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Cristoforo Beggiami

Savigliano

LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

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Bàccolo

IL MORMORIO DELLE PASSIONI NASCENTI E ALTRE COSE

In una pagina dedicata al mondo fiabesco non poteva mancare Luigi Bàccolo che a quel modo ha dedicato alcune tra le sue più sensibili pagine raccolte con i bellissimi ritratti di Giono, Cioran, Leautaud, Montherlant, Jouhandeau, Cèline (tra quanto c'è di meglio e di meno conclamato della letteratura francese del nostro secolo) nonché della «Normale di Pisa» da Bàccolo frequentata nel 1938, ai tempi di maestri quali Russo, Farinelli e Pasquali, chiamatovi in seguito alle attenzioni del più grande dei maestri di allora,Benedetto Croce, ad un suo saggio su Pirandello.

«Il mormorio delle passioni nascenti» s'intitola la raccolta (vincitrice nel 1982 al premio Estense) ed è titolo, nella sua bellezza evocativa, augurale e profetico.

Critico letterario raffinatissimo, specializzatosi per gusti e inclinazione nel Settecento Francese, Bàccolo è stato biografo di stile in epoca di sciatterie biografiche. Uomo di indole mite appartato più che per ragioni geografiche, per dignità di salvaguardia spirituale, avendo dovuto attraversare prima le restrizioni intellettuali del fascismo e in seguito la «lunga penombra» letteraria e civile dei nostri anni in cui si è barattato con disinvolto cinismo l'esprit con il «minimalismo» (e non solo newyorkese), il bisogno di Utopia con la concretezza dei barattieri, la conversazione arguta e brillante col chiacchierume televisivo.

Bàccolo è stato, in particolare, conversatore «de plume» nel senso francese di intrattenitore su cose letterarie di un'epoca in cui la letteratura era sostanziata dal pensiero e felicemente intrecciata alla vita mondana.

«Il regno dell'esprit, della originalità, della fantasia!» così Leautaud, per la penna di Boissard, si rivolge a Diderot «Epoca deliziosa, ch'armate, la vostra, la più bella che il mondo abbia conosciuto».

E fu proprio la biografia di uno dei protagonisti di quell'epoca, Giacomo Casanova, che valse a Bàccolo, dopo il «Comisso», il Prix Casanova e l'affermazione non solo nazionale.

La biografia e gli studi su Sade, Restif de la Bretonne, Alfieri e altri scrittori del «settecento», hanno costituito per Bàccolo sia un irresistibile orientamento culturale, sia, presumibilmente, un universo «alternativo», più immaginato che reale, di galateo letterario vivificato dalla intelligenza dei «philosophes» e dai suoi discendenti diretti, tra cui umilmente si annoverava.

Non a caso intitolò «Vivere come sopra una montagna» un suo romanzo del 1965 volutamente «inattuale», o, al contrario, in anticipo sui tempi. Ma fu anche un uomo straordinariamente legato agli affetti della «sua» Savigliano, che gli ispirò il romanzo «Amore a quattro voci», edito nel 1980, nel quale con poetica leggiadria e garbata arguzia fa rivivere una Savigliano d'epoca (quel 1935 «Anno Grande e Matematico»), omaggio alla città ma anche, e soprattutto, ad una donna tanto amata (e tanto amabile, a quanto pare) della sua prima giovinezza, dissimulando se stesso nell'anagramma «Còlcabo», uno dei protagonisti del romanzo.

«E così addio diletti fantasmi! E arrivederci a suo tempo ove Dio, eventualmente intendesse risparmiarci l'onta del Nulla» scriverà successivamente Còlcabo ne «Il commiato del mago e delle fate»: commiato da un'epoca ideale, in cui la sanità dello spirito poteva salvare dall'infermità della storia.

Beppe Mariano

(«Il Saviglianese», 1994)

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