ALGERIA: I rapporti convulsi con gli Stati uniti
di William B. Quandt*
Chi si sarebbe immaginato solo qualche anno fa, che il comandante della VI flotta americana avrebbe potuto un giorno recarsi in visita ufficiale ad Algeri? O che il presidente Abdelaziz Bouteflika avrebbe potuto essere ricevuto da George W. Bush nel suo studio ovale due volte in un anno? Possiamo ritenere che gli Stati uniti e l'Algeria stiano creando quel «partenariato strategico» tante volte evocato dal capo di stato algerino?
In Francia qualcuno sospetta da molto tempo che Washington voglia assumere un ruolo di primo piano ad Algeri. È tuttavia ancora presto per potere affermare che la capitale americana è sul punto di togliere a Parigi il suo ruolo di partner privilegiato dell'Algeria. Le sue relazioni con Washington sono sempre state problematiche, e anche se la situazione attuale è favorevole, sul buon rapporto tra i due paesi sussistono ancora molti ostacoli. L'Egitto e l'Arabia saudita, per non parlare di Israele, conservano sempre molta influenza negli ambienti ufficiali di Washington. La storia delle relazioni algerino-americane è fatta di scambi permanenti ma spesso difficili, inframmezzati da crisi. E nulla lascia prevedere un miglioramento significativo nel prossimo futuro.
Gli algerini ricordano con piacere che nel 1957 John F. Kennedy, all'epoca ancora senatore, si era pronunciato in favore dell'indipendenza dell'Algeria. Poco dopo gli accordi di Evian, Ahmed Ben Bella sarà ricevuto da Kennedy alla Casa bianca. Ma per Washington l'aspetto simbolico di quella visita sarà presto oscurato dal viaggio di Ben Bella all'Avana, subito prima della crisi dei missili sovietici dell'ottobre 1962. Per molti americani, le opinioni politiche del primo presidente dell'Algeria indipendente non erano molto diverse da quelle di Fidel Castro. In ogni caso, dopo l'assassinio di Kennedy, nel novembre 1963, nessuno nell'amministrazione americana sarà disposto a sostenere Ben Bella. Quando quest'ultimo verrà eliminato da un colpo di stato nel 1965, non saranno in molti a Washington a provare dispiacere.
Il ruolo delle compagnie petrolifere Il suo successore Houari Boumedienne ha rappresentato per gli Stati uniti un problema completamente diverso. Fervente sostenitore del «terzomondismo», molto critico nei confronti della politica americana in Vietnam e in Medioriente, è comunque un uomo pragmatico che vuole sviluppare scambi economici con l'America. Ma indipendentemente dalle speranze di migliorare le relazioni bilaterali, queste vengono completamente distrutte nel 1967 con la guerra dei sei giorni tra Israele e i paesi arabi. L'Algeria rompe le relazioni diplomatiche con Washington.
Tuttavia, rimangono importanti legami economici, in particolare attraverso la società El Paso, che 
Bush e Bouteflika nel 2001.
svolgerà un ruolo importate nell'esportazione del  gas algerino. E Boumedienne, attraverso un uomo d'affari, Rashid Zeghar, continuerà a mantenere rapporti discreti con gli americani.
Dopo la sua morte prematura, alla fine del 1978, le relazioni tra i due paesi migliorano decisamente e a Washington si comincia a sperare che, con la presidenza di Chadli Bendjedid, la liberalizzazione dell'Algeria permetterà un riavvicinamento. Algeri svolge un ruolo molto utile nella liberazione degli ostaggi detenuti dagli studenti di Tehran nel 1980, ma tutto ciò non sembra avere molto peso agli occhi della nuova amministrazione del presidente Ronald Reagan, che preferirà privilegiare le relazioni con il Marocco. Alla fine degli anni '80, l'Algeria è in preda a un cambiamento tumultuoso. Gli Stati uniti osservano con curiosità l'incerto cammino dell'Algeria verso la democrazia e l'affermazione del movimento islamico, ma non ci sono prove convincenti di un qualche coinvolgimento americano negli avvenimenti che sconvolgono il paese tra il 1988 e il 1992.
L'annullamento del secondo turno delle elezioni legislative, nel gennaio 1992, pone un dilemma per gli Stati uniti. Se questa misura non si può certo definire democratica, il probabile vincitore delle elezioni, il Fronte islamico di salvezza (Fis), professa un antiamericanismo violento dopo la guerra del Golfo nel 1991. Tuttavia in quell'epoca alcuni responsabili a Washington sono convinti che prima o poi il Fis arriverà al potere e che quindi bisogna mantenere i contatti con questa formazione, anche dopo che è stata dichiarata fuorilegge.
Per costoro occorre tenere presente la lezione della rivoluzione iraniana e mantenere il contatto con un movimento di opposizione che un giorno potrebbe arrivare al potere. Così durante il periodo 1992-1995, gli Stati uniti mantengono un comportamento piuttosto distante nei confronti del governo di Algeri, incontrando di tanto in tanto con grande discrezione i dirigenti del Fis in Europa o negli Stati uniti. Washington sostiene ufficialmente il piano di pace di Sant'Egidio che, reso pubblico all'inizio del 1995, chiede la riconciliazione tra il governo e il Fis.
Alla fine del 1995 tuttavia la politica americana comincia a cambiare.
Dopo l'elezione di Liamine Zeroual alla presidenza, il Dipartimento di stato decide di riprendere i contatti con i dirigenti di Algeri.
Dopo che per molti anni ci sono state pochissime riunioni ad alto livello, a poco a poco le cose cominciano a cambiare. Il nuovo presidente si rivela però un riformatore troppo timido e gli interlocutori americani se ne ritornano a casa a mani vuote.
L'Algeria degli anni '90 offre al mondo esterno un'immagine contraddittoria e difficilmente interpretabile. Da un lato i frutti dello sforzo di democratizzazione - una stampa relativamente libera, una pluralità di partiti, un vero dibattito elettorale e le premesse di riforme economiche. Dall'altro un altissimo livello di violenza che il governo non può o non vuole contenere. E gli stessi responsabili americani sostenitori di uno sviluppo delle relazioni con il governo algerino ammettono che il carattere civile di questo paese è solo una facciata dietro alla quale si nasconde il vero titolare del potere, lo stato maggiore, i cui contatti con gli Stati uniti sono rari.
Uno dei tratti caratteristici di queste relazioni bilaterali è l'attività delle Ong in Algeria. Human Rights Watch e Amnesty International si impegnano a osservare da vicino la situazione nel paese e a denunciare le violazioni dei diritti dell'uomo. Inoltre il National Democratic Institute cerca di stimolare la democratizzazione creando dei legami con i giornalisti indipendenti e, dopo le elezioni del 1997, con alcuni deputati dell'assemblea nazionale. Queste modeste aperture, anche se non comportano certo grandi cambiamenti, aumentano l'impegno americano ed esercitano una certa pressione sul regime sulle questioni che preoccupano i media e l'opinione pubblica.
Il cambiamento più importante nelle relazioni bilaterali si verificherà nella primavera 1999, con l'elezione alla presidenza di Abdelaziz Bouteflika. Anche se le elezioni si rivelano una farsa, l'Algeria ha comunque per presidente un vero uomo di stato, che si esprime con facilità in inglese ed è attento a stringere rapporti con il mondo esterno.
Il nuovo presidente non è sconosciuto a Washington, poiché è stato ministro degli Esteri ai tempi di Boumedienne, tra il 1963 e il 1978.
Durante quel periodo erano in pochi a Washington a vederlo con favore, poiché era considerato aggressivo, arrogante e più in generale ostile nel confronti degli Stati uniti. Ma i tempi cambiano e Bouteflika, in quanto presidente, beneficia del sostegno dei dirigenti arabi moderati che lo presentano come un leader ragionevole. Durante i funerali di Hassan II a Rabat, il 25 luglio 1999, un breve incontro non ufficiale ha luogo con il presidente Clinton, che ne rimane favorevolmente impressionato. È in quell'occasione che il presidente algerino stringe la mano del nuovo primo ministro israeliano Ehud Barak, un fatto che, per alcuni americani, rappresenta un'evidente dimostrazione di buona volontà.
Il presidente Clinton tuttavia deluderà profondamente i dirigenti algerini, poiché non inviterà mai Bouteflika a Washington. Così, quando la nuova amministrazione di George W. Bush sale al potere nel gennaio 2001, l'Algeria vuole far dimenticare la cattiva accoglienza dimostrata, riattualizzando la sua proposta di «partenariato strategico».
In effetti Bouteflika incontrerà Bush due volte, nel luglio e nel dicembre 2001.
Il petrolio e la «guerra contro il terrorismo» sono le due chiavi di questo cambiamento di strategia. Bisogna pensare ai legami che il presidente Bush mantiene con le compagnie petrolifere dai tempi in cui era governatore del Texas. Una di queste società, l'Andarko, con sede a Houston, ha investito molto in Algeria, dove ha scoperto nuove riserve - dodici giacimenti dal 1991, secondo l'ultimo bilancio pubblicato, per un totale di 2,8 miliardi di barili. La produzione è cominciata nel 1998 e potrà arrivare a 500.000 barili al giorno all'inizio del 2003. Si tratta indubbiamente di cifre modeste se confrontate con la produzione dei paesi del Golfo, ma per un petroliere indipendente americano è comunque un volume di attività non trascurabile.
La questione del Sahara occidentale Anche la «guerra contro il terrorismo» ha un ruolo importante nel miglioramento attuale delle relazioni. Subito dopo l'11 settembre Bouteflika, come molti altri capi di stato, ha offerto la sua collaborazione.
In cambio ovviamente spera che gli Stati uniti riconosceranno il carattere comune della battaglia di Algeri contro gli integralisti islamici e di quella di Washington contro al Qaeda. È molto tempo che le autorità algerine evocano l'esistenza di un legame tra gli «arabi dell'Afghanistan» e le loro reti terroristiche. Ma anche se i due governi sono sulla stessa lunghezza d'onda, non sembra che ci sia stata finora alcuna collaborazione effettiva tra i due paesi in questo campo.
Non bisogna però trascurare gli ostacoli che si contrappongono al pieno sviluppo delle relazioni tra i due paesi, in primo luogo il conflitto israelo-palestinese. Per gli algerini, infatti, è impossibile sentirsi a proprio agio con un governo americano che sembra voler dare carta bianca ad Ariel Sharon. Il secondo ostacolo è la questione, sempre in sospeso, del Sahara occidentale, con Washington che appoggia apertamente il Marocco.
In terzo luogo c'è l'evidente deficit democratico dell'Algeria, il mancato rispetto dei diritti umani, la presenza di pratiche elettorali dubbie. Non dimentichiamo inoltre che la Francia, l'Egitto, la Tunisia o il Marocco non farebbero certo salti di gioia nell'assistere a un avvicinamento tra Algeri e Washington. E ognuno di questi paesi influisce sulla politica estera degli Stati uniti. Nessuno ha interesse che un eventuale avvicinamento strategico con l'Algeria possa nuocere a queste relazioni.
Non esiste infine alcuna base sociale sulla quale fondare dei solidi rapporti tra i due paesi: sono pochi gli americani - uomini d'affari, turisti, studenti, giornalisti o funzionari pubblici - che si recano in Algeria, e relativamente pochi sono gli algerini che vanno negli Stati uniti.
Così i due governi, anche se riescono a mantenere relazioni normali, difficilmente potranno sviluppare legami profondi tra i loro popoli.
I rapporti tra Washington e Algeri rimangono quindi legati alla buona volontà di pochi responsabili politici e di qualche dirigente petrolifero.
Il loro livello di interesse conosce alti e bassi e impedisce di andare oltre le semplici relazioni superficiali.
Se l'Algeria si avviasse in modo più chiaro sulla strada della democrazia, se l'economia fosse riformata nel senso voluto da Washington, se le violenze finissero e se i rapporti legati al petrolio e al gas si sviluppasse ulteriormente, le relazioni tra i due paesi potrebbero avere un futuro promettente. Ma i «se» sono ancora troppi.

note:
* Ex consigliere del presidente James Carter, professore presso l'Università della Virginia (Charlottesville), autore in particolare di The Algerian Crisis: Policy Option for the West, Carnegie Endowment for International Peace, Washington, 1996.

Fonti: Le Monde diplomatique/il manifesto