GdeA
PER LE AVVENTURATE NOZZE

DI
LUIGI CARLO DOTTOR BASILISCO
ED
ELENA VITTORIA PRIVITIELLO.

ODE

DI GIACOMO D.R  ANGELINI DI ROVIGNO
GdeA

 
GdeA


mmmmmmmnnnnnnnmmmmmmmmmmmm
I. O Sull'amena sponda
   Nata del biondo Sile
   Con le membra leggiadre e i dolci sguardi,
   E poi, dove Saona estolle l'onda,
   Nel costume gentile
   D'ogni virtù, conforto ai dì più tardi,
   Fra cure alme cresciute,
   Non fia non fia che muta,
   VITTORIA, la mia cetra oggi ti guardi
   Farti col serto delle intatte rose
   Novell'onor delle prudenti spose.
 

  II. Voi non attese al varco
   O fortunati Amanti,
   Il cieco figlio della Cipria Dea,
   E trionfo non foste al fatal arco,
   Cagion di errori e pianti;
   Per cui signor del folgor non parea
   Giove, ma toro mite;
   E violò le fiorite
   Sicule valli l'altro Dio che ardea
   Per Proserpina bella; con la face
   Etnea Cerer seguiva  il ratto audace.
 

  III. Ma lusinghiera storia
   E' questa, onde le carte
   Colme sono or di casti or rei diletti.
   Di LUIGI l'amor tua sola è gloria;
   Che in ciascheduna parte
   E' quasi Dea Vergin di pregi eletti:
   Il vezzo del tuo viso,
   Da onestà mai diviso,
   La fiamma in lui destò dei vivi affetti;
   Ed a te disse in suo linguaggio il core:
   Ama il gentil garzon di eterno amore.
 

  IV. Oltre la vetta alpina,
   Muro ad Italia mia,
   Deh potessi spiegar rapido il volo! -
   Fra i luoghi che tenean la peregrina
   Fanciulla, alto vorrìa
   Parlar, qual Fama: o Lionese suolo,
   Che sei per anco altero
   Del militar sentiero,
   Onde Agrippa ti ornava, unqua lo stuolo
   De' fasti tuoi fia spento, e mai ti guasti
   Turbine rìo, che a noi tal don mandasti. -
 

  V. Quì di pietà il verace
   Sentir VITTORIA apprese,
   E il dolce dir, cui l'alma si confida;
   Quivi del chiostro nella nobil pace
   Bella la mente rese
   Di studio, che all'oprar saggio la guida,
   Più che suol giovinetta;
   Ed ebbe qui  la schietta
   Dote cortese che in lei sempre annida;
   Che se a danzar l'agile grazia spiega,
   Lieve aura par che l'erbe e i fior non piega.
 

   VI. Il cor  VITTORIA integrò
   Innanzi all'ara diede
   Ad uom, cui cinge di virtù corona;
   E col pietoso dotto ingegno all'egro
   Il dì sereno riede;
   Celeste arte che speme ai mortai dona! -
   Istria alle nozze applaude;
   Ma non lieta è la laude
   Di Parenzo, cui sposa ell'abbandona;
   Vien mesta la città sino alle soglie:
   Felice chi così dal lito scioglie! -
 

  VII. Voi che in la prima etate
   Compagno foste a Lei,
   Gìoite del favor della sua stella -
   E tu, donna d'illustre alta pietate, (*)
   Che altra madre le sei,
   E tu gioisci: inclita gloria e bella
   Di benefizj è questa:
   La rimembranza è desta
   E ferve in Lei, qual sacra arde fiammella:
   Così t'indori il tetto, i campi, i tigli
   Il fulgor sempre degli augusti Gigli. -

  VIII. VITTORIA, agli occhi velo
   Ti fan stille di pianto,
   E un pallor dolce ti dipinge il volto? -
   Ti consola, che amor, dono del Cielo,
   Anche da lungi è santo:
   Siegui  lo Sposo: a te Arupino è volto,
   E gli rechi tesoro
   Di conjugal decoro,
   Cui sempre un plauso immacolato è sciolto:
   Lunga al virgineo onor virtù vien dietro,
   E vince tal virtù di ogn'inno il metro. -

GdeA


(*) La nobile signora contessa Vittoria Dupac di Lione tenne in Treviso alla fonte battesimale la Sposa e poi la condusse seco a Lione, e la colmò di amore e di benefizj.

 

TRIESTE 1827 TIPOGRAFIA WEIS

 
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