Lunghe teorie di gente in fuga, vecchi donne e bambini, tallonati dalle baionette austriache e trascinanti le poche robe sottratte alla rapina nemica, tali ci apparvero durante la prima guerra mondiale i prifughi delle terre venete. Chiesero ai fratelli di ogni regione aiuto e ospitalità, ognuno raccolse l'appello ed una grande ondata di solidarietà corse il Paese. Trovarono i profughi un fogolare accogliente a sostituire quello perduto, per il quale sospiravano nostalgici. Nessuno contestò loro il diritto d'asilo ed anzi ogni cittadino, in ogni villaggio, fù nobile gara di solidarietà; ogni porta si spalancò, prime quelle dei miseri ed anche quelle di coloro che la guerra avevano osteggiata. Oggi ancora si parla di "profughi": Altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà nè hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi. Questi relitti repubblichini, che ingorgano la vita delle città e le offendono con la loro presenza e con l'ostentata opulenza, che non vogliono tornare ai paesi d'origine perchè temomo d'incontrarsi con le loro vittime, siano affidati alla Polizia che ha il compito di difenderci dai criminali. Nel novero di questi indesiderabili, debbono essere collocati coloro che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano quì da noi , in veste di vittime, essi che furono carnefici. Non possiamo coprire col manto della solidarietà coloro che hanno vessato e torturato, coloro che con l'assassinio hanno scavato un solco profondo fra due popoli. Aiutare e proteggere costoro non significa essere solidali, bensì farci complici. Ma dalle città italiane ancora in discussione,
non giungono a noi soltanto i criminali, che non vogliono pagare il fio
dei delitti commessi, arrivano a migliaia e migliaia italiani onesti, veri
fratelli nostri e la loro tragedia ci commuove e ci fa riflettere. Vittime
della infame politica fascista, pagliuzze sbalestrate nel vortice dei rancori
che questa ha scatenato essi sono indotti a fuggire, incalzati dal fantasma
di un terrorismo che non esiste e che viene agitato per speculazione di
parte.
Per questa strada si difende l'italianità delle città contestate rimanendo sul posto e non facendo il vuoto davanti agli slavi, trattando con loro per ottenere ampie autonomie linguistiche, culturali, amministrative. Non si difende sbavando calunnie da Roma o da
Milano ed impiantadovi, a spese del popolo italiano, losche centrali di
artificiosi irrendentismi e di pazzesche rivincite. Così noi vediamo
la soluzione di questo problema e non nell'esodo artificiosamente sollecitato
con spauracchi inconsistenti e con promesse inattuabili,
Siamo italiani, amiamo la nostra patria, la vogliamo libera e quindi pacifica, vogliamo intenderci con tutti i popoli liberi e spegnere ogni focolaio di possibili futuri conflitti. Seguendo la via che noi indichiamo, la libertà e il tranquillo lavoro e la cultura italiana potranno fiorire ed agli italiani di laggiù saràdata la possibilità di conservare la loro casa ed il loro lavoro. Non è necessario dunque sia acuita la
crisi delle città colpite dalla guerra dove già sono scarsi
il pane, il lavoro e l'alloggio per migliaia di famiglie, che non devono
esserne private senza plausibile motivo.
|
|