associazione

Cristoforo Beggiami

Savigliano

LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

UN'ASSOCIAZIONE CHE SI OCCUPA DI EDITORIA SIN DALL'ORIGINE

Un affettuoso ricordo di Luigi Bàccolo

CARO GINO...

Non avrei mai più immaginato, caro «Gino», di dovermi occupare di Te, in modo infausto, così in fretta. Sapevo che prima o poi l'avrei dovuto fare; e solo l'idea mi spezzava il cuore, mi riempiva di tristezza e mi addolorava.

Ora che te ne sei andato e che la notizia mi è giunta improvvisa, nel tardo pomeriggio di un giorno dell'Immacolata, un 8 dicembre pieno di pioggia e, per me, di tanti chilometri di auto, ci sono praticamente costretto. Speravo di doverlo fare molto più in là negli anni, di poterti ancora incontrare un'infinità di volte, di ricevere da Te molte di quelle «lezioni» che un discepolo riverente ben accetta da un grande maestro.

E, neppure un'ora dopo la triste notizia, smorzati i sentimenti, sono già qui a scrivere, a doverti ricordare, a dover parlare di te a gente che leggerà di Te sul giornale e che commenterà la notizia uno, due, tre giorni dopo. Sono gli incerti del mestiere. Quante volte, Tu stesso ti sarai trovato nelle mie medesime condizioni, commentando quasi «a braccio», per i numerosi giornali cui collaboravi con infinita umanità e competenza, la figura di questo o quel personaggio deceduto nelle più svariate contrade italiane.

Personaggi che come Te, in campo nazionale, avevano trasmesso ad altri, con profonda intelligenza e capacità, il messaggio della cultura. E che, magari, erano anche tuoi amici. Gli incerti del mestiere. Quante volte ne abbiamo parlato, di questi incerti!

Mi piacerebbe, in mezzo alle mille sofferenze che una notizia così improvvisa si porta appresso, raccontare ai lettori tutto ciò che so di Te.

I tuoi libri, il tuo profondo amore per Savigliano, la tua immensa gentilezza, la tua disponibilità verso chiunque, la tua sincera umiltà, ed un'infinità di altre cose. Ma comprendo che è difficile. Quasi impossibile, se poi si ha la mente turbata dalla notizia. Pertanto non avermene se sarò impreciso; se peccherò di pressappochismo se richiamerò dalla mia memoria soltanto poche di quelle tantissime «lezioni» che in un modo o nell'altro, nel corso di oltre un ventennio, Tu sei riuscito a darmi.

Alla rinfusa. Soltanto pochi giorni addietro, riordinando la biblioteca di casa, mi è capitato tra le mani un Tuo libro del 1972 che dedicavi all'amico Piero Chiara, «Casanova e i suoi amici», pubblicato da Sugar, editore milanese. Un libro che all'epoca mi ero letto tutto d'un fiato e che, sfogliandolo in quest'ultima occasione, mi ha permesso di «rileggere» l'aggiornamento, a quell'anno, della tua bibliografia. Ti dichiaravi, in tale circostanza, «nato a Savigliano (la patria di Santarosa e dell'astronomo Schiapparelli)». La tua città era sempre presente. «Nato a Savigliano in Piemonte», scrivevi in altre occasioni. Tanto che la pubblicazione fosse di interesse locale o internazionale la Tua origine veniva dichiarata nel dettaglio. Mai una volta che Savigliano sia stata rinnegata. Mai una volta che sia comparso, quasi anonimamente, in una biografia, nato a Cuneo, o nato in una città della provincia di Cuneo, o, genericamente, nato in Piemonte. Le Tue origini (79 anni fa) erano saviglianesi. E ci tenevi a farlo sapere, quasi gridandolo a squarciagola affinché tutti potessero ben saperlo.

La bibliografia. Quante volte ho pensato di riuscire, con il tempo, a raccogliere tutte le tue pubblicazioni. Un po' la negligenza, e un po' la difficoltà a reperire sul mercato opere ormai considerate introvabili me lo hanno materialmente impedito. Ma ci riuscirò.

La malattia. La Tua bibliografia cessa, ahimè, al 1982, con «Il commiato del Mago e delle Fate» e con l'annuncio dell'imminente pubblicazione di una biografia sulla «Marchesa de Brinvilliers», una gran dama criminale del secolo XVII, opera che, da quanto sono a conoscenza, nonostante si trovasse alle battute finali, è rimasta incompiuta. «Il Commiato», il più saviglianese di tutti i libri, quello intimamente dedicato alla Tua città ed a tutti i suoi abitanti, è l'ultimo ricordo scritto che abbiamo di Te. Una malattia Ti ha impedito, nonostante la Tua lucidità mentale sempre vivace e stimolante, di continuare a produrre, offrendo a chi seguiva la Tua attività di poter ulteriormente godere della grande conoscenza e capacità espressiva che mettevi a disposizione di tutti.

La saviglianità. Il discorso si fa complesso, caro «Gino». Sfido chiunque Ti conoscesse a ricordarTi in una veste non saviglianese. La Tua città, la nostra città, era perennemente sulle Tue labbra. Volevi sapere, desideravi conoscere ogni novità, sviscerare questo microcosmo di gente e strade che Ti avevano dato i natali e scoprire sempre qualcosa di nuovo. Non posso non ricordare le nostre lunghe passeggiate dell'estate del 1989 in corso Vittorio Veneto. Tenendoti sottobraccio Ti accompagnavo avanti e indietro lungo quel marciapiede mentre mi raccontavi &endash;maledetti gli scalini che interrompevano troppo sovente il discorso&endash; della città di un tempo, delle Tue zie, del lessico locale di una volta, di piazza Santa Rosa e di tutto ciò che era legato al nostro passato, che apparteneva tanto a Te quanto a me (e questo concetto me lo infilasti bene in testa), perché apparteneva alla nostra Savigliano. Non mi hai mai svelato chi fosse la bella Maria M. di «Amore a quattro voci», ma mi hai promesso più d'una volta che avresti volentieri curato l'introduzione a qualche mio lavoro. Credimi, adesso posso dirlo, non ho mai osato chiedertelo!

Cn. Volevi e dovevi essere Tu l'autore, il più significativo, del capitolo riguardante Savigliano da pubblicarsi sul volume «Cn, Cuneo la Provincia Granda», da me curato (insieme all'amico Franco Collidà) e pubblicato nel 1990. Non potevi, per motivi di salute, provvedere direttamente. Mi incaricasti con garbo di mettere insieme quelle sette o otto cartelle che componevano il testo, magari spulciando tra le cose già scritte. Lessi, all'epoca, tutto ciò che avevi pubblicato su Savigliano. Feci un collage cucendo e ricucendo diverse cose significative, «cucinando», come si dice in gergo, i testi più belli. Li collegai con pochissime cose di mio pugno. Mi abbracciasti quando Ti consegnai il dattiloscritto. E me lo riconsegnasti, ringraziandomi infinitamente, una sera nella quale ci incontrammo con tua moglie, mia moglie ed i miei figli. Vi era una correzione per un errore di battitura. Eri stato troppo generoso nei miei confronti! Non speravo tanto!

L'Anglia. Ricordo più che mai quell'Anglia bianca parcheggiata in corso Caduti per la Libertà. Ogni pomeriggio, con qualsiasi tempo, uscivi dalla portina di corso Roma dove abitavi, accompagnando Tua madre sotto braccio. Insieme, in auto, percorrevate Savigliano per un'oretta. È stato così per anni. Questa Tua immagine, di figlio generoso e fedele che rimane legato alla madre sino alla morte, mi rimane fissa nella mente. E sono certo che non sfuggirà tanto facilmente, come rimarrà impressa in tutti coloro che, estate ed inverno, Ti hanno visto compiere con amore sempre i medesimi, ma significativi, gesti.

Le ultime cose. Ti ho incontrato l'ultima volta a Cuneo, in piazza Galimberti. Mi hai abbracciato e baciato. Ci siamo aggiornati su ciò che succedeva a Savigliano. Ho visto scendere dai tuoi occhi alcune lacrime. E mi è venuta alla mente una tua frase, che riporto per esteso perché troppo significativa e chiarificatrice del Tuo immenso legame con la città: «Ricordo di aver fatto una volta ridere i miei amici scrivendo che un saviglianese, se è costretto ad allontanarsi dieci chilometri dalla sua città, tira fuori il cuore dell'esule e manda sospiri al campanile della sua parrocchia, pensando poeticamente alla donna che scioglierà le chiome sul suo sepolcro, se almeno quello non sarà di esilio».

Sapevo, caro «Gino», che era difficile ricordarTi. Mi rendo conto di aver dimenticato quasi tutto ciò che sapevo e so di te. Di aver scritto queste brevi note con impulso e pacata rassegnazione, senza quasi ragionarci sopra, raccontando, più che la Tua figura, una parte di ciò che ha rappresentato per me la Tua figura. Non ho parlato, ad esempio, dei Tuoi studi alla «Normale» di Pisa, del Tuo insegnamento scolastico, delle lodi che Benedetto Croce fece di un Tuo saggio, degli anni passati come pubblico amministratore nell'aula del «Consiglio» di Savigliano, delle Tue amicizie con Piero Chiara e con Piero Bianucci, della Tua famiglia e di un'infinità di altri argomenti determinanti della Tua vita.

Ti chiedo sinceramente perdono. Non avermene.

Luigi Botta

(«Corriere di Savigliano», 18 dicembre 1992)

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