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La morte di Luigi Bàccolo

IL POETA DEI LIBERTINI

Morto l'altro ieri a Cuneo, Luigi Bàccolo compirà oggi un ultimo breve viaggio per trovare sepoltura a Savigliano, la cittadina dove era nato. In questo esiguo spazio di provincia si sono snodati i suoi 79 anni, con l'eccezione di un soggiorno alla Normale di Pisa, dove aveva perfezionato gli studi classici alla scuola di Luigi Russo. Poteva, un uomo di cultura come lui, star chiuso in confini così angusti rimanendo un cittadino del mondo? A lui, francesista e finissimo conoscitore della letteratura libertina del Settecento, per essere cosmopolita bastavano penna e inchiostro: dal suo piccolo studio tappezzato di libri, interagiva carteggi con accademici di Francia come Louis Argon e Henry de Montherlant, con scrittori come Emile Cioran e Jean Giono (altro grande provinciale), con Marcel Jouhandeau e Georges Bataille.

Poi c'erano le frequentazioni dell'anima: Casanova, il marchese di Sade e Restif de la Bretonne sopra tutti, ma anche Vittorio Alfieri, che pure ebbe il suo periodo sbandato. A ognuno di questi Bàccolo ha dedicato una memorabile biografia, aggiungendo alla piccola galleria dei trasgressori anche una certa marchesa di Brinvilliers, divoratrice di uomini e all'occorrenza, pure avvelenatrice, dotata, come Restif e Sade, di tenebroso magnetismo.

È difficile immaginare personaggi umanamente più contrastanti con il biografo. Riservato, quasi timido, dolce nel carattere, incline a un umorismo gentile, galantuomo di stampo antico, Bàccolo inseguiva i suoi libertini negli archivi di Parigi e di Venezia forse proprio per l'attrazione degli opposti, per la misteriosa fascinazione della diversità. Le donne, che Casanova ebbe numerosissime (circa 250), per lui erano essenzialmente un amore giovanile, la madre e la moglie Elsa. E più ancora erano forse un mito di sapore stilnovista, che affiora teneramente dalle poesie della raccolta «Il commiato del mago e delle fate».

Aveva esordito come critico, con un saggio su Pirandello recensivo favorevolmente da Benedetto Croce. Poi erano venute le collaborazioni al «Mondo» di Pannunzio e «Storia illustrata». Sulla «Gazzetta del Popolo», oltre a centinaia di elzeviri e di racconti, scriveva commenti di costume con giornalistica prontezza e per qualche anno tenne anche la rubrica di critica televisiva, passando poi a «La Stampa», «Tuttolibri», al «Resto del Carlino». E intanto generazioni di fortunati studenti l'avevano avuto professore al liceo classico di Cuneo, accanto al filosofo Luigi Pareyson. Tempi felici, in cui certi licei avrebbero potuto essere delle Università.

La «Vita di Casanova» uscita da Rusconi nel 1979 (laureata al «Comisso» e poi in Francia con il «Prix Casanova») fu il suo libro più fortunato, insieme con il «Restif» e la «Biografia del marchese di Sade» (1982 e 1986) pubblicati da Garzanti. Un filo tenace collega questi tre saggi, preparati da edizioni critiche curate per SugarCo e Mondatori. Bàccolo avvicinava i suoi personaggi armato soltanto di documentazione rigorosa e di simpatia umana, e li ritraeva in uno stile nitido, agile, felinamente elegante. Niente ideologie. Il suo Sade non è né un rivoluzionario come per Blanchot né un precursore di Freud come per Barthes né l'incarnazione dell'istinto di morte come per Bataille. È, in fondo, soltanto un uomo vittima della propria naturale e quindi in certo senso innocente sregolatezza.

Quanto al Bàccolo narratore, si ritrova, meglio che in romanzi giovanili, nel maturo «Amore a quattro voci» edito da Fògola nel 1980. Qui lo sfondo è l'amata Savigliano, il tono è sorridente, i protagonisti sono uomini mossi da passioni nobili e romantiche. Come le sue.

Piero Bianucci

(«La Stampa», 10 dicembre 1992)

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