NOTAZIONI INTRODUTTIVE
Premio
LAURENTUM 1997

 
 
E ' accaduto quest'anno, cinquantenario dell'iniquo trattato che ha strappato l'Istria all'Italia, qualcosa che solo la poesia può far verificare in una coincidenza più che significativa che s'eleva ad allegoria stupenda. Tra i tantissimi partecipanti al concorso della sezione non in lingua italiana, sono state presentate tre poesie in lingua Istro-romanza. Nel panorama delle "lingue tagliate" un posto di riguardo spetta all'Istro-romanzo, lingua citata già da Dante nel "De vulgari eloquentia" che è l'emblema dell'antica latinità della regione, sfatando i falsi miti delle popolazioni importate da Venezia, in quanto il lessico deriva direttamente dal latino parlato dai legionari romani. Questi ultimi, dopo aver sconfitto gli Istro-Illiri si insediarono in permanenza sul territorio; pure avendo subito nel corso del lungo periodo della signoria veneziana un ovvio fenomeno di omogeneizzazione, ancor oggi questo lessico si distacca nettamente dagli altri dialetti dell'area veneta. Sua peculiarità è la ricorrente dittongazione, che viene resa graficamente, per consuetudine ormai inveterata, con gli pseudo dittonghi eî e oû e che per certi versi avvicinano l'istro-romanzo al romagnolo: miteîna, mattina; paloû, palude ecc. Come nel Veneto, le consonanti non si raddoppiano mai, salvo nel caso della "s" che può venir raddoppiata anche per dare maggiore enfasi al significato della parola: ca balissa! che bellezza! Altra caratteristica è la quasi totale mancanza del nesso "gli", particolarmente ostico alla pronuncia rovignese, reso in due diverse maniere: fameîa, feîo e fameîlgia, feîlgio per famiglia e figlio; il nesso "gli" è presente soltanto su alcuni tardi calchi dall'italiano. Consistenti sono i prestiti dal tedesco, frutto di più di cent'anni di dominio austriaco. Esempio ne sono termini come zlài o e zmìr ovvero i freni e il grasso per ungere le ruote del carro; oppure voci legate al gergo militare: andivier, milizia territoriale; patruntàs, cartucciera ecc. Ma non conviene soffermarsi a lungo su di una analisi linguistica, che richiederebbe uno studio apposito; preme sottolineare lo stato di precarietà di questa lingua che, a fronte del prestigio linguistico veneziano, già a fine '800 aveva visto la riduzione della sua area d'uso e che in seguito all'ultima guerra subisce un colpo quasi mortale. Il passaggio della regione istriana, per la prima volta nella sua bimillenaria storia, sotto il dominio slavo, ha comportato che il nucleo degli istriani che tuttora impiegano l'Istro-romanzo come prima lingua si sia ridotto alla esigua cifra di mille, forse duemila persone, ormai circoscritte alle sole città di Rovigno e Dignano ed ai vecchi della diaspora. In questo panorama quindi, non si può far a meno, purtroppo di ipotizzare per l'Istro-romanzo la stessa fine che già nel primo ottocento ha subito il Dalmatico e cioè la sua pressochè totale scomparsa nel breve volgere di una od al massimo due generazioni. Per questo era opportuno e necessario, premiare questa poesia, una poesia che stupisce e riesce a sorprendere nella rivelazione di un mondo che credevamo estraneo e che si mostra invece parte di noi: El seîgo da pera, di Gianclaudio de Angelini. Nel recupero della tradizione istriana con aspetti poco conosciuti ovvero non abbastanza osservati e talvolta dimenticati questa poesia possiede un fascino tutto particolare, che nella traduzione pure attenta e amorevole, non trova un equivalente adeguato. La riflessione, l'introspezione, la meditazione sull'amara esperienza dell'esilio fanno risaltare l'incidenza che gli eventi storici hanno sugli affetti, sugli uomini e le loro cose. Si torna ad accompagnare la memoria per ritrovare gli echi dei luoghi nativi e risentire le voci un tempo familiari. L'addio è il segno di ciò che si è compiuto, ma ancora di ciò che non è accaduto; mentre l'amore filiale è l'evidenza di uno specchio perennemente figurabile che si consuma nella struggente malinconia dell'attesa che non tornera mai più. Il congegno narrativo non asseconda il filo del rimpianto, si fa evanescente e si frantuma nello stillicidio di una solitudine che scorre una agenda vuota di eventi e si ritira ai margini della nuova patria adottiva.

Rino Cerminara
(Presidente Giuria Premio Laurentum)


 
El seîgo da pera

 
I
 

Tièra mièia, bandunada
Mai straca da spatà
Inpuseîbili raturni.
Vanamèntro ti ciami i fiòi daspièrsi
Ca da luntan ta sugna
E da viseîn ta piura.
Tiera prumìsa, no pioûn ratruvàda.

II
 

I zèmo sparèndo
Ne la pioûn cunplèta indifarènsa
E 'l seîgo da dulur piza intù la gula
Cume oûna pera.

III
 

Anca el racuòrdo s'infuòiba
Int'el sango de la tuòva tièra rusa.
Ne l'aria rièsta el seîgo da cucàl
De la tuòva zento daspièrsa
E la voûz del mar, senpro la stisa.

IV
 

I son oûn viècio tronco malazanbà
Cun puòche fuòie e doûto tavarà.
Ma basta paruò oûn lanpo d'uòci
Ouna ridulada, oûna buca viludada.
Ch'i son cume el nuvo virdo al preîmo sul.

  

Gianclaudio de Angelini

 
 
  
"1°  CLASSIFICATO
 SEZIONE "VERNACOLO"

 
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