|
![]() |
Nato a Zara il 17 luglio 1863 da Giacomo e Luisa Africh. Il padre era un noto avvocato e deputato autonomista alla Dieta provinciale. Nel 1880 si recò a Vienna per completare i suoi studi di Giurisprudenza tra le facoltà di Vienna e Graz. In quell'ambiente ricco di fermenti culturali si dedicò a coltivare i suoi molteplici interessi storici, musicali e letterari dedicandosi attivamente al giornalismo. Proprio nel clima multi-etnico della capitale dell'Impero Austrungarico andò formando la propria coscienza nazionale in particolar modo entrando in contatto con la delegazione spalatina venuta a Vienna per protestare contro la croatizzazione del ginnasio-liceo della città dalmata.
Una volta laureato tornò a Zara, si era nel 1884, vi trovò un clima d'incertezza e di timore provocato dalla decisa opera di croatizzazione dei principali comuni della Dalmazia che l'Austria stava operando, i cui prodromi datavano dagli avvenimenti convulsi del 1848 che avevano visto partecipare all'estrema difesa dell'insorta Venezia tanti giovani istriani e soprattutto dalmati, incrinando per sempre quella miracolosa alchimia che aveva cementato i due principali elementi culturali dalmati: quello derivante dal sub-strato latino e veneto e quello slavo.
Era viva ancora l'eco provocata dall'estromissione, anche tramite minacce
ed intimidazioni, del podestà di Spalato Bajamonti uno dei
principali leader autonomisti.
In questo clima, in cui si salvava soltanto la città di Zara,
il Nostro si dedicò con fervore a riorganizzare le fila degli autonomisti
dalmati divenendo segretario di Luigi Lapenna.
In seguito fu uno dei principali propagandisti dell’italianità della Dalmazia, iniziando la sua attività filo-irredentista a capo della società culturale Dante Alighieri, finalizzata all’affermazione della necessità dell’annessione italiana della costa dalmata. Questo passaggio rifletteva nel suo agire la tradizione politica dell’autonomismo dalmata, che tendeva a vedere la Dalmazia come Paese non balcanico, distante e separato dal proprio retroterra bosniaco, croato e serbo. L’irredentismo di Ghiglianovich non era ostile ed avverso agli jugoslavi dalmati, così come invece sarà nella propaganda fascista, ma rivolgeva principalmente i suoi strali verso l’Austria, accusata di favorire la croatizzazione della Dalmazia.
Vi è da dire che per converso i partiti nazionalisti croati legittimavano la loro ostilità contro l’uso della lingua italiana e negavano la presenza di una minoranza autoctona italiana, poiché, a loro avviso, esisteva in questa Regione una sola nazione: quella serbo-croata. Per contrastare questo acceso nazionalismo Ghiglianovich
![]() |
Dopo l'attentato di Sarajevo riparò in Italia dove continuò la sua opera di propaganda filo-annessionista assieme ad altri intellettuali dalmati come Antonio Cippico ed Alessandro Dudan. Allo scoppio della guerra, fu nominato su proposta di Paolo Thaon de Revel, tenente di complemento dell'81^ fanteria, ma la sua principale attività fu quella di contrastare le mire territoriali del nascente stato SHS (Regno dei Serbi, Croati, Sloveni) che aveva fatto proprie tutte le più accese rivendicazioni dei rispettivi nazionalismi. Fu inoltre membro della direzione del "Comitato Centrale di Propaganda per l'Adriatico Italiano", dell'associazione "Pro Dalmazia" e del "Patronato per i Fuoriusciti Irredenti" e di altre associazioni tutto spendendosi per salvaguardare il più possibile dell'italianità della sua Regione.
Processato in contumacia per alto tradimento potè ritornare a Zara solamente il 4 novembre del 1918 venendo accolto con entusiasmo dai suoi concittadini. Per far sì che la vittoria dell'Italia diventasse anche la vittoria della Dalmazia italiana partecipò alla Conferenza di Versailles, aggregato alla Delegazione italiana, anche se potè ben poco per contrastare la pochezza diplomatica italiana che, viste respinte le sue richieste, non trovò nulla di meglio che abbandonare la conferenza lasciando campo libero agli abili diplomatici jugoslavi.
Nominato consigliere
alla Corte di Cassazione di Roma spese le sue ultime energie per cercare
di sollevare l'economia di Zara strangolata dall'eliminazione del suo naturale
retroterra. Nominato Senatore del Regno, decorato del Gran Cordone della
Corona d'Italia, morì il 2 settembre 1930 dopo aver visto frantumarsi
quel mondo dalmata in cui la convivenza non era una vuota parola ma, per
sua fortuna, senza dover assistere all'ulteriore martirio della sua amata
Zara sotto i 54 bombardamenti alleati e "liberata" dai partigiani di Tito
che completarono l'opera eliminando l'ultimo baluardo d''italianità
sopravissuto in Dalmazia.
![]() |
Gianclaudio de Angelini |
- LUCIANO MONZALI, Un contributo alla storia degli italiani di Dalmazia. Le carte Ghiglianovich, La Rivista dalmatica, 1997, n. 3, pag. 192 e ss.; - O. RANDI, Il senatore Roberto Ghiglianovich,
mezzo secolo di storia dalmata ,in “Rivista dalmatica”, a.XXXVI,
fasc. III, luglio-settembre 1965,pp. 32.;
- OLIVOTTO ROSA MARIA (Prof. FERRARI BRAVO), Un testimone a Versailles. La partecipazione di Roberto Ghiglianovich alla Conferenza di Parigi. Gennaio-dicembre 1919; - La Dalmazia e la questione jugoslava negli scritti di Roberto Ghiglianovich durante la prima guerra mondiale, "Clio", n.3, 1998. - F. SEMI - V. TACCONI, Istria e Dalmazia Uomini e Tempi, Vol II; |