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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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LA SPOSA PERSIANA

Di: Carlo Goldoni

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DEDICA

A SUA ECCELLENZA

LA SIGNORA DUCHESSA

D.NA MARIA VITTORIA SORBELLONI

NATA PRINCIPESSA OTTOBONI

Fra tutti gli auguri, de' quali piene sono le Teste degli Uomini, quello certamente è più ragionevole, che dal buon principio di qualche cosa fa sperar bene nel proseguimento, e nel fine. Chi sa dirmi, se la presente edizione, che ora incominciasi delle Commedie mie, col nuovo impegno da me composte, potrà sperare fortuna eguale alle cinquanta stampate, nella edizione Fiorentina comprese? Un buon augurio me lo promette: la prima Commedia di questo mio Nuovo Teatro Comico è la fortunatissima Sposa Persiana: il primo Nome che la illustra, che la protegge, è quello di V E. Da due principi sì buoni son giustamente animato a sperare un ottimo accoglimento dal Pubblico a questo secondo corso delle opere mie, e a presagire all'Editore onoratissimo, che ne intraprende la Stampa, un esito fortunato. Non ho I'ardire di credere, che questa possa dirsi Commedia buona, siccome di niuna delle mie posso animosamente presumerlo; e perciò Fortunata piacquemi di chiamarla, giacché la fortuna per certo, e non il merito I'ha fatta soffrire piacevolmente per trentaquattro sere la prima volta in questa nostra Città, e grata la rese egualmente in ogni altra parte, in cui ebbe la sorte di essere rappresentata. Per compimento felicissimo di sua Fortuna le tocca in sorte la protezione di V E., il che poi mi anima sempre più a credere fermamente, che la Persiana non solo andrà fastosa per un simile fregio, ma tutte quelle, che dopo di essa verranno quindi alla luce, precedute da una protettrice sì illustre, sì magnanima e grande.
II Nome vostro, Nobilissima Dama, noto era prima all’Europa; per il sangue Eccelso degli Ottoboni, da cui nata siete, per quello illustre de’ Sorbelloni, a cui vi ha la sorte ed il merito felicemente unita; ma indi da Voi stessa vi siete assai più resa cognita, ed illustrata. Voi avete una mente sì illuminata, ed un talento, ed un genio per le lettere sì fecondo, che in ogni genere di sapere potete farvi distinguere, ed ammirare; e la Città di Milano, Magnifica in tutto, e per le Scienze, e per le belle Arti famosa, conta Voi per uno de’ suoi maggiori ornamenti. Piacquevi però di dare un saggio al Pubblico della vostra letteratura con un’opera amena, grata, piacevole; ma che da me, e da chiunque sia del mestiere, non può essere, che ammirata, e giudicata difficile al maggior segno. Parlo io, Nobilissima Dama, della Traduzione delle Commedie del valoroso Monsieur Destouches, celebre Autor Francese. Parrà facile a qualcheduno il tradurre, ma io, che ho sino ad ora settantacinque Commedie immaginate, e scritte, troverei più difficile una straniera sola tradurre perfettamente, anziché nella foggia mia altre quattro comporne. Chi scrive a talento suo, soddisfa il proprio genio, e cerca di uniformarsi a quello della sua Nazione. Ma per tradurre perfettamente da lingua a lingua, conviene entrare nello spirito delle due Nazioni, conoscere la forza dell’Originale, e 1’equivalente della versione. Piacquemi infinitamente ad un tal proposito ciò che lessi nel Chambers, all’Articolo Traslazione: "I traslatori, o traslatatori, sovente procurano di scusarsi a spese della loro lingua, e ne chieggon perdono per Lei, come s’ella non fosse ricca, e copiosa abbastanza per esprimere tutta la forza, e le bellezze dell’originale".
Voi non avete d’uopo di una simile scusa, poiché conoscete assai bene la riccbezza della lingua nostra Italiana, e nello scriverla perfettamente vi meritaste gli Elogi del Novellier Fiorentino, il quale prodigo non suol essere delle sue lodi, e molto meno in questo; ma siccome, a fronte del Dialetto nostro, scarso é quello degli Francesi, e i modi loro e le loro Frasi hanno cotal suono, che alle orecchie nostre non tornerebbe in acconcio, Voi saggiamente, ponendo in fronte ai quattro Tomi della traduzione vostra l’insegnamento d’Orazio:
Nec verbum verbo curabis reddere fidus
Interpres etc.
rendendovi padrona del sentimento dell’Autore, dell’intenzione sua, del carattere e della Scena, l’adattaste sì bene all’intelligenza, ed allo stile degl’Italiani, che senza la prevenzione, passar potrebbono per opere originali.
Io peraltro, se mi lasciassi sedurre dall’amor proprio, dovrei farmi rincrescere una simile traduzione. Sono parecchi anni, che in questo genere di Teatrali Componimenti fatico per l’onor mio, e per quello della mia Nazione, alla quale hanno giustamente per più d’un Secolo insultato gli Oltramontani, e dell’Opera mia imperfetta larga mercede ho quinci, e quindi riscossa, se non di grosse monete, d’aggradimento almeno, e di festevoli gratulazioni. La Fortuna Teatrale, gelosa forse de’ suoi Francesi, ha eccitato la mano di V E. a mantenere il decoro loro in Italia; onde sia il Destouches, da una nostra Dama tradotto, argine al corso della mia felice carriera; ma rallegromi fra me stesso, che il valoroso Francese non comparirebbe con sì bel fasto in Italia s’egli non fosse da un’italiana penna tradotto, e purché trionfi anche in ciò il valore della nostra Nazione, son pronto a cedere tutto quel po’ di gloria, che mi ho acquistato, ad una Dama sì benemerita.
Non è solo alla Repubblica letteraria, Nobilissima Dama, che nota resa vi abbiano i vostri studi, e le vostre belle Virtù, ma da tutti gli ordini delle persone vi fate distinguere, e venerare, ed amare. Nelle piacevoli conversazioni Voi non ostentate sapere niente di più di quello, che all’occasione convenga. La vostra Filosofia sa rendervi egualmente seriosa nel Gabinetto, e gioconda in una festevole compagnia; amate i libri e non isfuggite i spettacoli, e fra quelli, e questi, che discretamente vi allettano, il miglior tempo impiegate alla soave cura de’ Figli vostri. Questi sono il primiero oggetto delle vostre attenzioni, e 1’educazione, ch’essi hanno dall’amor vostro, e dalla vostra Virtù non può che renderli degni di Voi, e di quel sangue, da cui son nati. La cognizione, che avete delle scienze, e delle belle arti, non può lasciarvi ingannare nella scelta de’ buoni maestri, e Voi medesima, oltre allo studio delle lingue straniere, che da Voi stessa loro comunicate, potete nelle più difficili facoltà renderli bastantemente istruiti; e coll’esempio vostro, e colla vigilanza, con cui al loro bene vegliate, si renderanno un giorno oggetti degni di ammirazione. Milano aspetta in ogni uno di loro novelli fregi alla Gloria di sua nazione; Roma fra questi attende un successore di Alessandro Ottavo, Sommo pontefice della stirpe vostra degli Ottoboni, illustri Figli di questa Serenissima Repubblica Veneziana.
Fra le vostre seriose cure, fra i vostri geniali trattenimenti non isdegnate di ammettere quest’umile produzione del mio scarso talento; e me onorando dell’alta protezione vostra, concedetemi benignamente, che possa a Voi dedicare colla Commedia, che vi offerisco, la mia ossequiosa servitù, e tutto me stesso.
Di V. E. Umiliss. Dev. Obblig. Servidore

CARLO GOLDONI

L’AUTORE A CHI LEGGE

 Eccomi a dar principio alla stampa del nuovo corso di mie Commedie, scritte per il Teatro che dicesi di San Luca in Venezia, della Nobilissima Casa Patrizia de’ Vendramini.
Quantunque questa Commedia, che ha per titolo la Sposa Persiana, sia stata la terza da me composta nel primo anno del nuovo impegno, voglio ch’ella occupi il primo luogo, in grazia, non dirò del suo merito, ma della sua fortuna. Alcuni vi furono fra i spettatori, che, non contenti di repplicatamente vederla, mi vollero far l’onore di scriverla dai Palchetti; il che riuscì loro di fare in più, e più volte, che provati si sono. Videsi, dopo, passare di mano in mano copiata, e ricopiata, a tal segno, che pochi eran quelli, che non l’avessero, tutti però scorretta, come l’avean potuta rapir di volo e sempre più rovinata nel ricopiarla. Più volte mi hanno minacciata la stampa, a Trento, a Lucca, ed altrove; ma si è avuto qualche rispetto per me.
Finalmente comparve in questa Città stampata, senza data di tempo, e luogo, piena zeppa d’errori più di qualunque altra, che vedevasi manoscritta, colla maggior parte de’ versi stroppiati, coi sentimenti stravolti, a tal segno, che se per mia disgrazia, non foss’ella impressa dalle repplicate sue recite nella memoria delle persone, mi avrebbe sonoramente posto in ridicolo. Dicesi, ch’ella sia stata stampata a Napoli; la verità si è, che in faccia mia, che a dispetto mio fu in Venezia venduta, e introdotta non si sa come. Buon per me, che conosciuta la difformità con cui si fa comparire, pochi l’hanno comprata, e dalle mie mani l’aspettano. Per altro non si ha rispetto alcuno per i poveri Autori, e credesi, che rapir loro un originale non sia peccato, con obbligo di restituzione, per l’onore, e per l’interesse.
Lettor Carissimo, ecco qui la Sposa Persiana nello stato medesimo, in cui fu da me sulle scene esposta, se non che, ascoltando le voci oneste de’ buoni Amici, purgata l’ho intieramente di qualche equivoco, che offendeva le orecchie più delicate. Gli equivoci sono tollerabili nelle Commedie, quando si può credere, che i meno maliziosi li abbiano a interpretare col senso buono, e Dio mi guardi dallo scandolo degl’Innocenti. Ho sudato, e suderò sempre per questo, per togliere dal Teatro nostro scorretto l’oscenità, la malizia; e se lo spirito comico mi seduce, lascio volentieri correggermi, e a chi lo fa gli son grato.
Dopo la Commedia mia intitolata Moliere, altre in verso non ne aveva composte; ma ricordandomi, che quel tal verso rimasto, a imitation dei Francesi piacque moltissimo su quei Teatri, ne’ quali videsi rappresentata, m’invogliai ritentar di farlo in un’altra, cercando argomento, a cui, più della Prosa, fosse conveniente il Verso.
Feci un salto assai grande; balzai sino in Persia, e di là trassi argomento per la costruzione di una Commedia; non lo presi già dalla Storia, sapendo io, che un tal fonte riserbato dev’essere per le Tragedie, per i Drammi per Musica, e per quell’anfibio componimento, che Tragicomedia si chiama. Ho inventata la favola di Persone d’un rango inferiore; un Finanziere, un Capitano sono i principali Soggetti: questi non eccedono il grado della Commedia, e gli altri tutti sono o inferiori, o dipendenti, o soggetti. Evvi una Vecchia, che forma il ridicolo; e se le persone più nobili parlano con gravità, eccedente allo stile delle Commedie nostre, ciò accade in grazia della Nazione Orientale, che anche nelle persone basse comparisce austera, e feroce. Questa è una Commedia fondata sulla passione; altre ne ho fatte di un simile stile, e sono state gradite. Né il primo sono io stato a farlo, ma dai Francesi moderni ciò si è tentato, ed anche in Francia la Passione della Commedia fu bene accolta. I Spagnuoli, gl’Inglesi ne sono amanti, e l’esperienza m’insegna, che gl’Italiani ancora la sentono volentieri.
È stata onorata di qualche critica la presente Commedia, né qui voglio fare un’apologia fuor di proposito, lasciando in libertà ciascheduno d’intenderla a piacer suo. Nella Commedia intitolata il Festino, che fu l’ultima in quell’anno rappresentata, e sarà l’ultima del Tomo Secondo, ho a bella posta introdotto le varie critiche della Persiana qua e là raccolte, e i personaggi medesimi della Commedia questa e qualchedun’altra difendono.
Vari nimici ho avuti ed ho tuttavia, che parlano, e scrivono, e contro di me s’avventano o per passione, o per invidia, o per interesse, ed io li ho compatiti sempre, e li compatisco, né mai ho voluto rispondere alle loro miserabili inezie. Quello, che più degli altri mi ha fatto maravigliare, si è un moderno Autore di una Tragedia Italiana intitolata Teonoe, il quale nella dedicatoria, o sia prefazione di cotal opera, introduce, fuor di proposito, ragionamento sulla Commedia, condanna il verso, che dicesi Martelliano, e arriva a chiamar me, e quei, che si credono seguaci miei, gente nata per infamia dell’arte.
Non può negarsi, che la Teonoe non sia verseggiata con una dolcezza di metro, e con una forza di sentimenti ammirabile. L’Autore suo degnissimo è Scolaro del celeberrimo Signor Marchese Maffei di gloriosissima ricordanza. Si conosce, ch’egli ha procurato imitarlo, copiando i pensieri della sua Merope, e i versi medesimi trascrivendo; ma in alcuni tratti, mi si conceda il dirlo, ha superato il Maestro.
Io gli auguro di buon cuore lunga vita, e miglior salute, acciò possa egli arricchire i Teatri nostri di belle erudite Tragedie. Il talento suo felicissimo arriverà ben presto a conoscere i difetti di questa sua prima imperfetta opera, e si asterrà principalmente per l’avvenire di terminare una Tragedia in tal modo, che sarebbe riprensibile in Commedia ancora; tanto più, che il Matrimonio di Teonoe con Icaro non è necessario, terminandosi l’azione completa col discoprimento delle due Figliuole di Testore. Vedrà col tempo quanto sia meglio scemar il numero degl’inutili versi, delle repetizioni, e specialmente degli Argomenti; ed io son certo, che arriverà egli ad essere un giorno il decoro della Tragedia Italiana.
In quanto a me se non mi degna dell’approvazione sua, pazienza. Ho cinque lettere del Maffei suo Maestro, suo Nume, che parlano di me in altra guisa; nell’opera sua de’ Teatri antichi e moderni scrive di me in maniera, che rende onore al mio nome. So che il Marchese Maffei, ed il Martelli furono nemici in vita per occasione del verso dal secondo inventato; ma condannato un tal verso dal Maffei giustamente nella Tragedia, disse a me medesimo, che intesa la recita del mio Moliere piaciuto eragli nella Commedia; e tanto è vero ciò, che asserisco, che a lui medesimo vivente, l’ho ricordato nella dedica di tal Commedia a lui fatta nel Tomo Secondo della edizione mia Fiorentina. Riescitomi sì bene il verso nella Persiana lo ritentai nel Filosofo Inglese, che fu egualmente felice, onde arrivatane la notizia al prefato Signor Marchese Maffei, così mi scrive in una sua lettera, che colle altre conservo, in data de’ 24 Febbraro 1754: Dal Signor Luciato ricevo il suo quarto Tomo; gliene rendo mille grazie, e ne fo parte la sera agli Amici. Sento con sommo piacere 1’eccessivo applauso, che si fa alla sua ultima Commedia. Se si stamperà, la voglio di foglio in foglio. Continui pure così e supereremo tutte l’opposizioni ecc.
L’approvazione del Maestro dovrebbe bastare per vincere l’opposizione dello Scolaro. In un’altra de’ 7 Maggio 1753, così mi scriveva il Signor Maffei: Le confido, che ho fatto una solenne risposta al Concina, ed a quel suo libro, nel quale afferma che I’arte è infame, e infami tutti quelli, che hanno mano in Teatro, e che non debbono partecipare de’ Sacramenti, In questa risposta nomino Lei, e il Fagiuoli e gli do per esempio di Commedie oneste, e morigerate, ecc. Ed in altra de’ 15 Ottobre 1753: Io vorrei sapere come mandarle il mio libro de’ Teatri antichi, e moderni (osservo ora la data della sua da Venezia, onde lo spedirò). Vedrà in questo, come ho difeso l’onesto uso de’ Teatri, e la riputazione di chiunque s’adopera in essi, così maltrattata dal Padre Concina. Non mi son dimenticato di lei, né di far onor al suo nome ecc. In fatti non è poco onore per me, che così abbia pensato e scritto delle opere mie un Letterato insigne, uno, dirò di più, che se ascoltate avesse le violenze dell’amor proprio, come alcuni altri fanno, con più gelosia avrebbe per se medesimo custodito il vanto di riformatore del Teatro Comico ancora, giacché nella sua gioventù mostrò aspirarvi, e si provò di esserlo colle sue lodabilissime due Commedie.
Io non intesi già, introducendo il verso, di voler bandire la prosa dalle Commedie, ma nell’una e nell’altra maniera ho avuto animo di comporre, secondo la natura degli argomenti. Accadde però, che il Popolo s’invaghì di sì fatta maniera di cotal verso, che le Commedie in prosa disperavano quasi di essere compatite. Tutto in un tratto s’intesero tutte le scene di questa Metropoli risuonare coi versi alla Martelliana foggia rimati, ed io, a mio dispetto, sono stato indi costretto, per compiacere l’Universale, e per giovare all’utile del mio Teatro scrivere in tali versi parecchie altre Commedie. Dissi fra me medesimo: si sazierà il mondo di versi, e rime, come il dolce divien col tempo anche ai ghiotti per abbondanza stucchevole. Infatti sentii gridar sul finire dell’anno scorso: Prosa, prosa, che sazi siamo del verso. Ritornai quest’anno alla Prosa, ma non volli poi né tampoco lasciar il verso del tutto. Piace l’alternativa, ma, non saprei dire il perché, veggio che le Commedie in verso rimato hanno avuto maggior fortuna. Una fra queste si è quella, che rappresentasi nel tempo, che sto il presente ragionamento al Lettore scrivendo, di cui non è fuor di proposito, che io favelli. Appena diedi alle scene la presente Sposa Persiana, ed ebbe il bell’incontro già detto, desiderava l’Universale veder la continuazione delle Avventure d’Ircana. Siccome non è ella in questa prima Commedia il Soggetto Protagonista, ma lo è la Sposa, così su questa appoggiai la Catastrofe, e non credei necessario, come non lo è di fatto, pensar più oltre ad Ircana. Il Popolo interessato per essa, non so se per il carattere, che rappresenta, o per il merito singolarissimo dell’eccellente Attrice, la Valorosa Signora Catterina Bresciani, mi andava continuamente eccitando per una seconda Commedia, che desse una continuazione, ed un fine, che in qualche modo consolasse la sventurata Ircana. Non potei farlo ne’ due anni passati per certe indiscrete etichette Comiche di Prima, e Seconda Donna, che ora sono sventate, e spero in questa compagnia, per cui scrivo, non abbiano più a risorgere. Ho dunque una Commedia composta in quest’anno, il di cui titolo è Ircana, in seguito della Sposa Persiana, col verso istesso rimato. L’incontro anche di questa è fortunatissimo, ed a suo tempo sarà stampata. Viviamo, Lettor carissimo, tu per leggere, io per comporre.

CARLO GOLDONI

Personaggi

Machmut, finanziere

Tamas, figliuolo di Machmut

Ormano, tartaro, uomo d’armi

Fatima, figliuola di Osmano, sposa di Tamas

Ircana, schiava favorita di Tamas

Alì, amico di Tamas

Curcuma, custode delle schiave di Tamas

Ibraima

Zama schiave di Tamas

Altre schiave, che non parlano

Quattro eunuchi neri

Quattro servi di Machmut

Seguito di serve, e schiavi di Osmano, fra quali danzatori, e suonatori di tamburini, ed altri strumenti orientali.

La scena si rappresenta in Ispaan, città capitale del regno di Persia, in casa di Machmut, in un atrio che introduce al serraglio di Tamas.

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Edizione HTML a cura di: toniolo@iol.it
Ultimo Aggiornamento:06/04/2005 14.41

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