldola per farle stampare con la ruggine.
Lavandaie (bugadéri): uscivano all'alba portando con una carriola la biancheria dei signori da lavare nei lavatoi comunali o in quello privato del signor Pasquali. I 3 lavatoi erano stati costruiti sul canale di Ravaldino ed erano in pessime condizioni igieniche, ma tuttavia sempre affollati ed erano il luogo delle chiacchiere.La lavatura veniva fatta in 2 fasi: prima l'insaponatura e la collocazione dei panni in una grande mastella per un giorno, poi la sciacquatura per la quale si preferiva l'acqua del fiume, perché più pulita.Si stendevano poi i panni sull'erba.
Stiratrici e pettinatrici: le stiratrici si occupavano della biancheria dei signori e particolare cura veniva prestata alle camicie (soprattutto ai colli e ai polsini) e la stiratura avveniva con ferri riempiti di brace.
Le pettinatrici si recavano a casa delle signore per occuparsi dei loro lunghi capelli.
Sarti e sarte: essendo pochi i negozi di abbigliamento gli abiti si confezionavano per lo più su misura e le sartorie erano veri e propri laboratori. Le apprendiste erano soprattutto bambine e ricevevano un modesto regalo-compenso a fine anno.
In sartoria si lavorava circa 10/12 ore al giorno e qualche ora in più il venerdì e il sabato per poter consegnare il lavoro prima della festa.
I sarti di campagna si recavano con un somarello che portava la macchina da cucire e gli attrezzi nelle case rurali e lì confezionavano gli abiti, ricevendo il pasto e una quota della produzione agreste (grano, uva, uova, formaggio…). I contadini coglievano l'occasione per farsi raccontare le novità della città.

Gli artigiani di passaggio si spostavano per le campagne o sopra un somarello carico degli strumenti di lavoro, oppure sopra un biroccio, accompagnati spesso dai loro aiutanti. Portatori di novità e di colore, costituivano sempre un polo di attrazione per le famiglie rurali, isolate nei poderi e lontane da tutto ciò che era novità. Gli artigiani, infatti, socialmente più evoluti, avevano tante cose da raccontare (i fatti amorosi, gli avvenimenti politici, il progresso….) ed erano per questo sempre attorniati durante il loro lavoro da donne, uomini e bambini intenti ad ascoltarli con curiosità.
Il canapino: indispensabile per la lavorazione della canapa.
Il puntatore: riparava recipienti di terracotta.
Lo scranaio: costruiva le rustiche sedie per la casa contadina.
Il calzolaio: riparava le scarpe dei contadini che, tranne l'inverno, camminavano scalzi; per andare al paese essi se le portavano in spalla affinché non si consumassero mettendole ai piedi solo in prossimità dell'abitato.

LE ASSOCIAZIONI
Nascono le Unioni dei lavatori che nel 1861 confluiscono in un'unica Società di mutuo soccorso "Società artigiana di Forlì", detta del Rosone.
Nel 1862 132 donne, sotto la guida di Giorgina Saffi, che fece un accorato appello alle donne forlivesi tramite volantini e manifesti, si affiliarono alla Società costituendo la sezione femminile, che dopo un anno contava oltre 500 donne.
Presidente della società fu Aurelio Saffi.
Nel '74 il Prefetto la sciolse col pretesto di attività sediziosa, ma l'anno dopo fu ricostruita col nome di "Fratellanza Operaia di Mutuo Soccorso", detta "Della Malva". Ambedue le società, comunque, non erano organizzazioni autonome di lavoratori, ma piuttosto strumenti di beneficenza e paternalismo, secondo l'ideologia delle classi dominanti.
APRILE 1878: si costituisce la "Società di Mutuo Soccorso fra gli operai della Fonderia Forlivese", composta esclusivamente da operai, che si presentò come associazione di categoria e si occupò di rivendicazioni economiche e miglioramento delle condizioni di lavoro in fabbrica.

Verso la fine dell'800, nonostante la collettività forlivese avesse cominciato a mostrare una vitalità nuova e nuove esigenze, la vita di tutti i giorni seguiva schemi antichi: l'alba, il tramonto, il fischio della filanda, il suono delle campane, l'Ave Maria….
Fino al 1909, l'anno in cui fu soppressa, la campana della torre comunale suonò ogni sera l'Ave Maria e un'ora dopo "l'ora della notte" e dopo questi rintocchi la gente per bene non usciva più di casa.
Tutte le mattina, all'alba, banditori e lattai passavano ad annunciare il tempo. Prima che facesse giorno il fischio della filanda (la Caldìra) chiamava donne e bambinesche, prima isolate, poi a gruppi, si affrettavano vociando a raggiungere il triste posto di lavoro.

L'INDUSTRIA
Dal 1867 l'attività economica cominciò a spostarsi da una forma prevalente di sussistenza a forme di mercato industriale. Accanto alle modeste botteghe artigiane presero consistenza numerose attività produttive; diversi artigiani e piccoli commercianti, confidando nel nuovo, liberale assetto politico e sociale, fecero "il solito" trasformandosi in imprenditori. Assunsero lavoratori, acquistarono macchinari, moltiplicarono la produzione.
L'Eridania dava lavoro a 400 operai, la Benini a 140 operai, la fabbrica di stufe Becchi a 10 operai e poi le fornaci di laterizi (240 operai), le industrie per la macinazione dei cereali, per la trattura della seta, tipografie e litografie…..
Accanto all'operaio-artigiano che aveva un mestiere e una traduzione, venne a trovare un numero sempre maggiore di braccianti agricoli che dipendevano interamente dagli industriali.

Piazza Maggiore
Piazza Maggiore, incisione fotografica del 1889 (da "Le Cento Città d'Italia")

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