Al Presidente della Repubblica
Carlo A. CIAMPI
Palazzo del Quirinale
ROMA
 
 
 

Ill.mo Signor Presidente,
nei prossimi giorni, di ritorno dalla capitale della Repubblica di Croazia, Zagabria, si recherà a Fiume e  in Istria.
Si fermi e si guardi attorno. Vi riconoscerà un paesaggio familiare, un’antica presenza che segna in profondità uomini e cose, quasi una sorta di prolungamento del Veneto, a cui l’Adriatico ha fornito per secoli il tessuto connettivo facendo circolare comuni tradizioni e un comune sentire.
L’Istria – ma questo vale anche per le coste dalmate – era ed è una regione plurale e  questo profilo plurale era fortemente connotato  dalla cultura e dalla lingua italiana, connotato dalla presenza italiana.
E ciò era un elemento costitutivo e naturale di quella società,  ben prima che le reciproche paure tra le comunità culturali e linguistiche si trasformassero in conflitti nazionalistici; ben prima che l’Istria entrasse a far parte del Regno d’Italia alla conclusione della prima guerra mondiale. Quell’evento avrebbe potuto rappresentare una tappa fondamentale nel cammino delle comunità istriane verso una consolidamento della sicurezza e della libertà per tutti i popoli della regione. Una conferma, come chiedeva Salvemini, che l’Italia era amica e garante delle libertà dei popoli slavi e rispettosa dei diritti dei suoi cittadini di lingua croata e slovena. Questa possibilità purtroppo non si verificò. Dopo pochi mesi l’Italia che si affacciò in Istria presentò il suo volto peggiore. Il fascismo vi porto un’idea di patria aberrante  ed inefficace, e inefficace perché aberrante. Il regime fascista si pose l’obiettivo di negare  una parte costitutiva dell’Istria. Soppresse libertà fondamentali, ingenerando la tragica convinzione in tanti istriani che per vedersi riconosciuti diritti inalienabili non bastava essere cittadini italiani, ma era necessario anche abbandonare le proprio identità culturali, qualunque esse fossero. L’Istria plurale chiedeva all’Italia sicurezza e rispetto, il regime fascista le diede una rozza violenza e tanta insicurezza.
Poi venne la seconda guerra mondiale,  l’alleanza del fascismo con il nazismo,  l’aggressione oltre i confini  del Regno d ‘Italia. E venne la sconfitta.
Gli istriani – e gli italiani della Dalmazia – pagarono duramente tutto ciò, come se fossero stati loro i responsabili delle azioni di quella Italia che aveva portato in queste regioni, e oltre, sopraffazioni  e violenze. Così uomini e cose,  e non semplicemente per spontanei moti di reazione popolare (come una partigiana pubblicistica  ha per troppo tempo sostenuto), ma per scelta delle autorità jugoslave hanno dovuto sotto la violenza abbandonare i luoghi della loro vita e della loro memoria, riducendo al minimo la presenza della cultura italiana e degli italiani lungo la costa orientale dell’Adriatico. Dobbiamo ricordare tutto questo: il sonno della memoria è impossibile qui, non solo ingiusto. Rigenera rancori, alimenta debolezze civili di tutti,  italiani, sloveni e croati di queste regioni.
Ma la vicenda della presenza della cultura italiana e degli italiani lungo la costa orientale dell’Adriatico non si è conclusa con le tragiche vicende del secondo dopoguerra, tale presenza non è finita.
C’è una minoranza italiana che in questi decenni ha resistito, affermando in concreto un’identità storica ineliminabile. E’ una minoranza che va sostenuta dall’Italia, innanzitutto come dovere morale della propria coscienza nazionale, e come capitolo della propria storia.
Ci sono gli esuli che più che mai ora, nelle nuove condizioni, possono apportare un rilevante contributo alla crescita economica e sociale dell’Istria, nell’interesse di tutti, italiani croati e sloveni.
C’è una diffusa domanda di cultura - e di lingua - italiana che va ben oltre il perimetro della nostra minoranza: basta girare per l’Istria, costiera e interna, per rendersene conto.
Si fermi, Signor Presidente, e si guardi attorno. Vedrà un paesaggio deformato e impoverito dalla storia, ma che Le parlerà ancora con un linguaggio familiare. Lo ascolti.
La stabilità democratica degli stati qui confinanti passa attraverso il pieno riconoscimento del carattere plurale di queste regioni. Questo vale per la Croazia, vale per la Slovenia e vale per l’Italia. E la prospettiva di una comune casa europea rende tale reciproco riconoscimento una garanzia certa contro ogni ritorno a logiche di sopraffazione.
Auguri di buon viaggio.
 
 

Stelio Spadaro
segretario dei Democratici di Sinistra
di Trieste
 

Trieste, 5 ottobre 2001
 
 
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