Beppe Mariano / Ascolto dell'erba

edizioni l'arciere, Cuneo, 1990

Prefazione

I due temi dominanti in questo libro, cioè da un lato un vigoroso risentimento civile e dall'altro le scadenze ora dolorose ora euforizzanti che segnano il percorso esistenziale e che si annodano a loro volta nei due sottotemi del dramma intersoggettivo più antico (i rapporti con il femminile) e dell'infanzia rivisitata, si connettono in un fondale ostinato di disadattamento, di rabbiosa ineluttabilità.

Quando nella prima sezione, « Anniversari », Mariano ricorre massicciamente al dialetto intrecciandolo alle lasse in lingua, egli intende sì esprimere valori de iure affettivi ed evocativi (e, si badi, in anni in cui il dilagare in letteratura dell'uso dialettale è ancora lontano), ma intende anche sottrarre questa lingua della «màtria» alla funzione decorativa e conservatrice che essa ancora esprime in termini oleografici da qualche specola del «piccolo mondo»; qui il plurilinguismo è preso in considerazione in sede dialettica e in forma ideologica sino a fare del doppio registro il punto di coincidenza di quella opposizione esistenziale tra sradicamento e nostalgia di appartenenza, ovvero il punto emergente di una critica materialistica al divorzio tra natura e cultura, tra sensibilità e razionalità: «Si ha bisogno non d'una verità costante / ma d'una costante in una verità mutabile».

Ma vorrei dire che l'aspetto più originale della tensione progettuale di Mariano si realizzi nella seconda sezione del libro, «Scenari» (molto apprezzabile l'idea di una corrispondenza fonetica nei due titoli di sezione), che anzitutto porta la testimonianza della ricerca del poeta a ridosso di questi anni, colmando per ciò stesso un arco di tempo molto saldo. Vero è, poi, che le direzioni di scrittura di Mariano sono considerevolmente estese e intrecciate e dotate di una fitta capacità di interrelazione reciproca: alla base di ciò esiste sicuramente una concezione «impegnata» della scrittura, una letteratura di idee che vuole coordinare, e tende a integrare, la questione stessa dei generi.

Prevalentemente denotativa, questa scrittura ha il pregio di porre alla base del discorso un progetto ben definito, o meglio una serie di progetti il cui senso è da ricercarsi nella capacità di non desistere da una volontà interpretativa, propositiva, spesso orientata in senso violentemente frontale rispetto alla realtà. «Scenari» è un pregevole poemetto in diciotto microsequenze fondate su uno schema oppositivo che, semplificando, potremmo definire come uno scambio di parti tra reale e possibile: un reale denunciato ai limiti della degradazione, in sequenze per lo più paratattiche leggibili come parti (o anche come «pareti») di enunciati che riflettono lo scollegarsi delle innumerevoli «marmellate» dell'integrazione sociale, della normatività appiattita, della irrazionalità camuffata, ecc. In questo senso si producono le sequenze oppositive di un discorso «per la scena», il cui tasso di verità consiste nella manifestazione stessa; ma, attenti, è proprio attraverso questa mistificazione che si recupera, assieme alla forte carica relazionale che è insita nella scelta stessa dello sfondo, l'unica possibile emergenza della comunicazione;

erba

copertina da un disegno di

Romano Reviglio

 

 

 

 

una comunicazione che per mettersi in gioco deve continuamente e anzitutto negarsi, affondare nell'improbabile, nel balbettio dei destini incrociati, restituirsi alla realtà della propria stessa interruzione come risorsa anche dialettica fondata sull'approccio ora «debole» e ambiguo con la «verità» («Si ha bisogno non d'una maschera costante / ma d'una costante in una maschera mutevole »: che è, in cifra di lettura, il rovesciamento testuale della enunciazione precedentemente riportata). Maschera, cioè persona: da far lievitare in senso ermeneutico entro il senso stesso dell'origine («Prova questa maschera / così stremata dall'ilarità / che nei secoli ha suscitato. / Il labbro stanco di mostrarsi / arcuato, lineare / come un encefalogramma / appare»), verso le fonti stesse della capacità locutoria.

Nel proporre questa ultima parte del libro come il punto più alto del lavoro di Mariano, mi piace riferire una recente espressione di Stefano Lanuzza («Il migliore amico del poeta», in «Molloy», n. 5): «Senonché, al di là della sofferenza dei poeti, che è frutto di debolezza, il fraintendimento è, nel suo pertinente significato etimologico, un modulo particolare di "intendimento" che in poesia va rivelandosi essenziale». Mi pare, cioè, che qui il corpo a corpo tra critico e poeta, il coesistere delle due anime nel processo formativo di figure, di personae abbia prodotto frutti davvero non trascurabili.

GIORGIO LUZZI

 

 

 

La condizione originariamente poetica cade con la moderna età del lavoro, con l'assurdo meccanismo sociale e politico che si scontra con l'individualità. Poeta è chi tenta di sfuggire a ciò che è collettivo nel senso più deteriore del termine. Poeta è chi tenta la fusione armonica fra l'individuo e la società, i valori, le istituzioni. Poeta è chi mira alla totalità.

Mariano mi pare voglia testimoniare proprio la disgregazione di questa totalità come male del secolo e si chiede se è possibile in una civiltà agraria che è rimasta tale malgrado il progresso/regresso industriale.

Ma credo che il suo discorso simuli un discorso «sociale» per prendere di petto soprattutto quello linguistico. Il che, per un poeta, è la stessa cosa.

I segni non significano più le cose. Forse non lo hanno mai fatto, dal momento in cui l'uomo ha smarrito l'onomatopea e il geroglifico. Ci resta quindi un contenitore vuoto da riempire. Il vero dubbio è che l'uomo moderno (nel senso più deteriore del termine) abbia smarrito anche il senso dei significati.

Le parole diventano solo gusci vuoti di cicale, vernice esteriore di canto in un flusso caotico di cose, barattoli, dépliant, slogan, carta igienica, e chi più ne ha più ne metta.

La sua coscienza della marea detritica in cui viviamo non simula né innocenza né indifferenza. Tenta piuttosto il rispecchiamento del disagio esistenziale e linguistico. In questa resistenza sta la poesia o, perlomeno, l'embrione dal quale vorrebbe rinascere.

 

GIOVANNA IOLI