Egregio Dott. Mieli,
ho letto la Sua risposta alla signora Fornaro e la condivido: non solo
per la parte che riguarda la lapide nel cimitero di Parenzo (ora rimessa,
ma senza la parola “Foibe”!), ma per l’insieme delle considerazioni che
Lei fa sull’atroce vicenda delle foibe. Fa bene a dire con chiarezza certe
cose. Infatti, dopo il lungo silenzio della Repubblica su tali efferatezze,
ora se ne parla, ma con un elemento di ambiguità che è necessario
chiarire. Spesso, infatti, si parla degli infoibati come se fossero stati
vittime fasciste, vinti, nei confronti dei quali si esprime pietas. Non
si tratta solo di questo. Le foibe furono certamente, in particolare nel
1943, fenomeni frutto di spontanee reazioni popolari contro gli oppressori
fascisti, ma esse furono anche terribili strumenti di lotta politica per
eliminare gli uomini simbolo del Regno d’Italia (per fare sparire i segni
della sovranità italiana!) e per eliminare e spaventare (vedi il
conseguente, successivo esodo di massa dall’Istria) gli italiani che erano
contrari all’annessione alla Jugoslavia; strumenti lucidi e deliberati,
dunque, di una politica di espansione territoriale che, nelle parole d’ordine
e negli atteggiamenti, si rifaceva agli schemi classici dei nazionalismi
di varie parti d’Europa (la terra, la madrepatria, l’annessione come meta
finale della Storia, ecc.). A tutto ciò il comunismo di Tito diede
una ulteriore terribile forza repressiva. Perciò la memoria non
è solo un ripiegarsi della pietas su vinti, ma è espressione
del dovere che abbiamo tutti di ripristinare, finalmente, in tutta la sua
dimensione tragica, il fatto che in queste terre vi fu lo scontro fra fascismo
e antifascismo, vi fu un conflitto tra totalitarismi, ma anche un altrettanto
feroce conflitto nazionalistico.
Stelio Spadaro
Direzione provinciale DS di Trieste
Trieste, 31 gennaio 2002
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