7 maggio 1995 - sul mensile di informazione della XI e XII Circoscrizione "Punto a Capo" esce l'articolo:
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"Villaggio Giuliano"
il Quartiere Giuliano-Dalmata di Roma
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 Come hanno insegnato gli storici francesi degli Annales, la storia non è soltanto quella delle grandi battaglie, dei grandi rivolgimenti, e forse per capire il divenire umano è più utile studiare i microcosmi, la vita quotidiana della gente, le loro credenze ecc. 

Questa premessa perchè ho in animo di parlarvi brevemente di una parte della nostra Circoscrizione, ovvero del quartiere Giuliano-Dalmata, da noi più conosciuto come il "Villaggio Giuliano", della sua storia e della gente che lo abita o che lo ha abitato. 

L'attuale Villaggio Giuliano deve il nome al fatto che nel dopo guerra ospitò i profughi della Venezia Giulia e della Dalmazia scacciativi dalla pulizia etnica dell'allora Federazione Jugoslava del comunista Tito. 

Il comprensorio però era pre-esistente ed anche se sorto da poco aveva già una sua storia. L'iscrizione originaria posta sul frontone dell'entrata, di puro stampo mussoliniano, recitava: 

ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI ROMA - VILLAGGIO OPERAIO

La funzione del villaggio era quello di dormitorio per gli operai senza famiglia che stavano edificando le monumentali opere per la Esposizione Universale del '42, che per Mussolini doveva servire da vetrina internazionale ed illustrazione de "le magnifiche sorti e progressive" del regime fascista. 

La costruzione del Villaggio Operaio fu deliberata il 26 giugno 1938 con uno stanziamento di lire 2.800.000, previo un contributo di un milione di lire da parte del Ministero della Cultura Popolare. La superficie del comprensorio era di 47 mila mq di cui 11 coperti e forniva 1.500 posti letto. La costruzione del villaggio fu affidata alla ditta del cav. Elia Federici il 30-6-38, il collaudo delle strutture avvenne il 26-1-1940; successivamente il 4 maggio dello stesso anno fu deliberata la costruzione di una chiesa per la cura delle anime degli operai. 

Naturalmente la guerra annullò l'Esposizione Universale, i lavori pertanto vennero interrotti, cosicchè quando nel dopoguerra si delineò l'esodo massiccio delle popolazioni italiane dall'Istria, Fiume e Zara, circa 300-350 mila persone, Roma si trovò già bello e pronto, previa una piccola ristrutturazione, un Campo Profughi moderno e razionale. 

Per poter dare un'idea di come fosse realmente il "Villaggio" sarebbe cosa opportuna avere la possibilità di riprodurre almeno alcune delle otto fotografie del complesso originale che si trovano negli archivi dell'Ufficio Piano Regolatore: comunque, il complesso era formato da lunghi e bassi padiglioni al cui interno correva il corridoio su cui davano le porte delle camerate degli operai, in seguito riadattate per accogliervi le famiglie dei profughi. 

I vari padiglioni erano tra loro raccordati da una lunga tettoia in muratura sorretta da colonne, la pensilina, si affacciavano su ambo i lati della via principale, l'alberato viale Oscar Sinigaglia, terminante ora in una piazzetta e che allora portava alla vecchia chiesa. 

Negli edifici una volta adibiti ad uffici e ad altri usi comuni dell'ex villaggio operaio trovarano posto alcuni negozi: tra cui la pescheria del sig. Miligi, il negozio d'alimentari della signora Evelina Zaccai, il negozio di frutta e verdura dei fratelli Zoia, il negozio di alimentari e la macelleria dei fratelli Vatta; dietro questi negozi vi era inoltre un campo scoperto per la pallacanestro e sul lato opposto vi era il Bar Zara che pur avendo cambiato più volte i gestore continua a richiamarsi alla città dalmata. 

Come già detto, l'ingresso al "Villaggio" era monumentale visto che su delle alte colonne quadrate in mattone scorreva un lungo frontonee sul lato destro, dentro il villaggio, spiccava una torre.Nell'insieme il complesso degli edifici, con la chiesa, i padiglioni muniti di pensilina, il viale alberato, al mezzo del quale vi era una fontana sormontata da una capra metallica simbolo dell'Istria, dava l'idea di un ordinato falansterio in cui la lingua franca era il veneto. 

Un altro edificio storico del Villaggio Giuliano era la Casa della Bambina, collegio per le bambine giuliano-dalmate, sorto grazie alla generosità di Oscar Sinigaglia, uno dei principali artefici della rinascita dell'industria italiana dell'acciaio. Ora il vasto edificio arancione, che costeggia la via Laurentina, è adibito quale sede USL e come Centro Anziani. 

La parabola della funzione d'uso di tale edificio, da Casa della Bambina a Centro Anziani, inquadra perfettamente la situazione degli abitanti del Villaggio: una volta composto soprattutto da torme di bambini ed ora tranquillo quartiere abitato prevalentemente da anziani profughi. 

Queste notizie sono tratte dalla mia memoria, dato che dal febbraio del 1957, avevo da poco compiuto i sei anni, sono stato uno dei suoi abitanti, ed ora sono uno dei pochi bambini d'allora che è rimasto tenacemente ad abitare in ciò che rimane del Villaggio Giuliano. 

La cosiddetta zona-EUR, ora così densamente popolata, allora era costituita prevalentemente da quattro nuclei abitativi ben distinti tra loro: l'EUR di marmo, il Villaggio Giuliano, la Cecchignola e le Galere; tutto all'intorno vi erano i canneti, le marane, le pinete in cui si andava a fare le scampagnate per la Pasquetta, e la campagna romana su cui pascolavono le pecore, rarissime le auto. Tutto ciò forniva uno stupendo scenario per i nostri giochi di ragazzi: alla sera i genitori andavano al Bar Zara, per vedere l'unica TV allora disponibile, mentre noi giocavamo all'aperto sino a notte fonda. 

Tutto questo mondo ora è sparito: i padiglioni sono stati abbattuti, così come la vecchia chiesa, la fontana ed il monumentale portale d'ingresso. Ancora adesso però, camminando nel quartiere si può sentire risuonare la tipica calata veneta ed a Pasqua l'odore delle focacce istriane (pinze), anche se la popolazione oramai non è più costituita unicamente da giuliano-dalmati: al suo interno hanno trovato successivamente ricetto anche molti italiani provenienti dalle nostre ex colonie africane (Etiopia-Somalia-Eritrea-Libia) e dalla Tunisia. 

Qui finisce il mio breve escursus, i limiti imposti dal giornale sono tiranni, spero di poter in seguito aver spazio per raccontare più distesamente la sua piccola storia.
 
 

 Gianclaudio de Angelini 

 
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