ROSSO SANGUE 68

NUOVO ROMANZO DI BEPPE MARIANO

2002

ESPERIENZE IN GIALLO

Savigliano: storia di "conversione" provinciale

Abbiamo letto per voi l'ultima opera dello scrittore Saviglianese Beppe Mariano: un fatto di sangue sullo sfondo degli anni di piombo.

Anno 1971: la contestazione sessantottina è arrivata in provincia, nel caso specifico a Savigliano (ma potrebbe essere qualsiasi altra città della provincia di Cuneo).

Due amici, Giorgio e Víncenzo, passano progressivamente da una vita vitellonesca ad una presa di coscienza ideologica. In tal senso il racconto è la vicenda di una conversione.

Storia di provincia e di provincialismo.

Ne fanno parte anche Santina e Mara, che rappresentano in qualche modo il vecchio ed il nuovo. E' in ogni caso una storia drammatica, poiché un terribile e misterioso fatto di sangue mette a soqquadro una città di circa ventimila abitanti e sembra inquadrarsi sullo sfondo tragico ben più vasto del terrorismo politico di quegli anni. L'epilogo della vicenda è ambientato invece, ai giorni nostri, nel 1996 e riserva diverse sorprese. Ogni riferimento a persone viventi è puramente casuale.

Beppe Mariano, saviglianese, è stato redattore della rivista letteraria "Pianura", diretta da Sebastiano Vassalli, della rivista fiorentina "Salvo Imprevisti", de "La luna e i falò", diretta da Beppe Manfredi.

Ora è redattore a Milano della rivista "Il cavallo di Cavalcanti".

Ha pubblicato cinque raccolte di poesia con le quali ha ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui il Premio Cesare Pavese del Grinzane Cavour.

Negli anni settanta è stato direttore artistico del Teatro Tòselli di Cuneo. Ha collaborato per vent'anni, con racconti e articoli teatrali, prima a "La Gazzetta del Popolo" di Torino, poi a "Stampa Sera".

Ha scritto anche testi teatrali, alcuni rappresentati.

Collabora a riviste ed è giurato in alcuni premi letterari.

capitolo 6.

Al cimitero Giorgio si era raccolto per qualche attimo sulla tomba dei genitori, periti insieme a causa di un incidente stradale, cinque anni prima. Contemplando le loro fotografie, ancora una volta si commosse per come esse esprimevano, al di là della posa costruita dal fotografo, una raffigurazione simbolica della loro vita d'allora: le aspirazioni che s'indovinavano nello sguardo teso verso il cielo del padre, impiegato alla Ferroviaria con l'hobby della storiografia locale; il sorriso timido della madre, il cui viso un poco ripiegato verso il basso era il massimo di espressione felice che potesse concedersi una donna come lei, tanto riservata e solo dedita alla casa. E adesso erano fissati così, per sempre, in queste loro espressioni ancora giovanili, le quali non potevano comprendere tutto quello che è venuto dopo, di gioia, di dolore; di dolore soprattutto.

Non c'era neppure lui, Giorgio; all'epoca delle fotografie non era ancora nato. Ma allora perché - si chiedeva - ho scelto per loro proprio quelle foto troppo lontane? Perché non ne ho scelte invece altre più recenti, nelle quali c'è il peso d'una vita consumata, e i visi, nonostante il sorriso di prammatica, risultano duramente segnati dall'esperienza?

Forse perché un viso deluso può deludere - credette di concludere.

In effetti, quando anche a noi capita di camminare nel cimitero, scorrendo i loculi e le fotografie, restiamo commossi dall'anelito alla vita scorto su di un viso ancor giovane, e ci chiediamo, ancora una volta, ragione della disparità del destino, non trovandola, ancora una volta. Ad ogni modo ci sentiamo, noi più fortunati, incitati da quel viso a vivere non casualmente, ma con altrettanto anelare.

Giorgio pensò che suo padre avrebbe potuto parlargli di Borio, che presumibilmente doveva aver frequentato in gioventù.

La sua indagine non era proceduta granché: gli anziani disposti a ricordare erano pochissimi, mentre restavano sempre molte le supposizioni, soprattutto le più maligne. Invidie, diffidenze, dissimulate ammirazioni, rancori erano penetrati così a fondo in questa sofferta storia privata e insieme pubblica, alterandola forse irrimediabilmente. Borio stesso aveva contribuito a complicare le cose, proponendo probabilmente una sua verità di comodo. Il vile assassinio dei tre razziatori da parte dei fascisti, di cui Borio sarebbe stato il mandante, era davvero un episodio a sé, distinto da quell'altro, da Borio stesso riferito, in cui suo padre era stato costretto per difendersi ad uccidere? O questo non era che la versione opportunamente camuffata di quello?

 Una qualche risposta, o forse soltanto una complicazione ulteriore, sembrò giungere a Giorgio dalla notizia del ritrovamento fuori città, lungo il greto del Maira, di un corpo in decomposizione avanzata. Si trattava di un uomo apparentemente sui trent'anni, di identità per il momento sconosciuta, nel cui cranio, all'altezza dell'occipite, era stata trovata una pallottola.

Qualcuno disse subito che era stato ritrovato il corpo di Sirotti.

Giorgio non poté fare a meno di pensare alla nuova tacca che aveva scorto sul fucile di Piero e a quei suoi andirivieni notturni nella campagna saviglianese, o chissà dove.

Sotto i portici, incontrò casualmente Santina. Passeggiava intenta alle vetrine, forse non si sarebbe accorta di Giorgio se lui non le avesse sbarrato il passo, redarguendola con un sorriso. Si piluccarono per un po', incuriosendo i passanti, prima di decidersi a rimandare alla sera le effusioni vere.

Quella sera stessa, però, Giorgio fu avvertito da Mara di recarsi in sede, poiché bisognava decidere un comportamento comune rispetto ad una situazione che, dopo il ritrovamento dell'ucciso, stava diventando sempre più difficile. Non fu necessario raccomandargli di non mancare: seppure combattuto, Giorgio antepose l'impegno politico all'appuntamento con Santina.

A lei per telefono inventò una scusa sul momento, poco curando di essere credibile; sicché Santina, immaginando ben altro, lo mandò rabbiosamente al diavolo.

- Che stupido sono stato a sottovalutarla così. Avrei dovuto invece invitarla a frequentare la sede insieme a me - si lamentava Giorgio con Vincenzo, rintracciato regolarmente al bar.

- E anche tu dovresti venirci - aggiunse, cercando il tono più persuasivo.

Ma Vincenzo sembrava sottrarsi: - Oh, io sto bene qui dentro. Con Fonso, anche se è un testone -

foto copertina di Ruggiero Filannino

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