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“ SE TU NON HAI CARITA’, TU NON SEI VERO CRISTIANO “

 

 di Ercolina Milanesi

 

 

FRA’ GIROLAMO SAVONAROLA, nacque da una famiglia ferrarese il 21 settembre 1452, originaria di Padova, condusse fino all’età di 18 anni circa, studi disparati di medicina, filosofia, musica e disegno. Con Platone e Aristotile studia anche Tommaso D’Aquino. Ben presto si manifesta in lui prepotente tendenza a giudicare le cose del mondo in base ad un giudizio religioso -moralistico che lo rende intransigente nel combattere il male e nel denunciare la corruzione. Nel 1474, per caso, in un viaggio verso Faenza, dopo aver ascoltato la predica di un frate agostiniano, maturò la sua vocazione di darsi alla vita monastica. Nel 1475 lasciata furtivamente Ferrara, si recò a Bologna dove vestì l’abito dell’Ordine Domenicano che, già dai  tempi di Dante, aveva fama di essere l’Ordine più combattivo. Fra le sue carte i familiari trovarono una canzone: “ DE RUINA MUNDI “, da lui composta nel 1472, in cui tracciava un orribile quadro dei mali del suo tempo. Nello stesso anno in cui entrò in convento scrisse un’altra canzone: “ DE RUINA ECCLESIAE “, in cui affermava che la Chiesa aveva abbandonato Roma dopo che l’ambizione e la concupiscenza degli occhi e della carne avevano contaminato ogni cosa.

Nel 1479 fu mandato all’Università di Ferrara per seguire studi teologici, dopo essere stato a Bologna  maestro dei novizi. Nel 1481 o 1482, durante la guerra degli Estensi con Venezia, passò a Firenze, nel convento di San Marco e qui cominciò a predicare. I fiorentini trovavano il suo linguaggio troppo duro e disadorno, il suo accento lombardo troppo spiccato ed il suo gestire troppo violento. La freddezza degli uditori gli fece male, ma riprese fiducia con la nuova lettura del Vecchio e Nuovo Testamento e dell’Apocalisse, in cui dimostrò giusta e necessaria la lotta contro il vizio e la corruzione. Nel 1485-86 andò a San Giminiano a predicare la Quaresima, alla presenza anche di Pico della Mirandola, suo caro amico, e proclamò le sue convinzioni profetiche, la visione di una felicità futura, dopo penitenza generale, una specie di UTOPISMO che poteva sembrare in contrasto con lo spirito terreno dell’UMANESIMO e del RINASCIMENTO. Nel 1490, richiamato da Lorenzo de Medici, riprese in San Marco la sua predicazione sull’Apocalisse. Ebbe notevole successo al punto che gli fu assegnato il pulpito di S: Maria del Fiore, chiesa molto più grande di San Marco, dalla quale, fino alla sua morte, parlò al popolo fiorentino. La sua oratoria trascinava l’uditorio, che scoppiava in lacrime con lui, che si turbava alle profezie di imminenti, terribili castighi divini. Compose il “TRACTATO DIVOTO E UTILE DELLA UMILTA’” e il “ TRACTATO DELLO AMORE DI JESU’ CRISTO” (1491-92), motivi essenziali della sua predicazione, che riprese più impetuosa nel 1493, dopo che egli aveva ottenuto da Alessandro VI° la separazione della Congregazione toscana dei Domenicani da quella lombarda. Si scagliò contro chi leggeva Aristotele, Virgilio, Ovidio, Cicerone, Dante e Petrarca e non il Vangelo e, soprattutto, contro il clero che non si curava più delle anime.

Fu, però, nel 1494 che la  sua predicazione colpì il popolo fiorentino, quando annunciò la venuta di un “Ciro“  che avrebbe punito l’Italia per la sua corruzione. Il vero aspetto della profezia della venuta di questo “CIRO”, nella persona di CARLO VIII°, si vide con la facilità con cui i signori italiani cedevano al nuovo sovrano che proclamava di riformare la chiesa. Poco dopo il re di Francia, giunto in Toscana, otteneva da PIERO DE MEDICI tutte le principali fortezze dello stato: Livorno, Pisa, Pietrasanta, Sarzana, ed il 9 novembre vi fu  la sollevazione di Firenze che abbatté la Signoria Medicea. Il Savonarola fu mandato come ambasciatore da Carlo VIII°, ma non ottenne nulla. Eppure il popolo fiorentino riteneva che egli solo avesse fatto cambiare al sovrano la volontà di restaurare PIERO DE MEDICI e che lo avesse indotto a lasciare, dopo una breve sosta, la città.

Dovendosi riformare la Costituzione, PAOLO ANTONIO SODERINI, che cercava di instaurare un regime sul tipo di quello veneto, ricorse al Savonarola  e, con il suo aiuto, riportò la vittoria. Instaurare, in Firenze, un regime più libero era sempre stato il desiderio del Savonarola, in perfetta armonia con le tendenze repubblicane, conducendo una tenace opposizione alla classe dirigente. Il “regime savonareliano“ rappresentò la rivincita dei ceti che in passato erano stati esclusi dal governo, ceti che univano esigenze democratiche alla riforma del clero.

All’inizio del 1495 il frate riuscì a fare approvare una legge in base alla quale a tutti coloro che fossero stati condannati per delitti contro lo stato fosse concesso di appellarsi al Consiglio Grande. Il credito e la reputazione del Savonarola ne uscirono molto accresciuti. Ma, quando nell’ottobre Piero De Medici fece un altro tentativo di rientrare in Firenze, allora egli propose la pena di morte per chi volesse restaurare la “tirannide“.

Nel maggio del 1496 vi fu un forte contrasto con ALESSANDRO VI° che gli proibì di predicare e lo scomunicò, ma il frate continuò la sua violenta condanna dei vizi del clero, dal pulpito.

Ma i suoi avversari i PALLESCHI o BIGI, seguaci dei Medici, e gli ARRABBIATI, i nobili, fecero di tutto per renderlo ostile al popolo. A poco a poco, i suoi fautori i “ PIAGNONI “ perdettero terreno, lasciando deluso il popolo. Fu arrestato e dopo tre processi venne impiccato e poi arso il 23 maggio 1498.

Passarono molti anni prima che, grazie ad alcuni suoi discepoli, il frate domenicano venisse riabilitato.

Ancora oggi a Firenze, nell’anniversario del martirio sul rogo di FRA’ GIROLAMO SAVONAROLA  vengono sparsi fiori sul luogo in cui morì !

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ERCOLINA MILANESI è collaboratrice del "Il Giornale d'Italia" per filosofia e teologia,  e politica. Scrive anche sul "Popolo d'Italia", "L'altra voce", "Libero" e altri giornali su argomenti diversi, compreso storia antica. “La mia passione è scrivere, ed ho l'ardore di una ventenne”. 

 

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