Beppe Mariano, Poesie Visive...

 

 

 

 

 

Beppe Mariano

Beppe Mariano sembra voler scientemente sfidare tutte le rassicuranti convenzioni dell'arte per offrire un prodotto destinato necessariamente all'insuccesso.

un poeta, ma non si affida alla forma tradizionale della poesia, utilizzando un esperimento visivo che pareva non appartenergli, sceglie come soggetto l'incrocio tra un tragico destino individuale e la ribollente situazione politica dei 1974, destinando l'opera ad un inevitabile invecchiamento precoce', in piena epoca di astrattismo concettuale, crea una sequenza dichiaratamente didascalica, dove invece di affidare il fruitore a se stesso lo guida con i suoi versi lungo il triste cammino della ragazza che si getta dal ponte,- infine, proprio per non blandire in nessun modo il pubblico, gli propone la tematica più fastidiosa da recepire la morte - per di più nella sua manifestazione maggiormente disturbante: il suicidio.

Sembra una miscela esplosiva destinata al fallimento più clamoroso. invece, l'esperimento funziona, la poesia visiva di Mariano riesce nel demiurgico tentativo di fondere, sovrapporre, incastrare linguaggi diversi -fotografia, poesia manoscritta su piccole lavagne, simbologia dei segnali stradali.

La raffinatezza narrativa e la delicatezza spersonalizzante - la ragazza suicida mai vista in viso, il gesto estremo non esposto ma suggerito per ellissi dalla presenza solitaria della borsa ai bordi dei ponte - sovrastano gli aspetti più radicalmente socio-politici (gli scioperi, le manifestazioni) per accedere a quella dimensione superiore dell'arte che coglie uno spicchio di condizione umana e attraverso la sua rappresentazione lo eterna.

Allo stesso tempo, però, la partecipazione dell'artista nega un freddo valore meramente paradigmatico alla pedagogicità della sequenza accompagnando le immagini e i simboli con poesie scritte volutamente a mano, ad indicare il coinvolgimento della persona poeta nel dramma della ragazza.

il racconto della scelta irrimediabile è costantemente impreziosito da una nota di corrosivo umorismo nero che si incide con violenza nell'animo di chi osserva: a partire dal fotogramma iniziale, un invito turistico freddo e vagamente inquietante a visitare una cittadina di provincia come Cuneo utilizzando come attrattiva il lungo viadotto celebre per i suoi suicidi,- fino al cartello stradale di divieto di inversione di marcia con la specificazione «causa destino» - e sotto, a mano, le parole dei poeta: il progetto di massima è la fuga.

Infine, domina la scena l'intuizione della dimensione simbiotica, nella nostra contemporaneità ipertecnologica, tra l'uomo e la macchina, utilizzata per avviarsi verso il punto di non ritorno (si noti la targa dell'automobile, rappresentante già il destino ineluttabile che incombe). Quando la ragazza si lancerà verso il mistero dei nulla, anche il veicolo risulterà incomprensibilmente incidentato - meglio:

ribaltato, come un animale morto. E sarà proprio l'automobile, surrogato meccanico della persona e succedaneo deila personalità, ad essere mummificata, nel sublime epilogo, come una divinità pagana che accompagna gli umani nel proprio cammino di morte ma sopravvive per essere idolatrata da altri in seguito.

In questo «delirio spinterogenale» - l'aggettivo è il titolo di un suo fortunato componimento in versi dei 1974, dedicato al rapporto dipendenza uomo macchina - Beppe Mariano introduce una molteplicità di tematiche che affioreranno nelle arti più disparate (cinema, letteratura, pittura) soltanto parecchi anni più tardi, dimostrandosi, come tutti gli artisti, una cassandra inascoltata.

Le immagini della ragazza semplice e popolana (legge Grand Hotel, può permettersi una Cinquecento) rimangono impigliate tra le maglie della coscienza, come una lisca di pesce male masticata, ad avvertirci che se cediamo al pernicioso vizio dell'introspezione, anche noi, forse, come scriverà il poeta un anno dopo (1975), «ormai avvertiamo la vita come il cane la catena».

Beppe Mariano, attraverso la poetica dei suicidio, ha messo in pratica, con grande efficacia e sensibilità, l'aforisma di quel maestro della vivisezione della Resistenza che era Cioran: «fallire la propria vita significa accedere alla poesia».

Antonio Ferrero