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Letteratura
spagnola del Novecento
il dibattito sulla
passata grandezza dellla Spagna, e le tendenze politiche del Novecento
E' passata alla storia come la "generazione del '98", è stata commemorata nel '99, ma in realtà, passate ormai le celebrazioni, si può forse ormai ricordare che dovrebbe essere tra 12 anni il vero punto di riferimento per l'ideale centenario.
E'
nel 1913, infatti, che lo scrittore Azorín, pseudonimo di José Martínez Ruiz,
rilancia dalle colonne del quotidiano madrileno Abc il famoso manifesto
in cui annuncia la nascita di un movimento di intellettuali, come si direbbe
oggi, "contro". Contro, in particolare, lo stereotipo "della
Spagna funebre, sottomessa ai piaceri degli spettacoli di crudeltà e di
morte". Non dice di essere lui, però, l'iniziatore della corrente. Al
contrario, sostiene, questa è già attiva da tempo, anche se non ha ancora un
nome. Ed è proprio per definirla che lancia lo slogan provocatorio di
"Generazione del '98", facendo una bandiera di quell'anno infausto in
cui la disastrosa guerra contro gli Stati Uniti ha scandito il collasso finale
per un Paese richiuso su sè stesso dall'ossessione cattolico-nazionalista nata
negli otto secoli di guerra di liberazione contro gli invasori islamici, e
cementata poi dai macabri fasti dell'Inquisizione. La flotta spagnola, mandata
al macello con la facile parola d'ordine della "superiore forza morale che
sola può dare la vittoria", aveva fatto allora da inerme tiro al bersaglio
contro navi che per la maggior gittata dei cannoni e la maggior blindatura
delle corazze erano praticamente invulnerabili. E Cuba, Porto Rico, Filippine,
ultimi resti dell'Impero di Carlo V, erano stati così liquidati il 10 dicembre
del 1898, con la pace di Parigi. E' proprio perchè quel trattato umiliante fu
firmato a fine anno, che si è deciso convenzionalmente di far datare l'inizio
del movimento al 1899.
"Bisogna
chiudere a doppia mandata la tomba del Cid!", aveva gridato con rabbia ai
suoi compatrioti lo scrittore Ganivet, che non Azorín ma la moderna critica
considera il primo dei noventayochistas o preocupados, come anche
furono definiti. "Per scoprire la verità non c'è miglior luce che quella
del tramonto", aveva scritto Miguel de Unamuno, che di quella leva resta
forse l'autore più importante. "Castilla miserable, ayer dominadora/
envuelta en sus andrajos desprecia cuanto ignira", aveva lamentato in
versi Antonio Machado. "Castiglia miserabile, ieri dominatrice/ avvolta
nei suoi stracci disprezza quanto ignora". "Sono membri di questa
generazione Valle-Inclán, Unamuno, Benavente, Baroja, Bueno, Maetzu, Rubén
Dario", scrisse Azorín nel suo manifesto. Togliendo il pioniere Ganivet,
Machado e se stesso, ma aggiungendo il nicaraguense cilenizzato-argentinizzato
Rubén Darío. Uniti dall'idea mistica di rinnovamento, gli "autori del
'98" non erano per la verità poi troppo concordi sulla direzione che
questa smania del nuovo avrebbe dovuto prendere. Se l'anarcoide Baroja
dichiarava guerra a "tutto ciò che esiste" e l'allora socialista
Unamuno ostentava il suo disgusto per le immagini abitualmente associate
all'idea di Spagna, lo stesso Azorín era invece attento verso il passato, e si
sarebbe in seguito schierato in campo conservatore. Mentre Darío passa dai
versi liberali e anticlericali della gioventù, a una mercata esaltazione della hispanidad
cattolica in chiave anti-Usa della maturità, fino a vageggiare una
riconciliazione tra Nord America yankee e Sud America latino alla
vigilia della prematura morte.
Ancora
più singolare appare il percorso del galiziano Ramón-María del Valle-Inclán,
autore di quel "Tiranno Banderas" che resta il prototipo di tutti i
romanzi ispanofoni sul problema della dittatura e del caudillismo. Cercando un
passato "alternativo", si imbatte infatti nelle radici celtiche della
sua regione d'origine, e ne rimane folgorato, elaborando un'estetica del
grottesco e dell'allegoria che sembra quasi voler riproporre le barocche
fantasie delle leggende gaeliche. Pure di radici celtiche, oltre che di modismi
latino-americani, è infarcito il linguaggio "nuovo" da lui proposto
come alternativa al classico castigliano letterario. Insomma, è il precursore
di certi motivi oggi volgarizzati e imbarbariti da quella corrente
ultra-localista che in Italia si è incarnata nel leghismo. Un po' tutti i noventayochistas,
d'altronde, vengono da aree periferiche: gli andalusi Machado e Ganivet, i
baschi Unamuno, Maetzu e Baroja, i valenzani Azorín e Gabriel Miro, per non
parlare del latino-americano Darío. Ma poichè questa generazione semina
paradossi praticamente a ogni passo, molti di loro preferiscono il centralismo
"castigliano" a un regionalismo che nelle sanguinose guerra civile
spagnole dell'800 è stato soprattutto difesa di particolarismi feudali contro
un liberalismo di marca giacobina. Sono stati i Paesi Baschi e la Catalogna le
principali roccaforti del carlismo, la corrente monarchica estremista contraria
ad ogni regime rappresentativo. E il nazionalismo basco moderno, quello che
sfocia infine nel marxismo nevrotico dell'Eta, nasce quando il carlista Sabino Arana
decide che ormai la Spagna nel suo insieme è perduta per la causa della
tradizione, e si butta nel localismo. Non a caso Unamuno, basco
"progressista", quando gli parlano della cultura di Euzkadi, ricorda
con sarcasmo i suoi nonni che dovevano parlare tra loro in spagnolo, perchè i
rispettivi dialetti erano tanto stretti da risultare mutuamente incomprensibili
a pochi chilometri dal villaggio di origine.
Ma
anche il liberalismo fallimentare della Spagna ottocentesca è messo dai noventayochistas
sul banco degli accusati. Come un'ideologia che invece di rinnovare lo Stato e
seminare iniziativa si è invece impantanata tra clientelismo elettorale e uno
sterile, truculento anti-clericalismo lasciato poi in eredità avvelenata alla
sinistra. In conclusione, la "Generazione del '98" resta un movimento
dai contorni sfuggenti. Di Valle-Inclán, oggi, si contesta spesso
l'appartenenza al "novantottismo", parlando piuttosto di un
pre-esistente modernismo annesso da Azorín armi e bagagli con un vero e proprio
colpo di mano. Ma si può parlare poi di "modernismo" per un autore
che sogna i druidi e si compiace spesso
di autentici delirii anti-industriali? Ramiro de Maetzu, basco, è considerato
un padre ideologico del falangismo. Miguel de Unamuno, anche lui basco, dopo essersi
scontrato con le autorità della repubblica, ne viene rimosso dal rettorato
dell'Università di Salamanca, in cui è poi reinsediato franchisti. Ma, alla
prima occasione, ha con loro uno scontro verbale talmente violento che ne muore
poco dopo di crepacuore. Fine donchisciottesca in fondo perfettamente adeguata
a quella "certa idea della Spagna" che lui aveva sempre contestato.
Così come in fondo anche il suo provocatorio slogan "¡Me duele
España", "mi fa male la Spagna", era in fondo perfettamente
adeguato al "senso tragico della vita" del Paese degli autodafé e
delle corride.
Alla
sinistra spagnola di oggi, comunque, la "generazione del 98" non
piace. "La maggior parte di loro hanno sostenuto idee anti-liberali,
reazionarie e scioviniste", ha scritto un editorialista di El País,
a mo' di epitaffio. In parte, questa posizione nasce dalla drastica stroncatura
di un poeta in esilio degli anni '50, Luis Cernuda. Anche perchè i grandi
autori che sono passati all'immaginario "progressista", i García
Lorca e Rafael Alberti, appartengono invece all'altra Generazione, "del
'27". Ma nella critica letteraria qui si mescola la polemica politica
spicciola, dal momento che alla "Generazione del '98" si è invece
ricollegato esplicitamente il Partito Popolare di José Aznar, con un'operazione
iniziata in sordina da qualche anno, e che ha visto proprio nel 1999 la grande
apoteosi. Sullo sfondo, c'è ovviamente la necessità di far dimenticare il
passato franchista di molti dirigenti, compreso lo stesso padre fondatore Fraga
Iribarne. Non solo perchè è imbarazzante, ma anche perchè a oltre vent’anni
dalla morte di Franco rappresenta ormai poco tutta la generazione che è venuta
alla politica dopo, e di cui il primo esponente è lo stesso Aznar. Molta acqua
è passata sotto i ponti dal momento in cui Fraga era ministro degli interni
della dittatura, e mandava in galera "comunisti" e "nemici
dell'unità nazionale". Ora, da presidente della regione autonoma
galiziana, non solo è diventato amico dell'oriundo gallego Fidel Castro e parla
in tv solo nella "lingua dei padri", ma ha addirittura cambiato tutta
la toponomastica. Perfino il capoluogo ha lasciato la denominazione castigliana
di La Coluña per quella vernacola di A Coluna. Comunque, anche il franchismo
era stato una realtà in continua evoluzione, dall'originario richiamo alla
tradizione assolutisma, al fuggevole omaggio alla moda fascista, fino alla
tecnocrazia del periodo finale. L'autoritarismo, unico punto fermo, non è
ovviamente più rivendicabile, in un quadro di pluralismo consolidato.
La
tradizione del liberismo economico, cui pure il centro-destra spagnolo fa
richiamo, non ha un grande passato in Spagna, dove il liberalismo fu
soprattutto laicismo. Ed anche il filone cristiano-sociale cui Aznar ha ora
ancorato il Pp in campo internazionale è per la Spagna una novità. Dalla
Germania prussiano-luterana, a Svizzera e Olanda calviniste, al Belgio massone,
all'Italia risorgimentale, ovunque in Europa le democrazie cristiane nacquero
nell'800 dove lo Stato era stato costruito spingendo i cattolici
all'opposizione. Dove i cattolici erano stati abituati ad avere lo Stato dalla
loro parte, come in Francia o nella Penisola Iberica, la tentazione del clero
era quella del rimpianto verso la passata alleanza tra Trono e Altare.
L'esperienza di un partito cattolico moderno e democratico, tentata da Gil
Robles negli anni '30, fu travolta dalla radicalizzazione che portò all'ultima
guerra civile, e durò troppo poco per lasciare radici profonde. Mentre l'idea
della "Generazione del '98" di "aprire" la Spagna al mondo
per riportarla alla grandezza del passato non è in fondo troppo distante dal
processo di inserimento europeo che portò Aznar a divenire l'interlocutore
privilegiato di Kohl in Europa, e la sponda della "locomotiva" tedesca
verso l'America Latina. E qui, anzi, il '98 resta un anno emblematico per la
nuova proiezione della Spagna oltremare. Paradossalmente, è infatti proprio la
perdita delle ultime colonie a rimuovere definitivamente il contenzioso tra la
madrepatria e un'America Latina che riscopre le proprie radici proprio mentre
assiste all'irrompere sulla scena del nuovo prepotente colosso statunitense. In
questo senso, l'annessione apparentemente arbitraria di Rubén Dario alla
"Generazione del '98" corrisponde in realtà a una verità più
profonda. E' Dario, infatti, a contrapporre la cultura ispanica al
"materialismo" anglo-sassone. Ma d'altra parte è sempre Dario il
tramite per cui le influenze modernizzanti francesi, già presenti in America
Latina, irrompono in Spagna, nel momento in cui la sconfitta militare fa cadere
finalmente le barriere.
In
un certo modo, è un'impresa più facile di quella che Fini ha dovuto affrontare
in Italia per riqualificare Alleanza Nazionale. Anche perchè la sinistra
spagnola, nel disdegno con cui ha abbandonato anche il libertario Baroja e
l'antifranchista Unamuno, ha dimostrato di aver sgombrato il campo alla
rivendicazione di Aznar.
Maurizio Stefanini.
Romano, 39 anni, laureato in Scienze Politiche alla Luiss, giornalista
professionista. Collabora con diversi quotidiani e riviste a carattere
nazionale. Ha appena pubblicato, assieme a Giovanni Negri, I Senzapatria.
Avanti rispetto alla politica, indifferenti alla cosa pubblica, stanchi di un
Paese che non funziona. Il romanzo degli italiani fai-da-te per le Edizioni
Ponte alle Grazie. Altri suoi libri: Struttura e organizzazione del Primo
Gruppo Divisioni Alpine, Fidel Castro, Cinque secoli di storia di Timor Est.