Alla cortese attenzione del Dott. Paolo Mieli
Lettere al Corriere
Fax 02/62827579
 

Egregio Dott. Mieli,
ho letto la Sua risposta alla signora Fornaro e la condivido: non solo per la parte che riguarda la lapide nel cimitero di Parenzo (ora rimessa, ma senza la parola “Foibe”!), ma per l’insieme delle considerazioni che Lei fa sull’atroce vicenda delle foibe. Fa bene a dire con chiarezza certe cose. Infatti, dopo il lungo silenzio della Repubblica su tali efferatezze, ora se ne parla, ma con un elemento di ambiguità che è necessario chiarire. Spesso, infatti, si parla degli infoibati come se fossero stati vittime fasciste, vinti, nei confronti dei quali si esprime pietas. Non si tratta solo di questo. Le foibe furono certamente, in particolare nel 1943, fenomeni frutto di spontanee reazioni popolari contro gli oppressori fascisti, ma esse furono anche terribili strumenti di lotta politica per eliminare gli uomini simbolo del Regno d’Italia (per fare sparire i segni della sovranità italiana!) e per eliminare e spaventare (vedi il conseguente, successivo esodo di massa dall’Istria) gli italiani che erano contrari all’annessione alla Jugoslavia; strumenti lucidi e deliberati, dunque, di una politica di espansione territoriale che, nelle parole d’ordine e negli atteggiamenti, si rifaceva agli schemi classici dei nazionalismi di varie parti d’Europa (la terra, la madrepatria, l’annessione come meta finale della Storia, ecc.). A tutto ciò il comunismo di Tito diede una ulteriore terribile forza repressiva. Perciò la memoria non è solo un ripiegarsi della pietas su vinti, ma è espressione del dovere che abbiamo tutti di ripristinare, finalmente, in tutta la sua dimensione tragica, il fatto che in queste terre vi fu lo scontro fra fascismo e antifascismo, vi fu un conflitto tra totalitarismi, ma anche un altrettanto feroce conflitto nazionalistico.

Stelio Spadaro
Direzione provinciale DS di Trieste

Trieste, 31 gennaio 2002
 
 
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La Venezia Giulia e l'Italia nell'integrazione europea

 
 
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