Un panorama culturale da ricomporre

 

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Eugenio Battisti

 

 

 

 

Come si vede, l'Italia è da ricostruire, mediante frammenti or­mai dispersi, anche se numerosi centri d'arte sono talmente densi da sembrare unità complete. Quest’archeologia vivente è fra le esperienze più affascinanti. Anche degli insediamenti più antichi ci sono reliquie visibili. Completi villaggi estivi rimangono in­tatti, o quasi, ad esempio presso il passo di S. Pellegrino, sopra Moena in Val di Fassa, e insediamenti di poco modificati nei secoli si vedono specialmente nelle valli che confluiscono a Tu­res (soprattutto verso la Vetta d'Italia); e le baite costruite con tronchi d’albero interi si riferiscono a tecniche anteriori al taglio delle assi, cioè all'invenzione della sega, e alla sua meccanizza­zione mediante mulini azionati dal’acqua, che ancora sussistono (ma prossimi alla rovina) nell'Alto Adige.

Il Sud, invece, dovette essere assai presto caratterizzato da co­struzioni in pietra. Il tipico villaggio a case circolari, di cui restano cospicui esempi nella Spagna settentrionale, si sviluppa attorno al Nuraghe sardo, oppure sta misteriosamente alla base degli abitati sparsi, lungo la costa, o raggruppati, al centro della Puglia (i Trulli). I Sassi di Matera, oggi sgomberati e in disfaci­mento, suggeriscono tipi d'insediamento forse preclassico, che doveva essere diffuso ove la roccia consentiva un naturale rico­vero, e di cui resta la tradizione anche nello scavare, nel sotto­suolo o entro le pareti di tufo di valloni, tombe spesso dipinte, in area etrusca, come a Tarquinia e a Chiusi, mentre a Cerveteri esse imitano, uscendo all'esterno, con cupole, strutture assai più evolute in legno.

L'ambito di queste esperienze può essere esteso anche con rare, e ben più antiche testimonianze visive: come i graffiti e i residui della Grotta dei Balzi Rossi, paleolitica, presso Imperia, o di un'altra grotta al Monte S. Pellegrino, sopra Palermo, o ì nume­rosi disegni rupestri, rappresentanti strumenti agricoli e carri, dal Neolitico in poi, in Val Camonica.

Gli ambienti architettonici o naturali del passato vanno peraltro vissuti, e non solo visti in schemi costruttivi. Il tempo e le stagioni continuano a mutare, con singolari effetti di luci e om­bre, attorno ai templi dorici di Paestum, di Agrigento; si può entrare ancora, in Volterra e in Perugia, attraverso porte etru­sche. Ci si può illudere, nel Foro Romano, di spiare entro la Ca­sa delle Vestali, ma la Curia è pressoché tale e quale, e cos sono le sale dipinte o stuccate dei Palazzi Imperiali, tipo la Domus Aurea. Incredibili sono ì pavimenti a mosaico di Villa Arme­rina. Assai conservate le Terme di Caracalla e l'immensa Villa Adriana sotto a Tivoli. L’indimenticabile l'esperienza di uno spettacolo all'Arena di Verona (che la città, mediante una spe­ciale tassa, continuò a restaurare per tutto il medioevo), o nei teatri classici di Ostia Antica e di Taormina. La vita domestica è non solo rievocata, ma documentata in dettaglio, in Ercolano (dove la lava non ha bruciato i legni), a Pompei (specialmente nella zona dei nuovi scavi) e a Ostia Antica. A parte la curiosità e la sorpresa, ad esempio di trovare porte a quinte scorrevoli, o mobili quasi intatti, è avvertibile una impressionante differenza di clima sociale, di classi, e quindi di qualità generale dell'am­biente urbano, dalla villa signorile extraurbana agli appartamenti d'affitto a più piani, alle botteghe e alle rivendite da trivio. Per la transizione al nostro modo di spiritualità, ecco invece i mitrei oscuri, ancora misteriosissimi, e le catacombe, con i loro sacelli funebri di diversa dimensione, secondo una gerarchia, implacabile, di condizioni sociali. Per raggiungerle si seguono le vecchie vie consolari, e si ha il senso, sulla Via Appia, di allon­tanarsi dalla città, entrando nella campagna, totalmente deserta (sebbene la speculazione stia in agguato al di là dei cespugli), o di entrare in Roma, atterriti dall'imponenza delle sue mura e dalle sue dimensioni, che solo il nostro secolo ha colmato e cir­condato di informi quartieri.

 

Continuità, rottura e influenze esterne

 

La transizione fra mondo classico e mondo medievale, con sin­golari processi dì continuità, oggi più interessanti di quelli che indicano una rottura, è testimoniata in Italia da monumenti maggiori, variamente distribuiti. Si pensa, ovviamente, subito a Ravenna e alle antiche basiliche di Roma, ma bisogna aggiun­gere Milano, che fu capitale, con le fondazioni ritrovate del Battistero ambrogiano, sotto la scalinata del Duomo, la chiesa, forse palatina, di S. Lorenzo (con mosaici in due cappelle, e resti di stucchi), S. Vittore in Ciel d'Oro a S. Ambrogio, ecc. Altri battisteri o cappelle funerarie si trovano ad Albenga (me­ravigliosa città dal punto di vista urbanistico, con la cinta su­perstite delle mura e i vicoli che ricalcano il tessuto romano), presso Capua, a Napoli nel Duomo, e in Puglia a Casanarello. Inoltre, immediatamente al di là dei confini e degna di Ravenna, in Iugoslavia c'è Parenzo, e per avere un'idea delle originarie decorazioni pavimentali a immagini, è necessaria la visita ad Aquileia. Resti di palazzi imperiali sono a Ravenna (non trascu­rare la visita anche alla Tomba di Teodorico, coperta da un monolite che denota una tecnologia spinta agli estremi), e ov­viamente a Roma, nel Palatino, la cui chiesa di corte, S. Maria Antiqua, presenta una stratigrafia di affreschi per più secoli. Il perdurante rispetto per il paganesimo, con edifici adattati ma non distrutti, è avvertibile particolarmente in Umbria, col Sa­cello del Clitumno, che in origine sorgeva sulle fonti del fiume, ora spostate; il S. Salvatore di Spoleto, immune nella facciata e nel coro; il Tempio, divenuto Duomo, ad Assisi.

Uno degli ambienti che meglio suggeriscono, in tutta Europa, il raffinato ambiente dei monasteri di corte, in questo caso fem­minile, è la cappella, con stucchi di Sante ad altorilievo, di Cividale, danneggiata, ma limitatamente, dai terremoti recenti. I contatti con il mondo arabo sono attestati, in modo quasi degno dei capolavori rimasti in Spagna, in Sicilia, con la Ziza e la Cuba, di cui varrebbe la pena di ripristinare anche i parchi. Da esso derivano le decorazioni dette poi cosmatesche, una for­ma autonoma di arco ogivale, contaminate con l'influenza bizan­tina e ornati policromi di mattoni. Ci resta, inoltre, delle già celebri ville di Napoli e della costa, un esempio recuperabile: Villa Rufolo a Ravello, proprietà di una famiglia di cui parla il Boccaccio. Sempre a Ravello si può ammirare, oltre a un me­raviglioso panorama della costa, nel Duomo, un busto di stile classicheggiante, che è insieme a quelli di giuristi nel Museo di Capua, dalla Porta federiciana, fra i primi esempi di rinascita dell'antico, parallela agli analoghi movimenti del '200 francese e tedesco. L'espansione, specialmente religiosa, bizantina ha toc­cato fortemente la Puglia e la Calabria con grotte eremitiche, che conservano affreschi, mentre stanno emergendo frammenti scultorei assai fini di esecuzione (begli esempi nel Museo Ar­cheologico di Reggio Calabria).

Fra i casi di rapporto con le capitali bizantine (una delle quali potrebbe essere considerata anche Venezia, che ‑ per merito di una intelligente legislazione ‑ attraverso il commercio marittimo si procurò sculture e ornati da Costantinopoli e altri porti del Vicino Oriente), è la rinascita sia del mosaico che della pittura parietale: S. Marco, con la solitaria Cattedrale di Torcello (già al centro di una città, accuratamente smontata, dopo l'abbandono, per recuperarne i preziosi mattoni) ne sono i massimi esempi al Nord; Palermo, con gli associati centri religiosi di Monreale e Cefalú lo è al Sud, mentre la scuola di mosaicisti di Roma sembra restare legata a una tradizione locale (anche se maestri vennero di qua certamente a Venezia, forse anche a Firenze). Riguardo agli affreschi, quasi del tutto perduti prima di una nuova fioritura della fine dei sec. XI‑XII, (con la massima ecce­zione in quelli, narrativamente vivacissimi, di Castelseprio, la più interessante «Pompei» europea dell'alto medioevo, e gli altri, più schematici, di Naturno, presso Merano), spetta a Mon­tecassino e al suo ricostruttore, l'Abate Desiderio, di averli usati estesamente per le nuove chiese monastiche, creando una scuola che si diffuse in tutto il Lazio, e costituì le premesse della deco­razione pittorica di Assisi, e quindi dei capolavori di Cimabue e Giotto. Dal momento che Montecassino venne trasformata e successivamente distrutta nel corso dell'ultima guerra (ma il ripristino fatto è notevole), bisogna iniziare il loro studio an­dando a S. Angelo in Formis, completamente rivestita di affre­schi con Storie di Gesù, e con un Giudizio Finale, poi nelle badie benedettine del Lazio‑Umbria: vale a dire, in ordine, nella chiesa sotterranea di S. Clemente a Roma (uno dei più sugge­stivi posti del mondo, data la possibilità di discendere, dal livello moderno ‑ dove c'è una cappella affrescata da Masolino e dove forse anche Masaccio lavorò ‑ a quello tardo-medievale e alto­medievale, fino a un mitreo e a una casa romana), a S. Elia presso Nepi (l'abside affrescata, di S. Pietro Tuscania, purtroppo è stata distrutta da un recente sisma), all'Abbazia di Ferentillo, ad Anagni e alla già citata Assisi. Itinerario che è il massimo, forse, della pittura italiana.

Per la scultura, e la sua evoluzione, ci si può servire, invece, delle porte lignee o di bronzo: incominciando da quelle di S. Sabina, a Roma, che denotano le difficoltà di mantenere il tridimensionalismo e la logica narratività classica, fino a quelle di S. Zeno, a Verona, di Bonanno Pisano, a Pisa, dove lo spazio è talmente arbitrario da dar luogo a risultati che oggi diremmo surrealistici. Più schematica, ma meno inventiva, la tradizione bizantina, assai bene attestata non solo dalle famose porte di Barisano da Trani, a Ravello, a Trani e a Monreale, ma da inattesi esemplari (ad esempio a Benevento). Indipendente è la tradizione dell'oreficeria, il cui capolavoro è forse il paliotto del S. Ambrogio di Milano. Inoltre, particolari situazioni cultu­rali, o topografiche, crearono singolari complessi che stanno a sé: come la Sacra di S. Michele, che domina la Val di Susa e, nella stessa area, sotto i monti, il complesso della Novalesa, con i suoi affreschi; l'Abbazia di S. Pietro al Monte di Civate, un rifugio del Vescovo di Milano; l'Abbazia di Pomposa, con le sue decorazioni in mattoni e in marmo, e i cicli di affreschi; le chiese adriatiche a pianta a croce come il S. Ciriaco d'Ancona, o l'ancor più suggestiva S. Maria di Portonovo, un po' più giù, sulla costa.

Ritornando al Sud, in Puglia, divenuta con la Sicilia il centro della dominazione imperiale, troviamo grandiose costruzioni ecclesiastiche scenograficamente impostate, con influssi norman­ni o settentrionali, con dimensioni e ricchezza di forme maggiori che nel Norditalia, dove i Comuni si sforzano di realizzare im­ponenti cattedrali, aventi una funzione di dignità politica, spesso coeve o quasi ai Broletti, cioè palazzi comunali, in alcuni casi, come a Brescia, Mantova, Vicenza e Padova, richiedenti aule di immense dimensioni per assemblee. Le cattedrali più notevoli sono a Milano, Como, Bergamo, Piacenza, Parma, Modena, Ferrara, Crema, Cremona, Verona, e santuari minori ma di alte caratteristiche architettoniche e decorative costellano le grandi vie di origine romana. Evidenti forme nordiche (come la decorazione ad archetti, le absidi con cripta) giungono nel Lazio settentrionale, come a Tarquinia e a Montefiascone; motivi lombardi penetrano quasi ovunque, da Lucca a Tuscania e anche in Puglia, mentre tipologie meridionali salgono a Orvieto e oltre. Lucca e Pisa, prima di Firenze (che pur può vantare S. Miniato) riescono a creare in Toscana un impegnativo clima architettonico; Pisa, addirittura, realizza un complesso urbanisticamente unitario, che stilisticamente va dal romanico al gotico, con la Cattedrale, la singolare Torre-lanterna cilindrica, il Battistero, dalle affascinanti risonanze musicali all'interno e il Camposanto, dove esiste, benché danneggiato da un incendio dell'ultima guerra, uno dei più cospicui cicli di affreschi del mondo, con le sinopie (disegni) preparatorie. Pisa conserva anche, nei pulpiti di Nicola e Gio­vanni Pisano (gli stessi artisti lavorarono anche a Siena e a Pi­stoia) i capolavori della scultura medievale, non solo d'Italia ma d'Europa. Accanto alle città, è attivo come committente l'Impero, specialmente Federico II, che servendosi di architetti francesi, stabili un imponente sistema di fortificazioni e castelli (a Trani, Bari, Gioia del Colle, Lucera, Oria, in Puglia; Lago­ pesole, Melfi, in Lucania; Siracusa, Catania, Capua, Caserta Vecchia; e in Toscana a Prato). Forse l'esempio più suggestivo è Castel del Monte, che, isolato sull'alto di un colle, sembra una corona che domini le Puglie. I Cistercensi, per conto loro, crearono anche da noi insediamenti in ogni regione. Mentre le abbazie in pietra, come Fossanova e Casamari ‑ al centro d'aree agricole ‑, riflettono più direttamente le forme stilistiche francesi di origine, il trasferimento delle loro forme in mattoni, nella pianura padana, dà luogo a pittoresche varianti: così a Chiaravalle Milanese, il cui alto tiburio a torre resta visibile da chilometri di distanza, a Cerreto, a Morimondo, a Staffarda, a Chiaravalle della Colomba, e nelle Marche a Chiaravalle di Castagnola. Per la sua situazione prossima a un bosco, S. Martino al Cimino, o per il loro stato di rovina, le abbazie di S. Galgano e di Falleri hanno la capacità di rievocare l'ambiente selvaggio originario, prima delle bonifiche per cui sorsero. Poiché stiamo parlando di influenze straniere, va ricordato un altro impatto dovuto alla dominazione straniera, quello degli Angiò, a Napoli, il cui Castello è infatti imitato da quello di Angers. Tale monarchia introdusse, insieme ad elegantissime forme gotiche, giganteschi edifici, come S. Chiara, ripristinata dopo l'incendio che ne distrusse le tombe trecentesche. Mentre la corte di Federico II aveva dato un impulso decisivo al classicismo (si vedano le già citate sculture che adornavano la porta trionfale di Capua, rappresentanti filosofi e giuristi, dato che lí avvenne la proclamazione del nuovo sistema di leggi), quella angioina stimolò il primo gotico cosiddetto cortese, che ebbe come massimo rappresentante europeo il senese Simone Mar­tini; questi lavorò in Italia meridionale (il polittico di Altomonte è ora presso la Soprintendenza di Cosenza), e forse per loro commissione affrescò la Cappella di S. Martino nella Chiesa Inferiore di Assisi, muovendo dallo stile di Giotto, ma rendendolo più elegante e meno tridimensionale. Come è noto, egli sarà successivamente chiamato ad Avignone, alla corte del pontefice colà trasferitosi.

 

Gli stili borghesi e delle Signorie

 

Abbiamo trascurato, in questo brevissimo itinerario, di parlare delle città che ora si costituiscono come forza politica ed econo­mica, quindi si abbelliscono di palazzi privati (la cui costruzione fu spesso imposta dai Comuni come garanzia della correttezza degli affari svolti), di palazzi pubblici, di torri e di fortificazioni. Fortunatamente per noi (ma sfortunatamente per la loro econo­mia, in quanto la conservazione è sempre conseguenza di un non avvenuto sviluppo) alcune città serbano nuclei o quartieri antichi in mirabile stato di conservazione. Così a S. Gimignano, Cortona alla, Perugia, Gubbio, Viterbo, Vetralla, Anagni, Ca­serta Vecchia, mentre largamente rifatta è Assisi e, peggio ancora, S. Marino. In altre città sopravvive solo il centro monu­mentale (a Pisa, perché isolato; a Pistoia, Todi, Volterra e, in Italia settentrionale, a Verona). Firenze, Siena, Perugia, e ovvia­mente Venezia, presentano largamente integro il tessuto origi­nario delle strade e piazze, e così Roma, nonostante le numerose inserzioni, tagli e modifiche rinascimentali e barocche. La Pu­glia, la Lucania e la Sicilia (purtroppo la Calabria è stata deva­stata dal terremoto terrificante del 1793) conservano un altro tipo di viabilità, anche più arcaico, forse pre-romano, a picco­lissime strade a meandro, simile alle città arabe ma indipendente. Queste città divennero un modello europeo per la capacità di risolvere problemi gravissimi, come gli ospedali.

Fra le opere pubbliche, con il ponte‑acquedotto di Spoleto va ricordata la mirabile Fontana di piazza di Perugia che è, con quelle funzionanti di Viterbo, uno dei capolavori dell'idraulica medievale.

Il romanico prima, il gotico poi diventano gli stili borghesi, con un sempre maggiore ingentilimento, frutto della poesia cortese e delle teorie dell'amore letterarie e filosofiche, cioè del preva­lere del mobile mondo profano sullo schematismo gerarchico. Per un convergere di complesse motivazioni (impegno classi­cheggiante della corte papale di Roma, per cui lavorò, interesse personale e di classe per il naturalismo, influenza della scultura a causa dell'amicizia con Arnolfo, un seguace di Nicola e Gio­vanni Pisano), Giotto creò uno stile, nuovissimo, destinato a una generale assimilazione. Lo si può vedere ad Assisi, nelle Storie di S. Francesco, dove c'è il primo gigantesco uso di immagini a celebrazione della leggenda, falsificata, del Santo, a scopo di propaganda sia dell'ordine che del papato; a Padova, nelle nar­rative scene della Cappella degli Scrovegni, destinata ad un or­dine nobiliare e cavalleresco; a S. Croce a Firenze, che divenne anche per opera dei suoi seguaci, dopo Assisi, un grande sacrario della pittura. Purtroppo perdute sono le sue opere a Milano, altre a Padova, a Bologna, a Rimini, a Napoli, cioè nelle mag­giori corti dei tempo; ma le scuole che ivi sono sorte, imme­diatamente o con minimo ritardo, fanno prova della loro im­portanza.

Contrariamente a quanto di norma si crede, sia le città che la cultura artistica ebbero un rapido declino, addirittura un crollo, fra il '300 e il '400: alcune città scomparvero addirittura dalla scena artistica, diventando solo più ricettive, come Lucca, Pisa, Treviso; Bologna stessa si appartò per vari decenni, e così Roma, Napoli. Neppure Firenze fu capace di ritornare al numero originario di cittadini del '200, e a quei massimi livelli econo­mici, ma elaborò nuove idee artistiche, che la resero dominante: all'inizio del '400, Nanni d'Antonio di Banco vi creò una scul­tura ispirata in modo del tutto maturo all'antico; Donatello compì spregiudicati passaggi dal più sereno classicismo al più drammatico espressionismo; Masaccio riprese la monumentalità e la severità di Giotto; Brunelleschi diffuse uno stile architetto­nico parallelo alla filologia degli umanisti, cioè basato su di una corretta interpretazione e traduzione dei testi e delle idee anti­che. Il diffondersi di queste idee fu però assai lento: solo con decenni di ritardo se ne incontrano a distanza imitazioni. Nanni e Masaccio, anzi, non lasciarono eredità immediata (ma saranno ammirati poi da Michelangelo); Brunelleschi, che da vivo non riuscì a vedere finito né il S. Lorenzo, né S. Spirito, ancora alle fondazioni, né la Lanterna ‑ e lasciò incompiuti definitivamente la Rotonda degli Angeli e il Palazzo di Parte Guelfa ‑ fu imi­tato dapprima nelle vicinanze di Firenze, cioè a Pescia, e solo dal 1480 a Prato, da Giuliano da Sangallo in quella Madonna delle Carceri che è una semplificazione, invece che un arricchi­mento, delle sue idee. Donatello, invece, seppe innestarsi felice­mente sulla tradizione gotica, e influenzò pittori di intenti dram­matici, come quelli ferraresi, a partire dal Tura, o il Mantegna, e inviò opere a Venezia, Padova, Siena, Roma, Napoli. Spettò ad un umanista, cioè a Leon Battista Alberti, di diffondere lo stile architettonico fiorentino, reso più monumentale e più ar­cheologizzante, un po' dappertutto: anche a Firenze, a Man­tova, a Ferrara, a Rimini, a Urbino, a Pienza, se sua fu la con­sulenza per la ricostruzione della città di Pio II, divenuta così e rimasta un perfetto museo di architettura del primo Rinasci­mento. Egli fu influente anche a Roma, con le trasformazioni urbanistiche e dei Palazzi Vaticani ordinate da Niccolò V, e con tipi di edifici decorati a paraste, come la Cancelleria.

Altro centro primario di cultura architettonica (essendo Fede­rico da Montefeltro uno studioso di Vitruvio, il grande teorico latino) divenne Urbino, con la sua grandiosa reggia unitaria, prototipo delle macrostrutture amministrative moderne. Napoli, quasi sempre trascurata, ricevette invece notevoli porte, ville, palazzi e monumenti religiosi e funebri, spediti, a volte, diretta­mente da Firenze. Milano, con il Filarete, acquistò un pianifi­catore ambizioso, proseguito poi da Leonardo: le sue ambizioni moderne restano splendidamente constatabili nell'Ospedale Mag­giore (ora Università) che è oggetto di uno dei migliori e più accurati restauri fatti in Italia, e dalla Cappella Portinari in S. Eustorgio. Francesco di Giorgio, Giuliano da Sangallo e altri crearono nuove forme di fortezze, squisitamente geometriche, astratte e visionarie, contro i pericoli delle nuove armi da fuoco. Chi visita le Marche, Sansepolcro, Ostia Antica, non le trascuri. Spiace non poter citare luoghi e artisti per nome, ma non abbia­mo potuto accennare né al Ghiberti, e alle sue porte del Batti­stero, che tutti corrono ad ammirare (ma si ricordi che due sono sue, mentre un'altra, trecentesca, è di Andrea Pisano, anch'egli venuto dalla scuola di Nicola), né a Jacopo della Quercia, che lasciò capolavori patetici o drammatici a Lucca, Siena, Bologna, né ad Agostino di Duccio, autore di quel piccolo gioiello, caro ai romantici, che è la facciata di S. Bernardino di Perugia. Abbiamo anche trascurato Venezia, che invece assume sempre più chiaramente una fisionomia rinascimentale, a causa dell'in­fluenza albertiana evidente in S. Maria dei Miracoli, S. Gio­vannì Crisostomo, S. Michele, S. Zaccaria, e dove, secondo i canoni dell'urbanistica antica descritta da Vitruvio, venne co­struito il complesso delle due piazze attorno a S. Marco, unifi­cante un tempio, una basilica pubblica (cioè il Palazzo Ducale), la biblioteca, la zecca e la prigione. La stessa transizione in senso umanistico si osserva in pittura: le icone bizantine, ingen­tilitesi e rese naturali in Giovanni Bellini cedono posto, con la sua tarda età e con Giorgione, già attivo, a composizioni mito­logiche, ispirate all'età dell'oro e squisitamente letterarie, quindi difficili da intendersi senza adeguate spiegazioni.

Nonostante la perdita totale delle decorazioni ad affresco delle regge trecentesche di Milano, Pavia, Verona, Napoli, l'itinerario dei cicli tardogotici, con la deliziosa idealizzazione femminile, la grazia rappresentativa, l'eleganza degli ornati, l'affiorare di intensi e nuovi sentimenti, é degno di escursioni fuori le grandi strade, alla ricerca di un passato a noi assai consenziente. Oltre ai famosi affreschi dei castelli della Valle d'Aosta (specialmente a Issogne), in Piemonte si visiti il ciclo di Uomini e donne illu­stri, più la Fontana di Giovinezza, del Castello della Manta presso Saluzzo. In pittura religiosa una specie di Bosch italiano è Giacomo Jaquerio, autore, fra l'altro, di una Andata al Cal­vario, in quel gioiello che è S. Antonio di Ranverso. A Milano restano a Casa Borromeo immagini di giochi e di danze. A Mantova è stata recentemente ritrovata una stanza affrescata dal Pisanello con una battaglia o un torneo; dello stesso, si veda a Verona la fantasiosa scena con S. Giorgio e la Principessa. A Trento, nella Torre dell'Aquila, si ammiri il grandioso calendario con rarissime scene di neve, dell'inizio del '400. A Ferrara e quasi intatto il ciclo astrologico del Palazzo di Schifanoia, men­tre a Urbino sorprende lo splendore cromatico degli affreschi dei Salimbeni. A Foligno si trova un intero castello affrescato. A Palermo, con il Trionfo della Morte, ora nella Pinacoteca, firmato da un pittore borgognone e da Antonello giovane, si constatano contatti con l'Italia e con le Fiandre.

Questa ricchissima sperimentazione, con larghe aperture pro­fane, si accompagna, come epoca, a quella, più controllata in senso monumentale e meno aneddotica, dei pittori toscani. A Firenze, Masaccio (S. Maria del Carmine); Paolo Uccello (S. Maria Novella); Beato Angelico (S. Marco). A Prato il ciclo attribuito a Paolo Uccello (Duomo). A Castiglione Olona (Va­rese), Masolino e aiuti (Collegiata e Battistero). Ad Arezzo (S. Francesco), S. Sepolcro (Pinacoteca Comunale) e Monterchi (Cappella del Cimitero), Piero della Francesca. A Viterbo, Lo­renzo da Viterbo (S. Maria della Verità). A S. Gimignano, il giovane Ghirlandaio (Collegiata). A Montefalco, Benozzo Goz­zoli (S. Francesco). A Spoleto, Filippo Lippi (Duomo). A Roma, le opere dei toscani presenti in Vaticano, nel Convento delle Oblate, in S. Croce a Gerusalemme.

 


Le ville

 

Con il '400, incomincia a diffondersi l'uso di ville, cioè di inse­diamenti agricoli aventi una notevole dignità residenziale e accompagnati da giardini formali. Molte sono andate distrutte, ma quelle che rimangono costituiscono insostituibili esperienze di come il passato intendeva l'ecologia. Presso Firenze si visi­tino almeno quelle di Cafaggiolo; e a Fiesole ‑ dal momento che è inaccessibile la Villa fatta costruire da Cosimo ‑ si approfitti, per comprenderne il carattere, del complesso recente­mente restaurato della Badia, che ha analoghi terrazzamenti, già destinati a giardini, e forse a una piscina. Lo splendido paesaggio è parte integrante del giardino costruito (e che pre­sentava una varietà di immagini fantastiche e araldiche, giacché i bossi erano intagliati come se fossero delle sculture: unico esempio superstite è la Villa Ruspoli a Vignanello). Indimenti­cabile è l'esperienza del paesaggio visto dalla loggia del Palazzo Piccolomini a Pienza (anzi, dalle logge, giacché tutto il Palazzo, come più tardi le Ville palladiane, è aperto su di esso dal lato opposto alla città, e fu descritto in una famosissima pagina dallo stesso papa Pio II).

Lungo il Tevere sorge la Villa della Magliana, attribuita a Bra­mante: a Roma la Farnesina, con i suoi capolavori pittorici di Raffaello e scuola. Anche più scenografica l'impostazione cin­quecentesca, date anche le maggiori dimensioni e l'ispirazione derivata dal monte‑santuario di Palestrina, da Villa Adriana oltre che, forse, dai Sacri Monti lombardi, che imitano la Pale­stina: i terrazzamenti, cioè, artificiali o naturali, abbracciano un'estensione assai ampia, sia verticalmente che orizzontalmente, come nella Villa Medici di Castello, oppure il parco occupa zone selvagge e accidentate. Per il primo caso, vanno citate Villa Madama, incompiuta, di Raffaello e Giulio Romano, ma con una decorazione finissima a stucchi e ad affreschi; la Villa Imperiale, a Pesaro, con terrazze fiorite sovrapposte, attorno a un cortile profondamente interrato, e quella Doria, a Genova, con un porto privato e che saliva originariamente a monte, fino a raggiungere una gigantesca scultura di Nettuno. Al se­condo tipo, del parco selvaggio, appartengono Bomarzo e Piti­gliano, con le loro immagini mitologiche, di emblemi, araldiche ‑ in origine colorate ‑ sparse per vallette, spiazzi e colli, e Pra­tolino, di cui l'elemento più impressionante è, in mezzo a un lago, il monte a fattezze umane dell'Appennino, dalla cui testa (che è una stanza) era possibile pescare. Associano i due tipi i celeberrimi parchi di Villa d'Este a Tivoli, di Bagnaia presso Viterbo, ricchissimi di fontane, di Boboli (che include anche un vastissimo teatro all'aperto) e a Frascati specialmente la Villa Aldobrandina, con una cascata che sarà copiata, in scala decupli­cata, dal Vanvitelli nel parco di Caserta, il quale si può con­siderare, pur nell'imitazione di Versailles, ma nel '700 avanzato, uno degli ultimi capitoli di questa splendida storia nostrana. Chi ami, invece, un parco all'inglese da mettere a confronto con le idee manieriste lo troverà, con grotte reali e una cascata rumo­reggiante, nella Villa Gregoriana di Tivoli.

Ragioni economiche, peraltro, in zone più consone a un'agri­coltura intensiva, provocarono l'ampliamento della villa a tali dimensioni da diventare un centro direzionale, spesso articolato in più servizi (includenti stalle, magazzini agricoli, abitazioni per contadini). Da una tipologia unitaria, a grandi blocchi, attorno a un cortile (come nella Villa Garzoni a Pontecasale ‑ nel Padovano ‑ attribuita a Sansovino, e ancora in quella ‑ avente funzione di fortilizio ‑ di Caprarola, poi ultimata dal Vignola) si passa a tipologie composite, totalmente aperte verso la campagna con strutture chiaramente differenziate nelle loro funzioni: è il tipo palladiano, quasi mai completamente realiz­zato (ma si veda la Villa Emo a Fanzolo di Vedelago e quella Barbaro, a Maser, entrambe nel Trevisano). La fertilità di queste idee è avvertibile ancora nelle ville del '700, con le loro larghis­sime braccia di servizio curvilinee attorno a un corpo centrale, anch'esso riarticolato in modo duttile. si confrontino i due più clamorosi esempi, cioè la Villa Manin a Passariano (Udine) e quella di Juvarra a Stupinigi, presso Torino. Tornando al '500, lo spostamento di ricchezza dalla città alla campagna è dimo­strato anche dalla ricchezza assunta dalla decorazione pittorica di alcune ville fra cui primeggiano al Nord quella di Maser (con affreschi del Veronese), al centro quella di Poggio a Caiano (con i capolavori del Pontormo e dei primi manieristi) e a nord di Roma Caprarola, che è addirittura più affrescata del Palazzo di Città degli stessi Farnese (con soggetti che vanno dalla reli­gione e la storia all'astronomia).

Poiché stiamo accennando alla pittura, va ricordato che i capo­lavori del '500 non si trovano solo agli Uffizi, all'Accademia di Firenze, nelle Stanze del Vaticano e nella Cappella Sistina, in Palazzo Ducale a Venezia e nella ricchissima Pinacoteca di Napoli, dove confluì il tesoro dei Farnese. Le opere più antiche di Michelangelo sono infatti a Bologna e a Siena, e l'ultimo suo capolavoro è visibile, invece, a Milano al Castello; il monu­mento di Giulio II è ricomposto in qualche modo in S. Pietro in Vincoli. Raffaello si ama soprattutto vedendo la Farnesina o Villa Madama. Giulio Romano ne sviluppa lo stile nel Palazzo Ducale di Mantova e in quello del Te. Un pensoso amico di Michelangelo, come Sebastiano del Piombo, venuto da Venezia a Roma, si ammira in S. Pietro in Montorio e nel Museo di Viterbo. Il Correggio, religioso e profano, è a Parma. Il Pon­tormo va visitato viaggiando attorno a Firenze: giungendo alla Certosa dei Galluzzo, per scoprire come egli riprenda, per affi­nità religiosa, l'arte tedesca; soffermandosi a vedere, nella Pieve di S. Michele a Carmignano, come ritratti di committenti e per­sonaggi religiosi, cioè le due prossime madri della Visitazione, riescano ad associarsi fra di loro, o gioendo sensorialmente del modo in cui una scena, probabilmente mitologica, è travestita in vesti d'arcadia in Poggio a Caiano; e se ne deriverà, dell'ar­tista, un'immagine diversissima da quella, astratta ed espressiva, della Deposizione a S. Felicita, al di là dell'Arno. A Volterra, invece, nel Museo si conserva il massimo capolavoro religioso della Toscana: la Deposizione di Rosso Fiorentino. Per la pit­tura veneziana, data la gravitazione del contado sulla capitale, e la disponibilità anche dei maggiori artisti a servire i piccoli centri, perfino Tiziano si può trovare in luoghi inattesi, come Vittorio Veneto, e ovviamente qualcosa di vicino a lui resta a Pieve di Cadore, dove egli nacque. La pittura veneta ha un territorio eccezionalmente vasto che include, con scuole locali d'alto livello, Brescia col Moretto e Bergamo, dove fu attivo il Lotto, e di cui inconsueti aspetti si vedono nelle tarsie con storie bibliche ed emblemi astratti del Duomo, o in quella sacra rap­presentazione, coloratissima e affollata, che sono le Storie di S. Barbara nella chiesetta della Villa Suardi, presso Trescore Balneario. Sensuali nudi si trovano nel Castello di Trento, do­vuti al Romanino; raffinatissime scene della Leggenda di Diana e Atteone nella Rocca di Fontanellato del Parmigianino, e l'epopea di Omero è affrescata dal Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. Un capolavoro erotico sono invece le Storie di Davide e Betsabea in Palazzo Sacchetti, a Roma.

 

La nuova città

 

Il '500 vede una riorganizzazione della città, con l'apertura di nuove strade (come Via Giulia a Roma, Via di Ripetta, e quindi la grande sistemazione generale promossa da Sisto V, lungo assi segnati da obelischi, e che tagliano, come quello da Trinità dei Monti a S. Maria Maggiore, senza rispetto per colli e valli, in modo rettilineo la città). Analoghi assi vennero aperti a Napoli, a Palermo, arricchendosi poi di fontane monumentali, ma non sempre ricevettero una edificazione monumentale ai loro lati, per cui il miglior esempio resta, insieme a Montepulciano, la Strada Nuova di Genova (l'attuale Via Garibaldi), che dal 1560 realizza un ideale cos espresso dal Palladio: «Et nelle città rende bellissima vista una strada diritta, ampia e polita, dall'una e dall'altra parte della quale siano magnifiche fabbriche», avendo infatti sedici palazzi ai lati, ancora ricchissimi di deco­razioni e affreschi.

Al '500 si deve la sistemazione di alcune delle più splendide piazze nostrane, incluse quelle iniziate nel '400, come quella della SS. Annunziata a Firenze. Di fronte al Palazzo Ducale di Venezia sorse una splendida Biblioteca e la Zecca (oggi sala di lettura di essa, ma rialzata di un piano). Una macrostruttura unitaria avvolge il centro di Vigevano e un'altra, con portici sovrapposti, il centro di Faenza (città famosa per le sue cera­miche, di nuovo esposte in un museo). Mediante abili inserti si regolarizzano le piazze centrali di Bologna e di Ascoli Piceno, mentre i palazzi signorili si inquadrano scenograficamente.

Le tre maggiori città ‑ Venezia, Firenze e Roma ‑ vedono rin­novarsi anche gli interni dei palazzi governativi (a Roma, abbia­mo la ricostruzione del Campidoglio, ma continui lavori si svol­sero nel Vaticano, e anche l'enorme Cancelleria è proseguita e decorata e cos Castel S. Angelo, che funge da residenza in casi di emergenza). Troviamo in essi cicli di affreschi che da un lato si riferiscono alle vicende dinastiche o di governo dei com­mittenti, dall'altro esaltano la dignità politica delle funzioni e celebrano la storia urbana: meglio di tutti è comprensibile ad una visita anche affrettata il complesso di Palazzo Vecchio a Firenze, di cui resta, fra l'altro, una eccezionale guida icono­grafica scritta nel '500 dal Vasari. A Venezia e a Firenze im­mense sale accolgono le assemblee dei cittadini. Ma prende forma stabile anche il teatro (purtroppo oltre all'Odeon Cornaro di Padova sono superstiti solo quattro esempi cinquecenteschi. quello del Palladio a Vicenza, l'altro, assai piccolo, dello Sca­mozzi a Sabbioneta ‑ una città nuova costruita non lungi da Mantova, della Pilotta in Parma ‑ immenso e oggi ripristinato ‑ e quello all'aperto nel Giardino di Boboli a Firenze, oggi parzialmente interrato). Nascono musei e collezioni all’aperto e al chiuso: distrutto il Museo del Giovio a Como, sul lago, si veda la casa del Mantegna, a Mantova, forse prevista con una rotonda coperta da una cupola in legno, e lo studiolo, raffinatissimo, di Francesco I dei Medici in Palazzo Vecchio a Firenze, uno degli ambienti più evocativi di un clima culturale oscillante fra ragione e pazzia, e che ha un corrispondente nell’ambiguità magica di certe grotte da giardino (come quella del Buontalenti a Boboli, già animata da musiche automatiche e coperta da una piscina trasparente con pesci). Sommo risultato di questo periodo è, ad ogni modo, il complesso degli Uffizi (de­stinato anche ad archivio), la cui Rotonda, già famosissima, è stata da poco restituita alle funzioni originarie. A livello devo­zionale, si sviluppano (dopo la loro proibizione nel '400, tranne che a Venezia) le confraternite, organizzate nel Nord come «scuole» (e lì si può vedere il ciclo di tele di Carpaccio, in S. Giorgio degli Schiavoni a Venezia, o quello, con affreschi di Tiziano, al Santo a Padova) e a Roma come oratori (i più celebri, per la qualità dei loro affrescanti, sono quelli di S. Giovanni Decollato e del Gonfalone).

Il potenziamento delle artiglierie, inoltre, obbliga la città a rico­struire le mura e a fornirsi di cittadelle: fra le più complesse, quella dell'Aquila, dovuta agli Spagnoli, la Fortezza da Basso e il Forte di Belvedere a Firenze, e la città‑fortezza, a pianta stellare, di Palmanova presso Udine. Un'idea diretta della guerra è fornita dalla Basilica di S. Maria delle Grazie, presso Curta­tone, con i suoi trofei votivi, di armati in nicchie (da cui deri­vano tre rarissime armature quattrocentesche, ora nel Palazzo Ducale di Mantova).

 

Roma, la capitale del '600

 

Rispetto alla pluralità di stili e scuole regionali, anzi cittadine, dai Comuni al '300 col passare del tempo i poli si vanno sem­pre più riducendo, dato che i centri di produzione di cultura si monopolizzano, praticamente, a Venezia, Firenze, Roma (i casi apparentemente eccentrici di Palladio a Vicenza, o Sammicheli a Verona, hanno anch'essi i loro presupposti a Roma e a Vene­zia: ad esempio nella teorizzazione vitruviana e nel Serlio, col suo trattato). Con il barocco, in architettura almeno, si ha una ulteriore riduzione. Solo Roma crea edifici coraggiosamente spe­rimentali, per opera specialmente del Borromini (come S. Ivo, il S. Carlino, la Torre di S. Andrea delle Fratte, il Convento dei Filippini, e non solo l'Oratorio). Bernini, autore di opere di grande monumentalità, come Piazza S. Pietro, S. Andrea al Quirinale, e di solenni palazzi come quello Barberini, eccelle invece in opere connesse con la scultura, come il Baldacchino di S. Pietro (cui collaborò Borromini), l'apoteosi della Cattedra dell'Apostolo nell'abside della grande Basilica, e ivi i monu­menti di Urbano VIII e di Alessandro VII, in opere come le cappelle dedicate ad eroine del misticismo, in S. Bìbiana, in S. Francesco a Ripa e in S. Maria della Vittoria, o altri insce­namenti teatrali, nella Cappella Raymondi in S. Pietro in Mon­torio, nella chiesa dei SS. Domenico e Sisto (Noli me tange­re, di Antonio Raggi), nella Cappella Fonseca, in S. Lorenzo in Lucina, ed eccelle in abili espedienti prospettici (nelle quinte della Chiesa dell'Assunta ad Ariccia, nella Scala Santa, nella Sala Ducale in Vaticano) e nelle celeberrime fontane, dal Tri­tone a Piazza di Spagna e a Piazza Navona. Solo Firenze ebbe qualcosa di simile, con il Buontalenti e il Tacca, da cui il Ber­nini deriva. Queste fontane con le guglie del Borromini, creano quasi da sole la Roma barocca. Le sculture del Bernini sono in gran parte raccolte nella Galleria Borghese, mentre per la pit­tura c'è una maggior varietà di personalità e di scuole, anch'esse in grande rivalità: tappe da non mancare sono gli affreschi del Cavalier D'Arpino in Campidoglio, la Galleria dei Carracci in Palazzo Farnese, i Caravaggio di S. Luigi dei Francesi, di S. Agostino, di S. Maria del Popolo (e gli altri capolavori del Maestro a Napoli, Siracusa, Messina, Malta), gli affreschi del Domenichino in S. Gregorio al Celio e a Grottalerrata, quelli di Pietro da Cortona a Palazzo Barberini e Palazzo Pamphili, che permettono di seguire il processo che porta dal tentativo di recuperare in sintesi le migliori esperienze cinquecentesche, alla semplificazione del discorso in chiave narrativa, o drammatica­mente realistica, e infine all'elaborazione di uno stile adatto all'apoteosi della Roma ormai uscita dalle difficoltà politiche della riforma, e trionfante sotto la guida di ambiziose famiglie e pontefici.

Poche sono le località (a parte i dintorni di Roma) dove si affer­mi inizialmente un'architettura di analoga novità (la facciata del Duomo di Vigevano è una di queste eccezioni), e anche nel '600 avanzato resta eccezionale una città come Torino ‑ già notevole per il suo piano regolatore coordinato e unitario ‑ capace di commissionare due audacissime cupole come quella ad archi intrecciati del Guarini per la Cappella della SS. Sindone e per S. Lorenzo. Alquanto più numerosi i centri abili nel creare scuole pittoriche: Bologna, dove dai Carracci si passa con varia­zioni a Guido Reni, al Guercino, con « minori » di altissima qualità lirica, come il Canlassi; Genova, che ha una scuola di frescanti attivissima (per cui spiace di dover qui privilegiare la Villa delle Peschiere, i Palazzi Spinola, ora Banca d'America e d'Italia, la Villa Spinola di S. Pietro a Sampierdarena, il Palazzo G. Lomellini, del Comando Militare: si ricordi che a Genova vennero a lavorare Rubens, Van Dyck); Napoli, dove Caravag­gio, che vi passò, ebbe nel Caracciolo il suo seguace più dram­matico e dove sorse una scuola realistica, che giunse fino a Mattia Preti, mentre il decorativismo romano alla Coriona vi trovò splendidi sviluppi con Luca Giordano, che lasciò massimi capolavori in Spagna. Firenze è ricettiva: ma vanta almeno il merito d'aver commissionato gli affreschi del Cortona a Palazzo Pitti, quelli di Luca Giordano nella Galleria di Palazzo Medici Riccardi, e successivamente quelli del veneziano Sebastiano Ric­ci in Palazzo Marucelli, ora sede del Magistero. Per la scultura, si vada invece a Livorno, per ammirare gli schiavi del Tacca, o a Piacenza, di fronte ai due monumenti equestri farnesi del Mochi, scenograficamente collocati di fronte al medievale Bro­letto, uno dei più fastosi d'Italia, e successivamente nella Cap­pella Massonica dei Sansevero a Napoli, e negli oratori paler­mitani decorati da stucchi ad altorilievo, del Serpotta, con ele­ganza degna della più raffinata Parigi.

 

Rococò e neoclassicismo

 

Schemi apparentemente semplici, come le facciate di una chiesa o di un palazzo non rettilinee, ma composte di curve anche con­trarie, cioè concave e convesse, impiegarono quasi un secolo a diffondersi e a venire accettati, suscitando polemiche. I primi esempi romani del Borromini (S. Agnese a Piazza Navona, S. Ivo alla Sapienza, S. Carlino) e di Pietro da Cortona (SS. Lu­ca e Martina, Piazzetta della Pace) vennero ripresi, in questa città, solo nella seconda metà del secolo, ad esempio in S. Mar­cello al Corso, nella chiesa della Maddalena, in S. Croce in Gerusalemme, e devono attendere, per applicarsi a spazi aperti . , il distrutto porto di Ripetta dello Specchi, la scalinata di Piazza di Spagna, mancante delle previste statue, di Francesco De Sanctis (1723‑26), la scenografia di rocce della Fontana di Trevi. Si diffondono saltuariamente, in Piemonte, con Palazzo Cari­gnano, costruzioni religiose dell'Alfieri e molti edifici in centri minori, mentre le cupole del Guarini ricompaiono, in scala ridotta, ma in abili contesti, nel Vitione (di questo si visiti al­meno il Santuario del Vallinotto, presso Carignano). Ricchezza ornamentale, più che articolazione, diventano linguaggio comune a Napoli, capitale ricchiss!Ma d'arte, e nel Sud dell'Italia.

Un'altra zona dove si afferma una libertà di progetto, è la Sici­lia orientale, nell'ambito dell'ampia ricostruzione conseguente al terremoto del 1693. Forme coraggiose si trovano anche nelle minori Noto, Modica, Vittoria, Scieli, oltre che in numerose chiese di Catania, capitale artistica della zona, con Siracusa e Ragusa. In Puglia la decorazione resta per lo più in superficie, come a Napoli, ma è vistosissima, e ha capacità di creare un vivace contesto urbano, come nella splendida Martina Franca e nella Piazza del Duomo di Lecce. All'interno dei palazzi assu­me, ovunque, una funzione primaria lo scalone, che per consen­tire comodità di ascesa si fa lunghissimo, scenograficamente ampio, tanto da occupare l'intera facciata. Celeberrimo è quello di Palazzo Madama a Torino, e l'altro, al centro di un siste­ma di cortili, della Reggia di Caserta, rispettivamente dovuti a Juvarra e a Vanvitelli: ma non secondari sono quelli di vari palazzi emiliani, specialmente a Bologna, spesso sormontati da cupole traforate. Altri splendidi scaloni sono quello, attribuito al Vanvitelli, della Certosa di Padula, sospeso entro un cilindro traforato, o quello quasi regale del Convento dei Benedettini di Catania.

Per ciò che concerne le decorazioni pittoriche, nel '700 primeg­giano i Napoletani, con il Solimena, il De Mura, e i Veneziani, fra cui il Tiepolo, autore di soffitti anche profani, a Palazzo Labia a Venezia, nella Villa Valmarana di Vicenza, alla Villa Pisani di Stra, a Palazzo Clerici a Milano, e capace di dare una verve non religiosa alle storie bibliche che decorano il Palazzo arcivescovile di Udine (la cui autorità si estendeva anche al di là delle Alpi, e questo spiega tanta magnificenza). Fastosi interni di chiese si hanno a Roma (Madonna dell'Orto, Chiesa della Maddalena) e a Napoli. Ornati in legno su specchi, pari ai migliori esempi francesi e bavaresi, si trovano nel Palazzo Reale, in Palazzo Carignano, negli appartamenti del pianterreno, e specialmente nei locali dell'Accademia Filarmonica in Piazza S. Carlo a Torino; certi loro motivi curvilinei sembrano antici­pati dalle tarsie marmoree di Napoli, della scuola di Cosimo Fanzago. Innumeri, ormai, i teatri, fra i quali ricordiamo per la sua insolita funzione di aula di conferenze, quello accademico di Mantova.

Il '700 ama porre costruzioni sull'alto di colli: è un tema antici­pato splendidamente dalla Certosa di S. Martino, a Napoli, e che dà luogo, fra l'altro, oltre all'isolata Superga, che domina Torino, al rifacimento del Santuario della Beata Vergine di S. Luca, sopra Bologna, cui si accede lungo una chilometrica rampa coperta che si conclude, in città, con una trionfale loggia delle benedizioni. Come esempio di giardino all'italiana, invece, scegliamo in Lucchesia quelli di Villa Marlia Fragale di Villa Garzoni, a Collodi, la patria di Pinocchio.

li neoclassicismo architettonico, in Italia, ha una dignità straor­dinaria; inoltre il suo impegno urbanistico è talmente ambizioso che bisogna andare a Leningrado (opera prevalentemente di italiani) per trovare qualcosa di più. Primeggia, a Milano, il progetto per il Foro Bonaparte, di G. Antolini, del 1800, attorno al Castello Sforzesco, cui seguì quello del Canonica (1803): ven­nero però realizzati solo l'Arco del Sempione e l'Arena, insieme alla sistemazione monumentale delle porte della città, trasfor­mate in barriere doganali (Milano, come capitale, ebbe nel Pa­lazzo Reale, gravemente danneggiato dalla guerra, in quello di Monza e nella Villa Belgioioso, oggi Reale, e in vari palazzi ricchi anche pitture murali e stucchi per lo più di soggetto mitologico). Anche più unitario l'aspetto acquistato da Trieste (città teresiana, ecc.). Scenografiche piazze vennero costruite a Roma (Piazza del Popolo, Piazza del Valadier), a Napoli (con S. Francesco da Paola), a Torino (Piazza Vittorio Emanuele, Ponte sul Po e Chiesa della Gran Madre di Dio). Ma alcuni dei capolavori neoclassici hanno carattere funzionale, come il Ci­sternone e il Cisternino del Poccianti, a Livorno; l'acquedotto e le canalizzazioni di prese di Lucca; la Specola a Marlia, sopra la città, di L. Nottolini; il Macello e il Caffè Pedrocchi, a Pa­dova, di G. Jappelli; la Dogana a Venezia di G. A. Pigazzi e il Coffe‑house di L. Santi; il Museo Chiaramonti in Vaticano, di R. Stern; lo straordinario campanile cilindrico, con cupoletta retta da cariatidi di L. Cagnola a Urgnano; il Cimitero di Sta­glieno, di C. Barabino e G. B. Resasco; il Ginnasio dell'Orto Botanico di Palermo di L. Dulourny e lo spettacolare Sferi­sterio di Macerata, di I. Aleandri. Canova, il massimo scultore della prima metà del secolo, eresse a Possagno un tempio votivo in severo stile dorico, ma lasciò anche, nella Gipsoteca, una testimonianza non solo monumentale, ma intima ed emotiva, coi suoi bozzetti, ora raccolti in uno splendido museo moderno alle­stito da Carlo Scarpa.

Abbiamo indugiato sull'elenco di questi finissimi edifici (cui van­no aggiunti memorabili teatri, dalla Scala originariamente deco­rata in azzurro alla Fenice di Venezia, al S. Carlo di Napoli), in quanto è l'ultimo stile originato ‑ non totalmente ma in gran parte ‑ in Italia, mentre l'eclettismo borghese si ispira alle gran­di capitali europee.

 

Dall'industria alle avanguardie

 

L'Italia possiede testimonianze tardive, ma di altissima qualità, della rivoluzione industriale, cioè stabilimenti, spesso dovuti a tecnici stranieri, visualizzati da architetti che tentano l'innesto delle nuove strutture metalliche e in cemento sul passato, usan­do elementi decorativi neoromanici, neogotici e a volta neo-in­dustriali. Tale simbiosi avvenne dovunque, ma da noi la tradi­zione mostrò una speciale capacità di rivitalizzarsi. Inoltre, sebbe­ne quasi tutti i ponti in ferro ottocenteschi siano stati sostituiti (una delle poche reliquie accessibili, però con le catene sostituite in ferro, è quello di Fornoli sul torrente Lima nell'Appennino lucchese, opera della ditta Séguin, compiuto nel 1860), l'elegan­tissimo ponte ferroviario, fortunatamente superstite, sull'Adda, il tracciato ferroviario della Porrettana (aperta nel 1864), quello lungo la costa ligure, con le numerosissime gallerie aventi anche funzioni militari, e specialmente i trafori, già celeberrimi, delle Alpi, continuano a dare un'idea delle difficoltà genialmente su­perate dai nostri tecnici, a causa di una orografia fra le più impervie d'Europa (e un suggestivo monumento, in Piazza Sta­tuto a Torino, celebra tali vittorie). Se si estende però il con­cetto di tecnologia, troviamo, per opera dell'Antonelli, a Torino e a Novara, due delle più audaci costruzioni in muratura di tutta la civiltà umana; la visita delle loro guglie, salendo fra l'inter­capedine esterna e il guscio interno, è entusiasmante quanto la salita sulla Torre Eifiel: anzi, la tensione cui sono sottoposti i materiali tradizionali, il confluire di idee derivate dalle cupole di S. Maria del Fiore e di S. Pietro con quelle delle scuole fran­cesi, dà esiti ben più visionari che l'unico edificio costruito dal Piranesi, la chiesa con piazza per l'Ordine di Malta a Roma.

Sui confini, specialmente al termine delle valli piemontesi di accesso alla Francia, ai confini con l'Austria nel Trentino e nel Veneto, vennero costruite imponenti fortezze, che suscitano or­mai largo interesse fra studiosi e visitatori. Una cerchia di forti, dopo l'unità d'Italia, venne costruita anche attorno a Roma, e si pensa di renderli ora accessibili, trasformandoli in parchi pub­blici. L'uso del cemento armato ha il suo trionfo, a Roma, in un ponte (detto del Risorgimento) per l'Esposizione del 1911, a un solo arco di 100 m di luce, su progetto di F. Rennebique.

L'art nouveau, detto stile liberty in Italia, è stato oggetto, re­centemente, di una larga rivalutazione a Torino, Milano, in Emilia, in Toscana, a Napoli, a Palermo: si vedano nelle cartine qui inserite i relativi riferimenti.

L'Italia conserva anche importanti testimonianze delle avanguar­die architettoniche del nostro secolo; d'altronde il futurismo, che fu di nuovo un movimento culturale di ampia diffusione (fino in Russia e negli Stati Uniti) riflette la situazione industriale e politica di città come Milano. I disegni di Sant'Elia, abbastanza affini a opere realizzate, come la Centrale elettrica a Trezzo sull'Adda, sono così esposti a Como, a Villa Olmo, e in quella città si conservano i capolavori di Giuseppe Terragni: il palazzo di appartamenti Novocomun, distinguibile per l'inserzione entro l'angolo di un corpo scale cilindrico di vetro, l'ex Casa del Fascio, lucidamente costruita con alternanze di vuoti, pieni e ballatoi rientranti, finestre orizzontali e verticali, l'Asilo infantile, in periferia, con aule completamente aperte da vetrate su un cortile interno. Passando per Seveso, invece, Terragni sorprende per la compattezza geometrica della Villa Bianca.

Sempre nell'Italia settentrionale, il complesso Olivetti a Ivrea include, oltre la fabbrica (del 1934), ridenti abitazioni e un Nido d'infanzia del 1939, di Luigi Figini e Gino Pollini. Ad Alessandria il Dispensario antitubercolare di Ignazio Gardella ha una facciata a motivi geometrici ripetuti a fasce, in mattoni e in vetro. A Torino va ricordato almeno il palazzo per uffici Gualino, il famoso mecenate della musica e del teatro d'avanguardia. Firenze vanta, ancora indenne nonostante alcune modifiche interne, la prima stazione ferroviaria in Italia e forse in Europa di tipo moderno, di Michelucci, che invece, nella Chiesa dell'Autostrada del Sole ispirata a una tenda, più recentemente ha creato un capolavoro romantico ed espressionistico. A Roma sono notevoli tre complessi, dove si avverte ancora meglio lo scontro fra avanguardia, tradizione e classicismo di bassa lega politica: l'Eur, scenograficamente impiantata, arricchitasi di uf­fici ministeriali e direzionali, la poco funzionale Città Universi­taria e il complesso sportivo della Farnesina. A Napoli merita una visita l'imponente gruppo di edifici permanenti della Fiera d'Oltremare, che include splendide serre.

 


L'Italia oggi

 

Mentre l'800 ha decisamente improntato le nostre città, fornen­dole dei decorosi arredi urbani (lampioni, insegne, giardini e aiuole) e di sculture all'aperto di un numero e di una qualità che nessun'altra nazione al mondo può vantare, il nostro secolo non è riuscito a controllare esteticamente Vàmpliarsi delle zone edificate, cosicché troviamo squallide periferie anche là dove le singole abitazioni sono pretenziose e talvolta di buon disegno. I fondi destinati alle arti solo poche volte hanno procurato dei manufatti notevoli; piace ad ogni modo constatare che almeno due capolavori sono rappresentati da monumenti alla Resisten­za: quello alle Fosse Ardeatine di Roma (l'impressionante cripta rettangolare di cemento del Mausoleo, progettato nel 1945 da N . Aprile, C. Calcaprina, A. Cardelli, M. Fiorentino e G. Perugini, è preceduta da un cancello espressionistico di Mirko Basaldella), e quello di Cuneo, opera, quest'ultima, di Umberto Mastroianni. In rari casi, come nella nuova sistemazione del monu­mento a Mazzini in Piazza della Repubblica a Milano, ad opera di Pietro Cascella, la scultura diviene percorso, campo di gioco. E così è avvenuto in Sardegna, per opera di Giò Pomodoro, nella piazza di Ales, luogo natale di Gramsci. Ma poco si è rea­lizzato in tal senso, e paradossalmente, pochissime fontane, men­tre negli Stati Uniti queste, insieme alle nuove piazze, sono dive­nute un fondamentale fuoco sociale. Poverissimi, anche, gli espe­rimenti di nuovi giardini urbani ed extraurbani. Invece, per meri­to di una iniziativa dell' Italsider, a dimostrazione di quanto pos­sa essere fertile il contatto fra ambiente antico e arte contempo­ranea, la città medievale di Spoleto si è dotata di opere di mae­stri internazionali, come un gigantesco stabile di Calder, di fronte alla Stazione, e una cupola‑teatro di Buckminster Fuller. Quasi nulli gli esperimenti di pittura murale, a carattere uffi­ciale; numerose esperienze, in grandi città e in Emilia‑Romagna, di affreschi spontanei, ispirati a quelli messicani; inoltre, attorno alle sedi universitarie e alle aziende in sciopero si può leggere ogni giorno una larga collezione di scritte (interessanti anche linguisticamente, per un ritorno a forme rimate e che sono, per molti versi, una eccezionale testimonianza di poesia visiva). In­fine, gli iniziati di Roma, che sanno consultare le liste di spetta­coli date dal maggior giornale serale della città, possono fruire della più qualificata produzione di spettacoli teatrali d’avan­guardia, ispirati alle correnti recenti visive, come la body‑art (arte del corpo), l'arte concettuale, il neodadaismo, specialmente in santuari come il Teatro Beat 72, ma anche in gallerie d’arte. Riguardo a queste ultime, esse sono concentrate unicamente a Milano, Torino e Roma, benché 'un'attività qualificata abbia luogo anche a Genova, Venezia (in coincidenza con le grandi mostre e festival), Firenze e Napoli. Un vero e proprio decen­tramento culturale, cioè la capacità di produrre idee figurative anche in città minori e appartate, è auspicabile, ma forse irrea­lizzabile. Tanto più necessario, quindi, non lasciarsi sfuggire occasioni irripetibili d’informazione sulla scena contemporanea, come le Biennali veneziane, la Quadriennale di Roma, la Triennale di Milano (internazionali le prime, destinata all'architettura e al disegno industriale l'ultima), e come le mostre, a volte ottime, che si svolgono, qua e là, in occasione della stagione turi­stica. Queste esperienze sono, ripeto, obbligatorie in quanto i musei svolgono un'attività didattica insufficiente: ma non si tralasci assolutamente di visitare le Gallerie d'Arte Contempo­ranea di Roma, di Torino (a Milano un'attività è stata iniziata dal Museo del Castello), di Ferrara, e l'Istituto di Storia dell'Arte di Parma.

Il nostro Paese possiede alcuni dei più bei musei moderni d'Eu­ropa (mentre è povero di opere d'arte contemporanea a livello mondiale). Ci limitiamo a segnalare quelli che costituiscono de­gli autentici modelli: intanto, a Genova, le due pinacoteche di Palazzo Bianco e di Palazzo Rosso e, scavato nel sottosuolo della Cattedrale, il gruppo di vani cilindrici e poligonali dei Tesoro, tutti e tre opera di Franco Albini. Sono in rifacimento, a Milano, con soluzioni sempre altamente qualificate, la Pina­coteca del Castello e altre sezioni; semplice ed elegante è l'ala aggiunta della Galleria d'Arte Moderna. Nel Veneto si è piace­volmente sorpresi dall'aggressività della sistemazione di alcune sale del Castello di Verona, o dalla splendida luce filtrata che esalta i bozzetti del Canova e i suoi gessi a Possagno. Fra i musei archeologici vanno segnalati, per modernità di imposta­zione, quello di Valle Giulia a Roma, e il Museo di Taranto.

L'Italia che ci è stata consegnata è un tessuto complesso e fra­gile: per conservarla, assai più che l'imbalsamazione, serve una capacità di intervento creativo ad altissima qualità. Ma perché questo sia possibile è necessario che chi opera, e il pubblico che riceve, abbiano rispetto per l'antico, piacere per il nuovo e ambizione, virtù o vizio che, nel passato, rese il nostro Paese, per molti versi, unico al mondo.

 

In: Guida Artistica d’Italia, Mondadori, Milano, 1978, volume 1, pp. 10-28

Per le illustrazioni si rimanda all’opera originale.